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La capanna dello zio Rockstar

Creato il 11 luglio 2011 da Loffio
La capanna dello zio Rockstar

Let's make videogames!

Se siete un minimo avvezzi al mondo dei videogiochi già sapete cosa è successo tra Team Bondi e Rockstar, ma a beneficio dei tecnolesi, ecco un breve riepilogo:

Poco tempo fa è uscito un gioco, L.A. Noire, che ha avuto un grande successo di pubblico e critica, ed è stato distribuito da Rockstar (quelli di Grand Theft Auto per capirsi) e sviluppato da Team Bondi, una software house australiana.

Qualche settimana dopo l’uscita del gioco, sono cominciate ad emergere testimonianze che accomunavano la vita d’ufficio nel Team Bondi a quella di un campo di lavoro cinese. Turni di 10, 12 ore, straordinari non pagati, vessazioni, minacce, imbrogli contrattuali… cose normalissime per noi Italiani e per i bambini che cuciono palloni, ma un po’ meno apprezzate in realtà più civilizzate. E visto che qui si parla di gente seria, e non di vent’enni  fresche di IED con la frangetta perfetta che vogliono fare le copy, o giornalisti in erba che hanno capito che scrivere è meglio che lavorare e lo fanno “per la visibilità”, la levata di scudi è stata universale.

Beh ovviamente qualche coglione se n’è uscito con frasi del tipo “dovrebbero solo essere contenti di lavorare in questo bellissimo mondo” o “e che sarà mai, la gente in miniera fa più fatica”, ma non posso linkarvi niente, perché la pagina non esiste più.

Ciò che invece posso linkarvi è la prima parte del mio pezzo dedicato a questa bruttissima storia, che ad essere sinceri ha tutta l’aria del segreto di pulcinella. La storia dei videogiochi è piena di titoli creati in “crunch time”, ovvero lavorando a testa bassa per ore e ore senza neppure mangiare, Doom è nato così, tanto per fare un nome.
Questo non vuol dire che sia giusto, perché è con meccanismi di questo tipo che si arriva a metterlo nel didietro di milioni di lavoratori, ed io ne so qualcosa, visto che situazioni del genere sono la norma nel settore editoriale, dove si pretende perfino che tu non voglia essere pagato.

Ammetto che, dopo aver letto tutto il materiale, mi sono sentito un po’ sporco per aver comprato il gioco. E’ vero che comprandolo ho in un certo senso “premiato” il lavoro dei programmatori, ma ho anche incentiva un modello di business profondamente sbagliato.
Per non parlare del fatto che d’ora in poi, ogni volta che dovrò recensire un gioco, non potrà fare a meno di immaginarmi i programmatori che mi guardano come tanti gatti con gli stivali, per spingermi a dare un buon voto che incentivi le vendite e sfami i loro figli.

Una cosa è certa, d’ora in poi se vi vengono in tasta frasi del tipo “Che bello dev’essere lavorare nel mondo dei videogiochi! Partecipare alla creazione di un prodotto importante, le nottate al pc, le riunioni, l’orgoglio di far parte di un grande team…” non lasciate perdere il vostro sogno, ma pensateci bene, perché il lavoro della vostra vita potrebbe diventare la vostra prigione.

 


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