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La carezza dell'uomo che sapeva.

Creato il 19 maggio 2015 da Il Viaggiatore Ignorante

La carezza dell'uomo che sapeva.

Disegno di Barbara Piana.

Voglio raccontare la mia esperienza, senza alcuna pretesa di essere creduta.Scrivo di fatti che ricordano un periodo difficile che ho vissuto come madre, a discapito di mio figlio.Scrivo per ricordare un uomo, colui che ha salvato la mia creatura.
Scrivo perché il suo operato, denso di tradizione e di cultura alpina, tramandata da secoli, non cada nell’oblio.Se non viene creduta, almeno venga raccontata.Maggio 2002, nasce mio figlio. Tanto atteso, desiderato, finalmente è fra la mie braccia!I suoi occhi vivaci sono la mia gioia. Accudirlo ed allattarlo mi danno emozioni intense, ma ancora non mi rendo conto che in lui c’è sofferenza. Esattamente al quarantesimo giorno di vita il mio seno non stilla più nemmeno una goccia di latte.Nessun problema, mi dico, non si affida più il neonato alla balia e si compra il latte artificiale. Ma il mio piccolo non riesce a nutrirsi abbastanza ed iniziano i problemi. Nonostante accetti il latte dal biberon, rigurgita e vomita quasi di continuo.I conati sono di una tale violenza che rischia di soffocare, anche con della semplice tisana.Al terzo mese, su indicazione del pediatra, e dopo aver provato tutti i tipi di latte in commercio, inizio ad integrare le poppate con delle pappe più solide, per cercare di evitare i rigurgiti.La situazione non si risolve, mio figlio è evidentemente sotto peso.Decido di rivolgermi ad un gastroenterologo, ne seguono esami su esami senza capire quale sia il problema.Anche l’ecografia non presenta anomalie allo stomaco. Le cure mediche non portano miglioramenti.I giorni si susseguono penosamente, per me e per lui che non dorme nemmeno la notte.Passano le settimane, arriviamo al suo quinto mese di vita. Una piovosa domenica di ottobre ci troviamo a Luzzogno, in Valstrona, a casa dei nonni. Una mia zia viene a farci visita e guardando mio figlio non trattiene più il suo pensiero. Evidentemente preoccupata, mi consiglia di andare da un’anziana del paese vicino per segnare i vermi al bambino… almeno prova, mi dice ansiosamente.Sì, devo provare anche questo.Non ne parlo a mio marito per paura di non essere capita, cerco sostegno nei miei genitori, loro conoscono la cultura della valle, sanno a chi ci si affidava un tempo.Mio padre, la settimana stessa, mi accompagna dalla donna.Entro nella casa con il bambino in braccio, mio padre rimane fuori.Un tumulto di emozioni m’invade, passando dal corridoio alla piccola cucina. Curiosità, incertezza, forse timore… la donna mi fa accomodare mentre continua nelle sue faccende. Mi guardo intorno, ma la mia mente è piena di domande e non riesco a fare a meno di chiederle come abbia ottenuto le sue capacità di guarire."Am là pasà la mòia mama…". Sua madre le aveva passato il potere, che a sua volta aveva ottenuto dalla nonna. Si tramandava in famiglia da generazioni. Vedendomi attenta alle sue parole, e con la tristezza che per un attimo le leggo in volto, confessa, quasi in uno sfogo ,che lei non sa a chi passare a sua volta il dono, nessuno più vuole quel grande carico di responsabilità.La capacità di sentire quel velo sottile che va oltre la realtà tangibile, dove il bene e il male fanno parte di un unico disegno e non possono esistere l’uno senza l’altro, dove solo la coscienza di chi ha il dono permette di operare per un bene più alto, aiutare il prossimo.Si avvicina al tavolo della cucina, prende una tazzina bianca da caffè, la riempie per metà d’acqua, cerca una spoletta di filo di cotone bianco mentre mi chiede quali sintomi avverte il piccolo. Prende delle forbici e taglia il filo in tanti pezzi lunghi circa due centimetri.Tace, chiude gli occhi e le sue labbra cominciano a muoversi senza far ascoltare una parola.La mano sinistra tiene la tazzina e con la destra intinge l’indice e mescola il contenuto.Qualche attimo, osserva il contenuto della tazzina, guarda il bambino poi si rivolge a me.Il piccolo non soffre a causa dei vermi intestinali, c’è qualcosa di più "forte" che lo disturba. Decide di segnare lo stesso il bambino con dell’acqua santa, ma mi consiglia vivamente di rivolgermi ad un uomo che vive nello stesso paese."…và an tal Mentano cara, lùi l’è pusè fòrt da mi, lùi al farà varìr al tò màt!" (…vai dal Mentano cara, lui è più forte di me, lui guarirà tuo figlio).Demoralizzata e con mille paure in più esco dalla casa.Gli occhi grandi di mio figlio mi guardano, si sono aperti da poco al mondo e mi danno coraggio ancora una volta.Decido di parlarne a mio marito, mi serve anche il suo appoggio, e come mi aspettavo, dopo avergli spiegato tutto mi deride. Ma io non sono mai stata così seria e nel mio sguardo supplicante anche il suo viso si fa serio, non ci crede ma decide di accompagnarci.Arrivati davanti al portone di una vecchia casa al centro del paese, un timido raggio di sole autunnale mi porta per un attimo un senso di speranza. Salgo le scale in pietra, i muri sono stati imbiancati da poco, l’odore della vernice lo sento ancora, stringo e bacio sulla fronte il bimbo forse per rassicurarlo e per rassicurarmi a mia volta.Arrivo sul pianerottolo, busso alla porta e un ometto anziano dagli occhi celesti e stanchi, di chi ha visto tanto, troppo, ci fa entrare.E’ gentile nei modi, pacato nella voce sottile, chiede subito del bambino.La stanza è piccola e molto modesta, ma ben riscaldata.Prende una coperta, senza spiegarla del tutto, e la posa sul tavolo, fa stendere il bambino. Lo guarda attento in silenzio e si stupisce per i suoi occhi, il suo commento non lo dimenticherò mai. "Còst màt al vàrda fòra già cumè vùn grand"(questo bambino ha già uno sguardo da adulto…sorrido mentre spoglio il piccolo come mi è stato richiesto. Ancora silenzio, le mani dell’uomo gli toccano la fronte, poi l’addome. Il bambino resta quasi immobile, sembra capire. Indice e medio della mano dell’uomo si fermano all’altezza dello sterno, preme, la sua fronte si corruga..."c’è qualcosa", poi palpa anche il pancino in vari punti. Fa girare il piccolo in posizione supina e "sente”all’altezza del coccige"… "àglà ànca chì!": il male c’è anche in quel punto.Gli occhi celesti dell’uomo mi guardano e sentenzia: "A gà al pè ad cràva!" (ha il piede di capra). Ho sentito parlare di questo “male” molto spesso dalle donne del paese, ma chiedo una spiegazione a lui, per capire meglio e mi dice che si tratta di una specie di grumo, duro come un osso a forma di zoccolo caprino, e a mio figlio si presenta sia alla bocca dello stomaco che nel retto, impedendo la normale digestione ed evacuazione.Mi sento mancare la terra sotto i piedi, forse impallidisco al pensiero della causa di tutto questo e dopo un attimo di esitazione chiedo ancora come sia possibile che dal niente possa succedere tutto questo. Scuotendo il capo, il guaritore mi risponde che c’è tanto male che vibra nell’aria, non centrano fatture o quant’altro, basta che ci siano rivolti pensieri negativi, come rabbia o invidia, per provocarci questi malesseri.Ma perché proprio mio figlio?”, chiedo con una lacrima trattenuta a stento “…è solo un bambino, lui non può suscitare sentimenti del genere!”Risponde, con la voce calma di chi sa che tutto questo esiste da sempre, che il bambino è stato colpito perché è la parte più debole della mia famiglia, solo per quel motivo. Continua nello spiegarmi che i pensieri e le parole danno forma ai sentimenti, sia nel bene che nel male.Mentre mi parla prende, da una scatola di legno, una Madonnina contenente acqua benedetta, mi chiede il fazzoletto di stoffa che mi ha fatto portare, lo ripiega due volte ottenendo un quadrato più piccolo. Con l’acqua santa si bagna la punta delle dita e tocca in diversi punti l’addome del piccolo, soffermandosi per più tempo dove sente il “male”. Le sue labbra bisbigliano, senza lasciar comprendere una parola. Lo stesso procedimento si ripete sulla schiena, insistendo e premendo le dita sotto il coccige. Poi, sempre con l’acqua benedetta, "carica" il fazzoletto e mi ordina di usarlo correttamente, secondo le sue indicazioni. Da quel momento fino all’indomani deve stare sul petto del bambino, e poi per tre notti ancora, con una punta rivolta verso la gola, e i lembi degli angoli in alto, a destra e a sinistra ripiegati verso il centro del quadrato ,solo quello in basso deve rimanere steso.Il suo lavoro per ora è terminato, mi raccomanda di tornare da lui ancora due volte, a distanza di una settimana circa tra un incontro e l’altro, perché per ottenere la guarigione si deve ripetere il procedimento per tre volte, dopo di che devono passare cinque mesi, ovvero il periodo in cui il bambino ha portato su di sé questa sofferenza, passato questo tempo si otterrà la guarigione.Non riesco ancora a capire se per i suoi modi rassicuranti o se perché nei suoi gesti ho ritrovato un minimo di speranza, sono uscita da quella casa con un tranquillità nel cuore che non avvertivo da tempo.Devo dire, a onor del vero, che non ha mai voluto niente per se, ed i soldi che gli ho lasciato sono diventati elemosina. Nemmeno il grazie, che mi è venuto spontaneo dirgli, prima di uscire, si è tenuto per sé. Senza voler ascoltare mi ha detto che non può nemmeno ricevere ringraziamenti, chi possiede il dono. Me lo ha ricordato più di una volta, facendomi capire che le persone come lui hanno il dovere di aiutare fin che avranno la capacità di farlo, senza ricompense,questo è l’obbligo che si riceve accettando queste capacità.Passati i cinque mesi il bambino ha cominciato davvero a rifiorire, riprendendo a nutrirsi con regolarità, recuperando piano piano sia il peso che le proprie forze.Ancora oggi mi chiedo se sia stata una coincidenza il periodo di guarigione con quello indicato dall’uomo. Se davvero quello che ha compiuto in quei tre incontri abbia aiutato veramente mio figlio… Sorrido, non m’importa cosa sia stato, ora è un ragazzino forte e pieno di vita, con lo stesso sguardo rivolto al futuro che ho visto tredici anni fa.Forse gli racconterò di tutto questo.Sicuramente gli dirò che è stato accarezzato da un uomo tanto buono.Barbara Piana.

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