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Processo via D’Amelio, pentito: “Provenzano era protetto da uno ‘sbirro ‘amico’”

Creato il 13 gennaio 2015 da Stivalepensante @StivalePensante

“Provenzano non aveva alcuna paura di essere arrestato. Mi disse che in realtà non lo cercava nessuno perché a proteggerlo era un potente dell’Arma e aggiunse ‘meglio uno sbirro amico che un amico sbirro’”. Lo ha detto il pentito Stefano Lo Verso, deponendo al quarto processo per la strage di via D’Amelio costata la vita al giudice Paolo Borsellino e agli agenti della sua scorta.

(giuliocavalli.net)

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“Meglio uno sbirro amico che un amico sbirro”. Sono queste le parole che Bernardo Provenzano avrebbe detto al pentito Stefano Lo Verso, nell’atto di deposizione per il quarto processo sulla strage di via D’Amelio. Il boss, che si sarebbe nascosto per mesi nella casa della suocera di Lo Verso, avrebbe inoltre aggiunto che anche se era stato arrestato Michele Aiello, imprenditore coinvolto nell’inchiesta sulle cosiddette talpe alla Dda di Palermo, lui era garantito da Cuffaro. “I latitanti li prendono solo se glieli indicano”, avrebbe confidato Provenzano a Lo Verso, aggiungendo di avere paura di essere tradito e non delle indagini.

“Provenzano contrario a stragi”. Il boss mafioso Bernardo Provenzano sarebbe stato contrario alla strategia stragista di Cosa nostra. Lo rivela il pentito Stefano Lo Verso, che sta deponendo al processo per l’assassinio del giudice Paolo Borsellino e della sua scorta a Caltanissetta. Lo Verso, ex mafioso di Ficarazzi, ha raccontato di avere nascosto per alcuni mesi il capomafia di Corleone e di avere raccolto le sue confidenze. In più occasioni il boss gli avrebbe detto che Cosa nostra non aveva alcun motivo di fare le stragi che in fondo erano state la rovina della mafia. Mostrando rimpianti per la scelta fatta e lamentandosi dei costi personali pagati, Provenzano avrebbe aggiunto che la verità sulla strategia stragista la sapevano in cinque: lo stesso Provenzano, “Totuccio Riina – avrebbe detto il capomafia – Andreotti, Lima e Ciancimino. Ma Lima era stato ucciso per paura che non sopportasse il peso e Ciancimino era morto”. “Io non potevo mettermi contro il mio paesano – avrebbe proseguito Provenzano riferendosi a Riina – che doveva fare un favore ad Andreotti che l’aveva garantito nel tempo”. Il pentito ha descritto un Provenzano “non incline alla violenza, era uno che al sangue – ha detto – preferiva la pace, il dialogo”. Il collaboratore parla di un rapporto stretto col boss che gli avrebbe anche portato una Madonna dal suo viaggio a Marsiglia e che era molto religioso. Tanto che si faceva accompagnare in chiesa a prendere l’acqua benedetta. (ANSA)


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