La camorra in codice, tra doppi sensi, tangenti, allusioni, metafore

Creato il 28 aprile 2012 da Tiba84
Di R. Saviano:
"Caro Zio, so che hai cose molto più importanti di stare ad ascoltare me ma penso che anche questa piccola soddisfazione può aiutarti ad affrontare questo momento di ingiustizia che ti opprime e sai che mi è difficile parlare con te". Così comincia la lettera inviata una ventina di giorni fa a Michele Zagaria, l'ultimo capoclan dei casalesi arrestato dopo decenni di latitanza.
Il boss è detenuto in regime di carcere duro a Novara. Chi ha scritto sapeva che il testo sarebbe stato intercettato e sapeva che aveva poche probabilità di essere letto dal detenuto, ma l'ha inviato ugualmente. Il linguaggio è sibillino e allusivo, una vera e propria costruzione di messaggi cifrati. Sembra parlare di cose di nessuna importanza "gli amici partono per le vacanze, sembravano Totò a Milano, siamo andati a teatro a vedere la norma...".
Può accadere che a volte persino il destinatario non capisca sino in fondo cosa stia dicendo la missiva: la capirà col tempo, magari leggendo un articolo, vedendo compiersi una condanna, un evento. I camorristi devono costruire un sistema di comunicazione misterioso e complesso per evitare che possa essere usato contro di loro in tribunale.
Vogliono che non sia dimostrabile da un pm che una frase equivalga, per esempio, a un ordine di morte. Insomma usano parole, allusioni, metafore che molto difficilmente potrebbero essere oltre ogni ragionevole
dubbio svelate in un processo. La Procura Antimafia di Napoli ha ritenuto attendibile questa lettera che è
forse la sintesi massima finora mai vista della comunicazione tra boss.
Qui provo a tradurla, sapendo che la mia interpretazione è solo un'ipotesi: solo supposizioni, per ora, possono esser fatte.
Il termine "zio", con cui inizia la lettera, è il modo in cui nel casertano sono chiamati i boss casalesi. Subito dopo i saluti, c'è questo passaggio: "Gli amici partono per le vacanze e si sono portati la conserva fatta in casa e ti salutano tanto". Qui potremmo interpretare il "chi va in vacanza" con "chi va in galera", quindi: chi va in galera ha portato con sé i valori e gli ordini che aveva e rispettava ("la conserva fatta in casa"). Chi va in galera ci va sapendo esattamente come comportarsi e soprattutto sa che non deve parlare. Rassicurano Zagaria che gli arrestati non pensano di tradire.
Il passaggio successivo è più oscuro: "Al mercato hanno riempito la macchina di frutta fresca e dovevi vederli che sembravano Totò a Milano". Se da un lato è noto che gli ananas in gergo sono le bombe a mano, e quindi il riferimento potrebbe essere all'organizzazione militare del clan, dall'altro il richiamo esplicito al mercato della frutta e a Milano non va sottovalutato. Il mercato ortofrutticolo a Fondi è dominato da sempre dal clan dei casalesi, mentre quello di Milano è gestito dalla 'ndrangheta.
Ma casalesi e 'ndrangheta fanno affari in comune ed è noto che il mercato ortofrutticolo di Milano è uno snodo dello spaccio di cocaina. Anche la citazione di Totò non è chiara. Totò a Milano ricorda Totò Riina: con la famiglia Riina i casalesi spartivano la gestione del mercato di Fondi e tutti i trasporti ortofrutticoli del mezzogiorno per lungo tempo. La frase forse fa riferimento a questo.
Più chiaro il passaggio: "Voglio dirti che stiamo tutti bene e anche i ragazzi crescono". Qui l'informazione data al boss è che tutti continuano a lavorare, il clan ha già i nuovi capi, è l'invito a stare sereno perché fuori tutto va come deve andare. Arriva poi il fulcro della lettera, le righe più controverse che rivelerebbero i legami già spesso ipotizzati dalle inchieste dell'Antimafia di Napoli tra criminalità organizzata e politica.
"Siamo a Roma ma domani partiamo pure noi. Pensa che abbiamo visto il papa e che ci ha salutati con la mano". Il papa, con la lettera minuscola, potrebbe essere un politico considerato interlocutore del clan. "Siamo andati a teatro a vedere la norma che è sempre molto bella e ha convinto tutti con la sua interpretazione convincente che continua ancora. Anche gli altri cantano bene, anche il ragazzo che non conosce il copione".
Il teatro qui potrebbe essere il Parlamento, la norma è un'informazione che tende a rassicurare il boss in carcere: tutto va come deve, secondo norma appunto. A conferma che la struttura politica di protezione - sempre, ripeto, che sia giusta l'interpretazione politica - continua a esserci, immutata.
"Anche zio Nicola dal suo loggione ha molto apprezzato e preso nota di tutto quanto ha sentito. Per le prove ha assicurato che anche in futuro ascolterà solo la norma fino a quando si abbassa il sipario e gli orchestrali si alzano in piedi". Ci sono molte traduzioni possibili di questo passaggio, ma un'interpretazione - secondo gli analisti - potrebbe partire dell'inchiesta che riguarda l'ex viceministro all'Economia Nicola Cosentino.
Il loggione è il Parlamento. Il sipario che si abbassa è un riferimento alla fine della legislatura, quando tutti i parlamentari, ossia gli orchestrali, si alzano in piedi. E a "cantare bene" è anche chi non conosce il copione, quindi anche i politici non avvicinanti e non legati all'organizzazione. Il riferimento a zio Nicola nel suo loggione qui si fa più esplicito.
Quindi il politico zio Nicola (che potrebbe essere Cosentino, sempre se le accuse dell'Antimafia fossero confermate), in questo caso, garantirebbe la continuità fino al termine di questa legislatura. Da intenditore dice che "certi copioni sbagliati rimarranno a marcire nei cassetti". Anche qui sarebbe - se l'interpretazione è corretta - una rassicurazione che non ci saranno leggi che danneggeranno gli affari.
"Tutto procederà secondo la norma. Sarà sempre con noi fino al giudizio finale del pubblico perché ama la nostra terra e chi vuole riscattarla". Il giudizio finale del pubblico potrebbero essere le prossime elezioni. "Ci ha detto che vorrebbe comprare una pelliccia nuova alla sua signora e penso che contribuiremo come in passato, lasciamo giudicare a lui che ha esperienza". Il riferimento alla pelliccia nuova è abbastanza sibillino, potrebbe trattarsi di un nuovo candidato alle elezioni locali, da appoggiare, magari donna.
Questa lettura è solo un'ipotesi, per gli inquirenti ce ne possono essere anche altre: zio Nicola potrebbe essere Nicola Schiavone, figlio di Sandokan o potrebbe trattarsi di un boss ben più potente, come Nicola Panaro. A quel punto l'allusione al loggione e alla norma si potrebbe riferire alla magistratura e i copioni sbagliati sarebbero le dichiarazioni dei pentiti. "Il bar di Antonio lavora molto ed è sempre pieno di clienti che vengono appositamente per le sue sfogliatelle fatte venire fresche da Caserta tutte le mattine" è un chiaro riferimento ad Antonio Iovine detto "il Ninno", arrestato un anno prima di Zagaria, con cui reggeva il clan in una sorta di diarchia.
Il Ninno continua a ricevere sfogliatelle, cioè tangenti, affari, appalti, e Caserta sta a sottolineare la centralità del capoluogo negli affari del clan. "Ti mando un abbraccio in ricordo di Santa Lucia, che sempre sia venerata e possiamo vivere nel suo ricordo per tutta l'eternità".
Solo un affiliato al clan dei casalesi o un esperto può ricordare il blitz detto di Santa Lucia e chiudere una lettera rievocando quell'episodio. Nella memoria del clan dei casalesi, Santa Lucia ha un solo significato: un summit avvenuto il 13 dicembre del 1990 a casa di un assessore di Casal di Principe, Gaetano Corvino. Al summit partecipò il gotha dell'organizzazione criminale che si riuniva per costituire la successione ad Antonio Bardellino e (forse) l'eliminazione di Enzo De Falco entrato ormai in conflitto aperto con Sandokan e Cicciotto di Mezzanotte.
In seguito a una soffiata furono arrestati quasi tutti i presenti: Francesco Sandokan Schiavone, Francesco Bidognetti, Salvatore Cantiello, Giuseppe Russo, Raffaele Diana e Cicciariello, l'omonimo cugino di Sandokan. Furono trovati degli occhiali simili a quelli che portava Iovine, per questo si pensa che lui riuscì a scappare da una finestra. L'unico boss non presente fu Enzo De Falco, accusato della soffiata ai Carabinieri. Forse aveva intuito che sarebbe stata un'esecuzione. I De Falco, ora in pace con i nuovi capi, hanno sempre negato.
Santa Lucia viene ricordata al termine della lettera per due motivi. La prima interpretazione, più filologica, può fare riferimento all'inizio della reggenza di Zagaria, che dopo la decapitazione del clan vide crescere il suo potere, quindi il riferimento è al giorno in cui Zagaria iniziò a contare davvero nel clan.
L'altra interpretazione, meno letterale, potrebbe essere questa: forse la lettera insinua che Zagaria è stato arrestato in seguito a una soffiata, simile a quella che portò agli arresti del 1990. Il clan non ha mai dimenticato i responsabili di quella soffiata così come mai dimenticherà i responsabili dell'arresto di Zagaria.
Il sottotesto potrebbe essere: "Noi ricordiamo sempre, per l'eternità, chi compie atti infami" e il riferimento a Santa Lucia è utilizzato come simbolo di tradimento che verrà vendicato. Questo tipo di comunicazione a metà tra lo ieratico, l'allusivo e il ridicolo fa parte della vita quotidiana delle organizzazioni criminali. La malavita napoletana, con la parlesia, il suo gergo, ha sempre cercato un linguaggio accessibile solo a chi ne faceva parte. Era anche un modo per riconoscersi immediatamente, un codice d'accesso.
Provenzano usava il Cifrario di Cesare in alcuni pizzini: ogni lettera è sostituita dalla lettera che si trova un certo numero di posizioni dopo nell'alfabeto. Provenzano costruiva i suoi messaggi in questo modo: ogni lettera era il numero corrispondente alla sua posizione nell'alfabeto, più 3. Quindi il mio nome e cognome secondo la sintassi di Provenzano: 191658192116 204231241516.
I messaggi in codice sono da sempre l'ossatura della comunicazione tra mafiosi. L'omicidio, nel 2008, di Michele Orsi, imprenditore dei rifiuti che si stava pentendo raccontando i rapporti tra business dei rifiuti e politica, fu decretato in carcere. Il boss fece un semplice gesto, si odorò un lembo del vestito arricciando il naso. Come dire, questa maglietta puzza. Puzza uguale spazzatura, spazzatura uguale rifiuti. Il messaggio è arrivato a Giuseppe Setola che avrebbe messo in pratica l'ordine.
I clan sono abituati a questo genere di comunicazioni. Anche le radio spesso sono uno strumento di diffusione di messaggi importanti. Messaggi non solo mafiosi, ma anche semplicemente sentimentali. Connettono i carcerati, gli affiliati con le loro famiglie. Nell'aprile 2010, a Rosarno (Reggio Calabria) la Dda di Reggio Calabria ha sequestrato "Radio Olimpia", una radio locale controllata dalla famiglia di Salvatore Pesce, boss della 'ndrangheta rinchiuso nel carcere di Palmi.
La radio, totalmente abusiva, era gestita dalla moglie di Pesce che la utilizzava per comunicare con il marito: ogni canzone un messaggio. Nel mondo di Internet, di Twitter, di Facebook, della comunicazione istantanea, i mafiosi preferiscono ancora affidarsi ai codici, alle lettere anonime cifrate, molto più sicure e quindi molto più efficaci di qualsiasi carattere che vola nella rete. Perché non c'è hacker che possa risalire al mittente, non esiste un sistema sicuro di decrittaggio. Si può solo tentare di risolvere il rompicapo, mettendo insieme i pezzi di un puzzle, tanto incredibile quanto spietato.

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