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La tua casa è la lingua che parli. Era l'anno 2000, o forse addirittura il 1999. L'11 settembre era ancora una data come tutte le altre, tranne - s'intende - per i cileni. Prodi era Presidente del Consiglio e Berlusconi sembrava sul punto di scomparire per sempre dalla scena pubblica. Si scoprì in seguito che più che una meteora era una stella cometa, destinata a tornare ciclicamente, dando l'impressione di essere sempre là.
La tua casa è la lingua che parli. Fu a Strasburgo, in un cinema del centro, una domenica mattina (a Strasburgo ci sono cinema che danno i film a tutte le ore). La sala era mezzo vuota, nonostante la presenza del regista, un italo-americano che aveva fatto un film con Asia Argento. Il film era mediocre, ma la frase del regista mi rimase in testa.
La tua casa è la lingua che parli. Dovrei chiederlo al barbiere di Martastrasse. Casa sua è Zurigo oppure Napoli, la città in cui probabilmente non ha mai vissuto ma di cui ha l'accento. Avrei dovuto chiederlo alle due prostitute dell'est (secondo 20 Minuten, il giornale distribuito gratuitamente nei tram di Zurigo, sono 1.200 le nuove prostitute arrivate a Zurigo nel 2010) che facevano colazione nel bar dietro l'angolo. Il cameriere deve aver pensato che scherzassi quando gli ho chiesto un cappuccino e una brioche. La macchina del caffé doveva essere di puro decoro, l'ultima volta che é stata usata per fare un espresso deve essere stato a fine anni ottanta. E poi la brioche! Dove andremo a finire se la gente, alle dieci di mattina, chiede cappuccino e brioche invece della solita birra?
Se l'italiano è la mia casa, allora trovare casa è piuttosto semplice. E poi posso permettermi il lusso di avere delle seconde e terze case: quelle per le vacanze e il lavoro. Non so che lingua parli casa mia. Forse quella dei pochi oggetti che la abitano, raccolti un po' per caso qui e là, trasportati in tram, tra l'ammirazione e i sorrisi quasi imbarazzati dei zurighesi: chi si scosta per farmi appoggiare il mobile che trasporto, chi mi apre la porta, chi si chiede perché giro con una cassettiera tra la fermata del 33 e quella del 2.
Casa tua è dove c'è il tuo nome al campanello, dove viene gente a cena (quando viene), dove c'è la tua musica, dove non hai paura, dove dormi, dove il frigo è pieno, dove c'è vino, dove puoi passare un sabato sera da solo senza sentirti obbligato ad uscire.
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