Sull'incontro
di mercoledì 19 marzo con il saggista Pierluigi Moressa che ha presentato il
suo libro “L’amara felicità. I sentimenti quotidiani nella scrittura di Marino
Moretti” edito da Raffaelli Editore.
Di tanti intimi drappeggi pare essere la poesia di Moretti che
appare e scompare con una specie di riluttanza a preservare se stessa, come se
l'oblio avesse già messo il suo suggello sul poeta. Egli tenne fermo il
proposito di avere nido nella casa paterna, la casa dove ritornare dopo i lunghi
viaggi, e sempre ritornò e amò quella casa come presentisse che solo in quella
casa le sue rime potessero essere raccolte e preservate. Per non essere
dimenticato e forse per non dimenticare se stesso, per non replicare
l'orgoglioso puntiglio nichilista della dimenticanza prima ancora della
scomparsa, la casa, fu per Moretti, luogo di accoglienza e memoria, museo
oracolare, tempio e dedizione alla parola, una divinizzazione percepita come
dono alla città e ai suoi concittadini. Nella romagna solatia, la poesia che immagina
se stessa senza profondità inonda di impalpabilità l'ombra stessa delle cose
descritte, e i sentimenti sfogliati lentamente come meditate pagine di libri,
perché su quell'ombra tutto si fonda e si mescola nel crogiolo che guarda il
porto canale.
Il poeta traccia singolari linee offuscate di preghiera, intime
voluttà scandite dalla memoria di una casa-nido che offre ristoro e bellezza,
intinge la sua penna in un sospetto di vita che la leggerezza dello sguardo e
del colore cinerino delle sue parole venano di crepuscolare abbandono.
L'appartato poeta romagnolo, che fu vagabondo in gioventù nelle
città europee del primo novecento non fu impressionato dai movimenti artistici
vorticosi che si affermavano, al contrario quei movimenti non lo coinvolsero;
egli vive al contrario in una reclusione amorevole, prigioniero volontario di
una riflessione in rima sulle piccole cose quotidiane che sono amore per il
dettaglio, per la piega di una tenda, il crocchiare di un merlo, o il verso
scritto per lo sbocciare di una rosa. Un petalo caduto sul foglio è per lui il
centro del mondo e delle sue rime e si allontana per questo da un mondo
volgare, il mondo della storia che il poeta osserva dalle persiane socchiuse.
Nessuna filosofia c'è mai stata ad appesantire la sua poesia,
nessun messaggio sotteso, eppure il poeta di Cesenatico, frugale di apparizioni
aumenta la sua presenza tra noi commentando appartato la vita dando forma e
sostanza a un'antistorica concezione della presenza poetica per sottrazione
della figura del poeta.
di Ivano Nanni