EVIL DEAD (Usa 2013)
Mi trovo sempre in un certo imbarazzo quando si tratta di recensire film di questo genere, dal momento che spesso non posseggo le conoscenze necessarie per fare un serio raffronto con l’originale: mi piacerebbe poter dire che l’Evil Dead di Sam Raimi (1981) era mooooolto più figo di questo remake per il motivo x e y, ma la verità è che mentre i miei coetanei, nei primi anni Novanta, si facevano una cultura horror degna di questo nome, io preferivo Ritorno al futuro, I predatori dell’arca perduta e – sì, lo ammetto – Robin Hood principe dei ladri. Che poi La casa penso anche di averlo visto, qualche secolo fa, ma non posso dire che sia rimasto particolarmente impresso nella mia memoria. In ogni caso questa nuova versione, diretta dall’uruguaiano Fede Alvarez, è prodotta proprio da Raimi e da colui che del film originale (nonché del relativo sequel) fu memorabile protagonista, Bruce Campbell, quindi è un po’ come averlo rivisto, no? Uhm, no, mi sa di no.
La storia è sempre la stessa che avrete già visto e sentito mille volte anche se non siete amanti del genere, l’archetipo horror per eccellenza: un gruppetto di giovani decide di passare la notte in una casa sperduta nel bosco, ma alcune presenze demoniache bla bla bla… Va da sé che più che il cosa, in questi casi conta il come, ovvero il modo in cui un pretesto narrativo così risaputo può essere addobbato e sviluppato nel racconto e nell’estetica. Per quanto mi riguarda, in questo caso siamo ai minimi storici: attori scarsi, dialoghi dal valore puramente funzionale, misteri che vengono svelati immediatamente, in modo da ricondurre la storia a un semplice susseguirsi di ammazzamenti sempre più efferati, senza alcun interesse per un plot come dio comanda, scarsi livelli di ironia e soprattutto nessuna traccia di originalità. Voglio dire, tanto per fare un esempio: ma è mai possibile che un indemoniato in un film debba avere sempre quella voce e debba dire sempre quelle cose? Roba tipo
In questo momento tua sorella se la stanno scopando all’inferno.
Ma forse sono abituato male: da quando ho visto The cabin in the woods (per non parlare di Lasciami entrare, ma lì siamo già in ambito d’autore, altri livelli) non riesco più ad abbandonare l’idea che un horror possa (debba?) essere più originale, possa e debba sforzarsi di dire qualcosa di nuovo, anche solo a livello metacinematografico se le storie originali sono davvero esaurite – cosa di cui non sono affatto convinto. Va bene l’effetto nostalgia di operazioni commerciali come questo remake, ma suvvia, qualche sforzetto in più possiamo anche farlo!
C’è poi un’altra questione: questo film fa paura? Sì e no. Sì perché, come sempre accade in questi casi, ci sono quelle cose spaventose che non ti aspetti, quelle apparizioni improvvise di esseri deformi che, complice anche un’impennata del livello del volume, ti fanno saltare sulla poltrona e rizzare i capelli in testa. Però in quanto a suggestione e inquietudine, che poi sono le sensazioni che in un horror fanno veramente paura, quegli stati d’animo che ti porti a casa e nel letto una volta finito il film, be’, qui siamo decisamente scarsini. La casa più che paura fa schifo, fa senso, al limite fa impressione. La vera paura cinematografica è un’altra cosa.
Alberto Gallo