La Carica Irriverente di Lou Reed è Tornata in Italia

Creato il 20 luglio 2011 da Dietrolequinte @DlqMagazine

10 luglio 2011. Nel suggestivo scenario di Piazza del Duomo, cuore di Pistoia, di fronte ad un palco che gli organizzatori hanno voluto quasi del tutto spoglio, lasciando il ruolo di protagonista dello spazio scenico alle architetture medievali del Palazzo del Comune, una folla a dir poco eterogenea attende trepidante. A numerosi esponenti della “vecchia guardia” del rock, vale a dire signori un po’ attempati che la storia della musica l’hanno vissuta nel suo divenire, si alternano ragazzi di poco più di vent’anni, che prima dell’inizio dello spettacolo si avvicendano di fronte al palco, per una fotografia rituale con indosso la ormai mitica banana di Warhol. E poi famiglie, bambini, gente venuta da tutta Italia; pur senza avere in tasca i biglietti, esauriti dai primi di giugno, nella remota speranza di trovarli sul posto (è quello che è successo a me, e un ringraziamento ai due ragazzi di Verona che mi hanno venduto quelli delle mogli, rimaste a casa, è doveroso). Perché partecipare, soprattutto per coloro che la musica degli anni Sessanta-Settanta l’hanno conosciuta con vent’anni di ritardo, era importante. Anche da fuori, con il cuore in prima fila sebbene al di là delle transenne. È di fronte a questo pubblico che Lou Reed entra in scena alle 21:45, per il concerto di chiusura della trentaduesima edizione del Pistoia Blues Festival, che ha visto esibirsi quest’anno sul suo palco gli Skunk Anansie e i Doors, durante le prime due serate della kermesse. Maglietta nera extra lunga, occhiali da vista, movimenti lenti e a tratti incerti. Ma quando iniziano a levarsi le prime note sulle teste del pubblico e Reed si avvicina al microfono, cominciando a cantare con quel suo stile unico e inconfondibile, un calore molto più forte di quello della mera temperatura atmosferica (quasi insopportabile) comincia a diffondersi sugli spettatori che, più volte durante il concerto, si alzano in piedi per far sentire con più forza il proprio abbraccio, il proprio attaccamento a chi la storia del rock l’ha fatta da protagonista, sulla propria pelle. Una vita, mille vite, per un uomo che tra eccessi, follie, cadute e riprese è arrivato alla soglia dei settant’anni mantenendo sul viso quello stesso ghigno irriverente e sardonico che accompagnava le sue prime esibizioni, ai tempi dei Velvet Underground, della Factory di Andy Warhol, di una New York feroce e piena di insidie che tanto ha dato al rocker statunitense, e tanto si è presa. Un uomo che, nonostante gli acciacchi dovuti all’età (piuttosto visibili a dire il vero), è riuscito a conservare nella voce una forza di interpretazione a dir poco straordinaria.

Quasi due ore di concerto, accompagnato da una band di eccellenze (un plauso particolare merita il giovanissimo chitarrista e violinista Toni Diodore), tra brani più o meno recenti, proposti con nuovi ed originali arrangiamenti. Dalla toccante malinconia di Sunday Morning, alle note più scanzonate di Sweet Jane, passando attraverso le cupe, stranianti atmosfere di Venus in Furs e la dolcezza sinceramente ingenua, disorientante, meravigliosamente spontanea, di Pale Blue Eyes, transitando sul culmine più alto della commozione con la cover Mother, brano di John Lennon edito nel 1970, tenero colloquio di un figlio abbandonato con suo padre e sua madre. Com’è noto, il giovane Lewis Allen Reed fu convinto dai genitori, appartenenti alla borghesia ebraica di Long Island, a sottoporsi a varie sedute di elettroshock per cercare di “correggere” le sue tendenze ribelli ed omosessuali, evento che lo segnò fisicamente e psicologicamente per tutta la vita. Purtroppo durante lo show non è stato proposto alcun brano di Transformer, album della fase londinese del musicista, coprodotto da David Bowie. Nessuna eccezione, neppure per quello che probabilmente è il brano più conosciuto del cantante newyorkese, reso celebre anche dall’inclusione nella colonna sonora di Trainspotting, vale a dire Perfect Day, splendida sortita di Reed nel campo della vibrazione melodica più pura. Si tratta però di un difetto trascurabile, all’interno di un concerto eccezionale, imperdibile, che ha mostrato un uomo ancora pieno di passione per la propria musica, un uomo che ancora, a sessantanove anni, ha tanto da dare alla storia del rock. Lou Reed è vivo e vegeto. Il suo non è certo un mero tributo al sé stesso che è stato, e il vigore con cui canta dal palco, con cui dirige i musicisti della band, che non può non coinvolgere con il suo calore il pubblico, ne è la prova.


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