Quando sposto il mio peso sulla schiena o su un fianco sento la mia persona nella sua mole di succhi e sostanza. Allora capisco che le creature come me non possono astrarre. Non c’è città alla quale possa appartenere, nazione o professione. Non ordine o categoria possono segnare il solco dei miei contorni più a fondo di una frequentazione in cui mi muovo deplorevolmente, con la mia mole stanca di succhi e sostanza. Penso sia un disordine della memoria. O una forma partigiana di speranza.