Questo post non sarà esattamente la stessa cosa, ma anche in esso si racchiudono piccole cose che implicitamente, senza rendermene conto mi hanno reso felice. Proprio come quello che è successo ieri, quando sono andata a prendere le misure a casa di una nostra vecchia cliente che ha voglia di cambiare la cucina 32enne.
Quella signora l'associo per lo più a suo figlio, (che chiamerò) Chevin (sì, col CH, qualcosa in contrario? Ah, e se volete pronunciarlo correttamente la e va strascicata un po', così Ché-évin).Chevin il cuoco. Chevin che mi "corre dietro".
A me, che piacciono le digressioni e mischiare parole dialettali e modi di dire, vi aprirò una piccola parentesi su ciò che significa "correre dietro", anche se mi pare già piuttosto chiaro, ad ogni modo dicesi di un ragazzo/a che fa la corte ad una/un ragazza/o.
Oramai per me lui è e resterà "quello che mi corre dietro". E lo è solo ed esclusivamente lui. Nessun altro.
Mentre ero lì e chiacchieravo con sua madre ad un certo punto mi sobbalza LA domanda "ma com'è che faccio a sapere che Chevin mi viene dietro?" e c'ho pensato per un pezzo piuttosto lungo, ma proprio non riuscivo a ricordarlo.
Mi tornavano alla mente dei ricordi, ma nessuno di questi riusciva a rispondere a quella domanda. Come ad esempio la volta che ci aveva portato un vassoio enorme di frittelle e crostoli a Carnevale (non ricordo nemmeno più quanti anni fa), ma questo non significava niente, anche se... questa gentilezza estesa alla mia famiglia la continuavo ad associare ad un suo interesse verso di me. O il fare cameratismo con mio fratello, una delle tattiche più comuni.
Dopo qualche minuto in cui ero concentrata a ricordare, proprio come si fa con qualcosa che si ha sulla punta della lingua, eccola lì! LA scena, nitida come fosse successo tutto il giorno prima: ero seduta alla scrivania del salotto intenta a studiare Storia dell'arte. Sono abbastanza sicura del fatto che fosse storia dell'arte, perchè era una delle poche materie che studiavo alle superiori. Quando ad un tratto sento suonare il citofono e vedo quel cliente che qualche giorno prima era venuto in negozio che mi chiede se potevo scendere un attimo.
Scese le scale non fa in tempo a salutarmi che in automatico gli dico "Mi spiace, la mamma e il papà non ci sono" e lui che imbarazzato mi dice "veramente... io ero venuto qui per te", alzo lo sguardo, lo osservo ed era vestito tutto carino, con una bella camicia bianca, i capelli tutti in ordine. Io? Una zingara.
[eh... No, purtroppo non assomigliava a Louis Garrel]
Chevin continua nell'imbarazzo quello che era venuto a fare e cioè a chiedermi d'uscire. Io che tra imbarazzo ed il fatto di non sentirmi "pronta" ad uscire con qualcuno in maniera così... da vero e proprio appuntamento e, vabbè non era esattamente il mio tipo, gli dico che il giorno dopo avrei avuto un compito e che dovevo studiare.
Poi vuoto, non ricordo se mi avesse chiesto il numero o se lui chiedendomi di uscire in un'altra occasione l'avessi già paccato con altri mille compiti/interrogazioni/esami universitari/impegni lavoravi fino al 2040 direttamente quel pomeriggio.
Però è stata una delle cose più carine che mi siano mai capitate. E ricordare una cosa così dolce è un mio momento di trascurabile felicità.
Come la camicia bianca. La camicia del primo appuntamento che anche altri ragazzi hanno poi scelto :)