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Se c'è una regione che adoro tantissimo è la Toscana. Amo il cibo, amo i paesini arroccati e i casolari circondati da campi, rotoballe e girasoli. Amo il mare e amo le persone, con quel loro accento fantastico da cui ha avuto origine la nostra lingua. Se c'è invece un genere letterario che adoro tantissimo sono i gialli che hanno come protagonisti improbabili investigatori, persone comuni che non si prendono sempre troppo sul serio e che arrivano a conclusioni geniali senza quasi accorgersene. Mi piacciono ancora di più, se ad affiancare questi "investigatori della domenica" ci sono degli altrettanto improbabili aiutanti che più che aiutare creano confusione e rendono il tutto ancor più incasinato (passatemi il termine). E i gialli di Marco Malvaldi (questo in ordine cronologico è l'ultimo, ma ce ne sono tre precedenti) sono tutti ambientati a Pineta, un paese di mare della Toscana, e hanno come investigatore Massimo, proprietario di un bar, aiutato da quattro vecchini, che sono soliti occupare un tavolo e impicciarsi nella vita di tutti. In questa nuova vicenda, Massimo si ritroverà per puro caso ad indagare su due morti tra loro collegate avvenute parecchi anni prima: quella di Ranieri Carratori, ucciso da un tumore alla prostata e da una dose troppo massiccia di chemioterapia, e quella di Davide Calonaci, suo oncologo curante, nonché fidanzato della figlia dell'uomo, suicidatosi dopo la prima tragedia. Sembra quella di Carratori una morte abbastanza chiara, l'oncologo ha sbagliato la dose di chemio e poi, sentendosi in colpa per quanto successo, si è suicidato. Ma troppe cose non sono chiare in quel che è successo. Ad esempio il fatto che Carratori avesse appena venduto la sua casa con la formula della nuda proprietà (ovvero a una cifra molto più bassa ma con l'usufrutto fino al suo decesso), il fatto che la moglie del compratore, Foresti, lavorasse proprio nello stesso ospedale in cui l'uomo era ricoverato, o il fatto che Carratori, sebbene sottoposto a una terapia radioattiva abbia baciato ugualmente il pancione della nuora incinta. Per non parlare del fatto che per il tipo di tumore una terapia radioattiva non sarebbe necessaria. Insomma, tante piccole incongruenze, tanti piccoli tasselli che andrebbero rimontati e che il nostro Massimo si ritroverà a maneggiare da un letto di ospedale, dove è finito dopo essere inciampato in una radice (un'altra cosa che adoro della Toscana sono le pinete). E ad aiutarlo ci sono i vecchini del BarLume, quelli che si riuniscono lì tutti i giorni per giocare a briscola e che non sopportano che nel loro paese non succeda mai niente. Oltre a loro, c'è anche il dottor Berton, ortopedico che ha in cura Massimo e che si scopre essere il miglior amico di Davide Calonaci, e l'ispettore Fusco, che si vede costretto, non senza un certo interesse, a riaprire il caso. Il finale è incredibile, uno di quei gialli ben studiati e quasi impossibili da risolvere, almeno per quel che riguarda l'arma del delitto e il movente.
Non avevo mai letto nulla di Marco Malvaldi e devo ammettere di esserne un po' pentita. E' un romanzo giallo piacevole, divertente, con scene comiche che a volte ti fanno proprio scoppiare a ridere (ecco, leggerlo in un luogo pubblico o in ufficio non è esattamente un'idea geniale), e con personaggi davvero ben caratterizzati. E sono convinta che anche gli altri siano così (tra l'altro, non preoccupatevi se come me non partite dal primo, perché sebbene i protagonisti principali siano sempre gli stessi, le trame non sono collegate tra loro). All'inizio ho avuto un po' di difficoltà ad abituarmi a leggere le parti in dialetto toscano, linguaggio dei vecchietti, al punto da temere di ritrovarmi davanti a un nuovo Camilleri (che, mi dispiace, io non riesco proprio a leggere). Per fortuna però le parti dialettali sono riservate a qualche scambio di battute tra alcuni personaggi e leggendo con attenzione si riescono a capire. Consigliatissimo!
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