Quando Alfano era ministro della Giustizia, gli strumenti più efficaci nella lotta alle cosche sono state smantellate. Adesso che è al Viminale, puó fare molto di più, scrive Abbate sull’Espresso. E certo il neo Ministro dell’Interno del monocolore inquieta, per via di quel suo libro “La mafia uccide d’estate” che in aprile avanzato suona minaccioso, a causa delle numerose menzioni in memoriali e confidenze di collaboratori di giustizia, senza nemmeno citare il compito del quale è incaricato a tutela della salvezza di un noto criminale.
Ma sarebbe incauto temere solo lui, solo la percettibile punta dell’iceberg. Politica e criminalità sono due poteri che vivono sul controllo dello stesso territorio, o si fanno la guerra o si mettono d’accordo. La diagnosi di Paolo Borsellino assume un significato profetico e attuale oggi che siamo prigionieri di una crisi i cui motori, i cui volti prestati e i cui padroni sono noti anche per quelli che non vogliono vedere.
Non sappiamo ancora se Alfano perseguirà il disegno perverso che altri avevano avviato di smantellare la Dia, volta da Falcone come organismo “dedicato” al contrasto alle mafie, ma per quanto invece riguarda gli enti di vigilanza e controllo sulle attività che le sostengono trova la strada spianata: i fiumi carsici delle tangenti, della corruzione, del riciclaggio, della concussione sono venuti allo scoperto senza ostacoli, grazie a connivenze e correità, e innervano la società in virtù della demolizione del sistema di sorveglianza, degli scudi, di condoni, delle sanatorie intese a regolare e rendere accettabile ogni licenza e legittima ogni trasgressione, mentre si tagliano le risorse per la sicurezza e la lotta al crimine.
C’è una forma non esplicita di consociativismo, nel migliore dei casi inconsapevole, ma ciononostante evidente, tra sistema e anti-sistema, se così vogliamo chiamare il crimine, tra Stato e contro-stato, tra attività legali e la pressione dell’infiltrazione malavitosa, tra affari e malaffare. Una integrazione aberrante che la crisi esalta e della crisi fa uso.
Non serve Alfano insomma a consolidare uno dei brand più vantaggiosi della criminalità, basta non pagare i debiti contratti dalla pubblica amministrazione con le imprese piccole, medie e grandi. Vigna a fine 2012 denuncia: “le nostre mafie incassano circa 190 miliardi di euro l’anno e una grossa parte di questi soldi non viene destinata a mercati illeciti, ma ad attività imprenditoriali, che, in questi tempi di stretta creditizia, mettono a rischio le imprese legali. Questo è un momento magico per la mafia e l’usura”. Il sistema bancario, il credit crunch descritto perfino dall’Istat, malgrado il suo presidente, e il rigore di regime hanno reso così arduo l’accesso al credito da consegnare centinaia di imprenditori nelle mani implacabili dell’usura, costringendoli a svendere le aziende, armando la mano suicida.
E d’altra parte gli istituti di credito, quelli che nei mesi a cavallo tra 2011 e 2012, sono stati salvati dalla Bce con un fiume di quattrini di più di 1000 miliardi a interesse dell’1%, sono i cravattari legalizzati e inesorabili delle imprese: una su due, secondo Fondazione Impresa, non ha avuto accesso a crediti necessari per superare l’emergenza e gestire la quotidianità, perché non può rispondere alle richieste di garanzie. Quelle garanzie di liquidità che possiedono invece ricchi sospetti e possidenti allarmanti, che vengono accolti con entusiasmo, entrano a far parte di consigli di amministrazione, condizionano investimenti e elargizioni, con il passaporto indiscutibile ed inattaccabile del denaro, fiumi di denaro, che pecunia non olet. E che non sono nemmeno vittime dell’altro fattore di assedio micidiale per le imprese, la pressione fiscale: l’economia mafiosa concorre al Pil ma non paga le tasse.
Si Alfano è un di più, ci sono un’ideologia, un sistema, una cultura, una cupola che promuovono la feroce commistione tra potere economico “legale” e crimine uniti dal comune intento: il profitto, l’avida accumulazione. Sparatori solitari rovinano la bicchierata del governo, con nonni e bambini, ma la festa di chi le armi le ha, le commercia, le procura, le punta contro di noi, continuerà indisturbata.