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“La camera azzurra” di Georges Simenon: il grigio di un’esistenza senza passioni e la ricerca della felicità

Creato il 17 febbraio 2016 da Alessiamocci

“La camera azzurra” di Georges Simenon è un romanzo edito nel 1964. Adelphi lo ha pubblicato nel 2003 in traduzione italiana.

Una copertina di carta azzurra preannuncia una camera dalle pareti del medesimo colore.

L’azzurro di un cielo senza nuvole che minacciano pioggia, certo.

Ma soprattutto l’azzurro della liscivia (lessive), la polverina detergente con azione sbiancante usata per il bucato. L’autore ce lo rende intuibile, fin dall’incipit, usando tale similitudine, che ribadirà quasi nell’epilogo per chiudere il cerchio narrativo.

Una prima associazione involontaria è indotta nel lettore dall’assonanza con l’aggettivo lasciva (lascive): in quell’azzurro spicca il bianco delle carni e lo scuro del pube di un’amante clandestina. La storia riguarda, infatti, una coppia di fedifraghi, all’apparenza abili mentitori assetati di passione.

Ma, procedendo nella coinvolgente lettura del romanzo, si comprende bene cosa simboleggia quell’azzurro. È il momento di ingannevole salvezza da una vita grigia, senza stimoli, sogni ed ideali, in cui i sentimenti si trascinano nell’incomunicabilità e si deformano nell’apatia o nell’ossessione.

Ma si tratta di una salvezza falsa e forzata, simile ad un asciugamano steso (segno in codice che prelude all’incontro fra i due amanti) che viene lavato con l’uso di una sostanza sbiancante, senza l’ausilio della quale sarebbe ben poco luminoso.

Georges Simenon in questo suo capolavoro, breve e incisivo, incolla fino all’ultima riga, mettendoci al corrente prima dei pensieri del protagonista, Tony Falcone, che dei realmente fatti accaduti.

Attraverso le incalzanti domande rivoltegli dallo psichiatra e dal giudice, l’uomo ricorda e riflette davanti e con il lettore, coinvolgendolo nella ricostruzione di un intero anno di vita, partendo dall’incontro fra i due amanti fino alla fine della relazione, nel segreto di una stanza d’hotel, e alle conseguenze che da essa scaturirono.

Tony e la bella Andrée, e i membri delle rispettive famiglie, sono gli anti-eroi di una tragedia senza catarsi, tutti destinati a non uscire da una camera azzurra divenuta prigione reale e metaforica di un’intera generazione borghese infelice nel profondo dell’anima.

Il finale lascia un sapore indecifrabile sulle labbra, non accontenta e non delude: è, semplicemente, perfetto.

«“Ma cosa potrei desiderare di più? Ho la moglie migliore del mondo, una figlia che è il suo ritratto e che adoro, una bella casa, un lavoro che va a gonfie vele. Perché non dovrei essere felice, dunque? È vero, ogni tanto ho dei pensieri”. […]

Aveva le lacrime agli occhi, era sul punto di scoppiare in singhiozzi, e, allora si era precipitato al piano di sopra per chiudersi in bagno.

Gisele non era tornata mai più su quell’argomento».

Written by Emma Fenu


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