di Fede Alvarez
con Jane Levy, Shiloh Fernandez, Lou Taylor Pucci
Usa, 2013
genere: horror
durata, 91'
Il risultato di tale connubio è un remake riveduto quel tanto che basta per aggiornare la storia alla sensibilità delle nuove generazioni (in questo caso è la dipendenza dalla droga di uno dei protagonisti a mettere in moto la vicenda), e che racconta l'odissea di un gruppo di amici costretti a fronteggiare le conseguenze di un'antica maledizione. Isolati dal resto del mondo ed asserragliati dentro una casa di campagna i ragazzi diventeranno oggetto di una crudele carneficina messa a punto dal demone di turno. Spogliato della vena grottesca di cui era pervano il modello originale, e senza portare in dote alcuna innovazione visiva rispetto al film di Raimi (del quale ricordiamo la soggettiva ipercinetica e rasoterra che annunciava l'arrivo del maligno), "La casa" di Fede Alvarez denuncia il segno dei tempi perchè se da una parte dimostra le sue possibilità con una messinscena meno rudimentale e con un senso dello spettacolo riassunto dai giochi di luce e dai contrasti di una fotografia lontanissima da quella piatta e luminosa utilizzata a suo tempo da Raimi, dall'altra non riesce ad alzare l'asticella della tensione e dello spavento a causa di un canovaccio prevedibile e scontato. Preferendo l'evidenza alla sottrazione, il corpo alla mente, il visibile al sommerso, Alvarez costringe il film ad una continua compulzione con scene madri e situazioni limite ripetute in fotocopia e per questo prive di sorpresa .Così pur in presenza di momenti riusciti come quello della pioggia di sangue che ad un certo punto sembra annunciare una catarsi poi rimandata, oppure al duello finale che assume una dimensione claustrofobica rifugiandosi nelle viscere più anguste dell'abitazione, "La casa" passa via senza lasciare alcuna traccia. Interessante notare la similitudine con il film di Rob Zombie da poco nelle sale, di cui Alvarez replica la scelta di un uso moderato della C.G., con i "mostri" filmati dal vivo ed interpretati da attori in carne ossa oppure da robot. Un effetto naif che individua un modo di fare cinema che mette in scena il passato senza alcuna alterazione, rinunciando almeno per una volta al frullatore post-modernista.