Il 29 gennaio è stata inaugurata la mostra “LA CAMERA. Sulla materialità della fotografia” presso Palazzo de’ Toschi, visitabile fino al 28 febbraio 2016. L’appuntamento rientra nella quarta edizione di ART CITY Bologna, un programma di mostre ed eventi culturali di alto profilo, promosso dal Comune di Bologna e da Bologna Fiere, e affiancato all’edizione ARTE FIERA che si tiene ogni anno. La mostra è il terzo episodio di una rassegna espositiva a cura di Simone Menegoi che indaga il rapporto tra scultura e fotografia, il cui titolo complessivo è "The Camera’s Blind Spot". I primi due appuntamenti di questa rassegna, The Camera’s Blind Spot 1 e 2, hanno avuto luogo rispettivamente nel 2013 al MAN – Museo d’Arte della Provincia di Nuoro, e nel 2015 a Ex-tra City Kunsthal di Anversa.
Veduta dell'allestimento a Palazzo de' Toschi
Il terzo incontro della rassegna, “LA CAMERA. Sulla materialità della fotografia” si concentra su quello che è il medium fotografico, presentando al pubblico le opere realizzate con le tecniche fotosensibili più insolite e rare in uso attualmente dagli artisti visivi e dai fotografi. Un percorso che va dai dagherrotipi di Evariste Richer, alle stampe al platino di Paul Caffell, dalle scansioni fotografiche sferiche di Attila Csörgõ fino ai monotipi a getto d’inchiostro di Justin Matherly. La scultura, anch’essa presente all’interno di questa mostra, emerge nelle sculture romane fotografate da Paolo Gioli con un procedimento di sua invenzione, le stalattiti e le stalagmiti che rappresentano vere e proprie culture naturali fissate su vetro da Dove Allouche. In altri casi, la scultura si propone nella presenza fisica di opere basate su tecniche fotografiche, e che difficilmente è possibile definire “fotografie”, come la “Structure for Moon Plates and Moon Shards” di Johan Ӧsterholm, una costruzione realizzata con i vetri di una vecchia serra per fiori, spalmati di emulsione fotosensibile e poi esposti alla luce della luna.
Johan Osterholm - Structure for Moon Plates and Moon Shards
Anna Lena Radlmeier - Table 2010 Collimatografia, assemblaggio di 24 stampe a contatto
Un appuntamento di sicura originalità, il cui obiettivo è quello di stupire i visitatori, creando un senso di disorientamento rispetto al concetto classico di fotografia; un ritorno alle sperimentazioni già apportate da Medardo Rosso e Constantin Brancusi, fra la fine del XIX secolo e gli inizi del XX, in cui la macchina fotografia diventa il mezzo per fotografare le loro stesse opere in condizioni mutevoli di luce e di spazio. Diversi sono gli artisti di cui è possibile ammirare le loro opere fino al 28 febbraio: Dove Allouche, Paul Caffell, Elia Cantori, Attila Csörgõ, Linda Fregni Nagler, Paolo Gioli, Franco Guerzoni, Raphael Hefti, Marie Lund, Ives Maes, Justin Matherly, Lisa Oppenheim, Johan Ӧsterholm, Anna Lena Radlmeier, Evariste Richer, Fabio Sandri, Simon Starling, Luca Trevisani e Carlos Vela-Prado.
"La materialità ha sempre costituito un aspetto fondamentale della fotografia. Lo capiamo soprattutto ora, in tempi in cui questa materialità sembra scomparsa, soppiantata dalla tecnica digitale. Guardando indietro, alla fotografia quale è stata fino alla svolta digitale, non si può non essere colpiti dalla consistenza di negativi e stampe, i cui supporti hanno incluso, nel corso di 180 anni circa, celluloide, carta, rame, ferro, vetro… Quando penso alla materialità della fotografia, penso in primo luogo a quei supporti. Certo, ora il digitale e le nuove tecniche di stampa permettono un’espansione spettacolare dell’immagine nello spazio: pensa ai cartelloni alti come palazzi che pubblicizzano le virtù delle nuove fotocamere degli I-phones! Ma il nocciolo del problema sta a monte, è legato all’origine stessa della tecnica fotografica (analogica)". Questo è il commento di Simone Menegoi, curatore della rassegna espositiva "The Camera's Blind Spot", a proposito del concetto di "materialità" quale punto focale della mostra.