Eppure, nonostante la ruggine di stilemi e cliché offerti, e nonostante un budget low (6000$, solo quattro giorni di riprese), La casa muta si è guadagnato una vetrina prestigiosissima come Cannes grazie al suo canale comunicativo, il piano sequenza. Hernández, il regista, sceglie questa complicata via di rappresentazione per il suo film, e almeno di questo è doveroso rendergli merito perché la difficoltà della “presa reale” obbliga, immagino, ad uno studio minuzioso di ogni passaggio con una percentuale di possibilità d’errore prossima allo zero; si cercano soluzioni sì e no interessanti anche se alla lunga stucchevoli, come i riflessi sugli specchi, e si prova a fare atmosfera con risultati accettabili, ma una lampada nel buio è già di per sé un facile viatico per incutere apprensione.
La tecnica, come era prevedibile, non riesce però a mascherare il deserto di idee che fa da base, tanto che la risoluzione dell’inghippo è talmente fumosa da far emergere incongruenze e vuoti narrativi grandi così. Quindi, lasciate perdere gli strilli pubblicitari, PVC-1 (2007) è cinema cento piani sopra questo.