Madeline Miller
Madeline Miller, nata a Boston, vive tra New York e Philadeplhia. Insegna lettere classiche a Yale e si è specializzata nell’adattamento teatrale dei testi antichi. La canzone di Achille è il suo primo romanzo, tradotto in oltre 14 lingue.
Sito: http://www.madelinemiller.com/
Titolo: La canzone di Achille
Autore: Madeline Miller (Traduttore: Matteo Curtoni e Maura Parolini)
Serie: //
Edito da: Sonzogno (Collana: Romanzi)
Prezzo: 19,00 €
Genere: Storico, romance, LGBT
Pagine: 382 p.
Voto:
Trama: Dimenticate la violenza e le stragi, la crudeltà e l’orrore. E seguite invece il cammino di due giovani, amici prima e poi amanti e infine anche compagni d’arme – due giovani splendidi per gioventù e bellezza, destinati a concludere la loro vita sulla pianura troiana e a rimanere uniti per sempre con le ceneri mischiate in una sola, preziosissima urna. Madeline Miller, studiosa e docente di antichità classica, a cui la dottrina non ha limitato o spento la fantasia creatrice, rievoca la storia d’amore e di morte di Achille e Patroclo, piegando il ritmo solenne dell’epica alla ricostruzione di una vicenda che ha lasciato scarse ma inconfondibili tracce: un legame tra uomini spogliato da ogni morbosità e restituito alla naturalezza con cui i Greci antichi riconobbero e accettarono l’omosessualità. Patroclo muore al posto di Achille, per Achille, e Achille non vuole più vivere senza Patroclo. Sulle mura di Troia si profilano due altissime ombre che oscurano l’ormai usurata vicenda di Elena e Paride.
Recensione
di Livin Derevel
Dare un giudizio finale a quest’opera non è stato semplice.
Quello che mi sono ritrovata tra le mani è un romanzo stilisticamente ben scritto, impeccabile e non privo di una certa sensibilità nello scrivere, ma… temo che l’autrice abbia peccato di eccessiva rivisitazione.
La canzone di Achille è una visione approfondita e romantica della relazione tra Achille e Patroclo, il suo Therapon – compagno d’armi legato da un giuramento di sangue e amore – che si snoda dal loro primo incontro fino alla morte di entrambi nel corso della guerra di Troia.
Una relazione basata su un sentimento forte, intenso, reciproco, che si sviluppa col tempo e trapassa il volere di Teti, la discordia, i pregiudizi, che si corona in un finale ricco di pathos che strappa anche qualche lacrima, una perfetta tragedia raccontata nei giusti toni e densa come solo un grande amore può essere.
Ma, come ho detto prima, penso che l’autrice abbia travalicato un po’ troppo i confini dell’epica per gettarsi a testa bassa nell’odierno, in cui assieme agli usi e costumi sono cambiati anche i valori e le abitudini, cosa di cui lei sembra non aver tenuto conto.
L’epoca grondava guerre, i regni della Grecia erano in costante lotta tra loro a causa di ripicche, brama di conquista, faide intestine, era insomma una regola essere abituati a sentire e vedere la morte, da lontano o anche da vicino. Patroclo, voce narrante del romanzo, è un personaggio sì inusuale com’era nel poema omerico, ma che a volte eccede nella sensibilità che dimostra verso ciò che lo circonda, che si stupisce di cose che invece dovrebbero risultare ovvie, che pare non essere bene incastonato nel suo contesto e per questo di tanto in tanto i suoi ragionamenti appaiono lamentosi, infelici, quando invece dovrebbero essere rammaricati o addolorati, non certo oltraggiati.
Anche la figura di Achille, nei primi capitoli, appare un po’ scostante: prima bellissimo e adorato da tutti per la sua socievolezza e il suo incedere divino, poi insicuro e succube della madre come un ragazzino, e poi ancora arrogante e vanaglorioso nell’ultima parte.
Non che queste sfaccettature risultino sbagliate, chiariamoci, ma sono state descritte in maniera pretenziosa, slegata, scoordinata rispetto alla trama, che emergevano più quando faceva comodo che quando sarebbe stato naturale trovarle.
In sostanza, penso che l’errore più grande sia l’aver tratteggiato male i caratteri dei protagonisti. Tentando di trasporli in un’ottica del ventunesimo secolo si sono mischiati elementi epici – l’onore che vale più della vita di molti uomini, faide combattute a suon di confische e determinate simbologie gestuali e orali – ed elementi moderni – il drastico rifiuto della guerra di Patroclo, lo scarso rispetto portato alle profezie divine (eh, autrice, o lo fai superstizioso e devoto o lo fai miscredente, non è che può cambiare credo come gli pare) – senza però riuscire ad amalgamarli bene. Avrei preferito che la Miller avesse deliberatamente scelto di ignorare alcuni passi del poema e avesse piuttosto mutato alcuni aspetti che almeno sarebbero stati rispettati durante l’intera opera, ma con questo bizzarro saliscendi di fedeltà all’Iliade e spirito pacifista, nel complesso risulta vagamente stonata.
Ma al di là di ciò, si tratta comunque di un libro molto valido, un punto di vista passionale ed emotivo che solleva il velo del sacro e rilancia in modo originale una delle più grandi leggende del passato.
Ho deciso di dare un voto perfettamente a metà a causa della mia visione forse più classica che ha inevitabilmente influenzato il mio giudizio già dalle prime pagine. Lo consiglio? Non saprei.
Se siete dei fedelissimi di Omero e dell’Iliade, se amate i personaggi dell’epica così come sono stati descritti vi direi di aspettare che qualcun altro si faccia avanti nello scrivere qualcosa di un po’ più coerente.
Se invece volete una lettura incondizionata, una storia d’amore giovanile, travolgente, tenera, e l’Iliade non ve la ricordate neanche, La canzone di Achille è quello che fa per voi.
Autore articolo: Livin Derevel
Livin è veramente una stronza. Ha la lingua biforcuta e il dente avvelenato, è arrogante e invadente, ha una critica per ogni cosa possibile e immaginabile e si diverte a far incazzare gli altri. Detesta chi le chiede dei soldi, gli imbecilli e le Mary Sue - sia immaginarie che in carne e ossa. Scrive di slash, di gente strana e sogna di diventare l'Oscar Wilde del ventunesimo secolo.
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