Esiste un confine non segnato sulle carte geografiche, e’ quello tra il quando decidi cosa fare della tua vita e il quando capisci che hai poco da decidere, tanto la vita ti porta dove vuole lei.
Non so perche’, ma mi sono tornate in mente le ultime notti di indecisione in Australia, prima di imbarcarmi nell’avventura giapponese. Ero a un bivio: da una parte un lavoro molto ben remunerato, una posizione solida, una multinazionale famosa nel mondo, nel Paese con lo standard of living migliore del mondo. Dall’altra, boh.
All’epoca ricordo che passavo le mie serate ad attanagliarmi nel dubbio: andare o non andare, mollare tutto di nuovo oppure no. Il mio coinquilino mi guardava passeggiare per il giardino di notte, mani dietro la schiena, sigaretta in bocca, perso a ponderare i pro e i contro.
Non e’ mai intervenuto per cercare di convincermi a prendere una decisione. Io sapevo che lui, nei miei panni, avrebbe scelto l’Australia, eppure non ha mai detto nulla per non influenzarmi. L’unica cosa che mi ripeteva in continuazione e’ che alle volte abbiamo delle cose da fare, nella vita, e non importa se siano giuste o sbagliate: dobbiamo farle e basta.
Beh, a distanza di un anno eccomi qui. Vivo in Giappone, lavoro in una ditta giapponese, sono convinto di aver fatto non quello che volevo, bensi’ quello che dovevo.
Quello che dovevo, si’. Dovevo farlo, altrimenti ora sarei li’ a chiedermi come sarebbe andata. Dovevo farlo, altrimenti nella mia testa sarebbe rimasta quell’immagine di Giappone perfetto che mi ero costruito, quell’eldorado di figa e di perfezione che ti abbaglia quando metti piede a Tokyo.
Gli emigranti italiani in Australia usano dire che ci vogliono due anni per capire se starai in Australia per sempre o tornerai a casa. Due anni, ovvero il tempo che ti serve per togliere alla tua idea di Australia la patina di novita’, di clima fantastico, surf, spiaggia, stile di vita, eccetera. Due anni, dopo i quali vedi i contro e non solo i pro. Dopo i quali sei freddo abbastanza da poter capire se e’ li’ che vuoi passare il resto della tua vita, oppure no.
Credo che in Giappone ci voglia molto piu’ tempo. Due anni non sono sufficienti, perche’ la patina di perfezione e’ molto piu’ facile da scrostare: dopo un anno di vita qui sai gia’ cosa ti aspetta. Dopo un anno ami questo posto e lo odi allo stesso tempo, perche’ a differenza dell’Australia il Giappone e’ un caleidoscopio di colori che cambiano in continuazione, e’ una cipolla di patine che togli ad una ad una, e sotto c’e’ sempre qualcosa di diverso. Eppure, contemporaneamente, e’ sempre tutto uguale.
All’epoca dissi al mio ex coinquilino che andavo in Giappone perche’ sentivo che qui avevo qualcosa da fare. Che non sapevo cos’era, ma che avevo qualcosa di molto importante da fare. L’ho risentito da poco, mi ha chiesto se ho fatto quello che dovevo fare. No, gli ho risposto, non so ancora cos’e’ quella cosa, non so ancora il motivo per cui sono venuto qui. E lui, serafico: beh, non e’ detto che tu debba fare per forza qualcosa. A volte anche fare niente e’ fare qualcosa.
Forse e’ proprio cosi’. Chi ha detto che ci debba essere sempre un senso, in quello che succede? Chi ha detto che nella vita abbiamo il controllo, che possiamo fare quello che vogliamo?
Guardatemi. In teoria potrei andare dove voglio, fare quello che voglio, dare il corso che desidero alla mia vita. Potrei avere un lavoro da otto ore al giorno in Australia, sposarmi, farmi una casetta con piscina, macchina nuova in garage, nessun problema.
Oppure potrei fare l’ingegnere on site, essere li’ dove vengono collaudati i sistemi ferroviari. Nel freddo dell’Alaska, nel mezzo dell’amazzonia, nel deserto Australiano, oppure nel centro di New York. Letteralmente, dove voglio. Lavoro duro, molto duro, ma potrei permettermi di lavorare sei mesi l’anno, gli altri sei godermeli in vacanza. In questo caso non potrei avere una famiglia, dovrei rimanere in caccia per il resto della vita. Ma non e’ male, se ci si pensa. Poi si fa sempre a tempo a tornare nel piano A, volendo.
In ogni caso, entrambe le opzioni hanno il loro fascino. In entrambi i casi, siatene sicuri, mi andrebbe bene.
Invece sono qui. Nel limbo. Da quando sono in Giappone non so cosa faro’, non scrivo, non faccio praticamente nulla che mi possa aiutare a progredire nella mia carriera, a parte aumentare gli anni di esperienza. Non penso, neppure, o per lo meno lo faccio molto meno di prima. Ma forse e’ questo l’unico modo per capire cosa devo fare.
Ma lo stesso, esiste una linea non segnata nella nostra carta geografica. Un punto in cui ci si spegne il motore, ci si blocca il timone, diventiamo barche in balia della corrente.
E’ il punto in cui sappiamo cosa fare della nostra vita, l’abbiamo deciso. Solo, non riusciamo a dirlo, non riusciamo a farlo. Perche’ il punto di decisione per noi e’ il punto in cui ci troviamo ad affrontare la natura piu’ intima di noi stessi. Un po’ come quando ci rendiamo conto che il nostro partner non e’ la persona giusta, ma non abbiamo la forza per lasciarlo. O come quando decidiamo di fare una cosa e arriviamo fino al giorno prima, fino al bordo dello scivolo, prima di ammettere a noi stessi che non era quello che volevamo fare.
C’e’ chi dice che non si puo’ andare contro la propria natura. Forse, con le dovute eccezioni, e’ vero. Quel che e’ certo e’ che il limite piu’ grande di ognuno di noi siamo proprio noi stessi.
E quindi, che fare? Accettare la propria natura, supinamente, farsene una ragione e vivere in pace con se stessi, lasciare che la corrente ci trasporti dove eravamo destinati a finire, sin dall’inizio? Oppure combattere per un sogno, fottercene della nostra natura piu’ intima, cambiare, sbilanciarci, remare a mani nude controcorrente, intestarditi nel dirci che siamo noi i padroni del nostro destino?