NGC 4651 prende il nome di galassia Ombrello per via delle caratteristiche evidenziate nel riquadro a sinistra. Si tratta di un ammasso di detriti appartenenti a una piccola galassia, triturati a pezzi dall’azione della forza di gravità. L’immagine è il risultato di una combinazione di dati raccolti dal BlackBird Remote Observatory Telescope in Nuovo Messico e dal Subaru Telescope a Mauna Kea, nelle Hawaii. Crediti: R. Jay Gabany.
A volte bisogna cambiare prospettiva per farsi un’idea più precisa di come vanno le cose. È quanto devono aver pensato Caroline Foster e i ricercatori dell’Australian Astronomical Observatory quando hanno messo gli occhi su NGC 4651, ribattezzata galassia Ombrello (Umbrella Galaxy) nell’intenzione di raccogliere importanti informazioni e spiegarne il comportamento. Mettendo insieme i dati raccolti dal W.M. Keck Observatory e dal Subaru Observatory di Mauna Kea, nelle Hawaii, sono riusciti a modellizzare una piccola galassia nel peculiare momento in cui viene inghiottita da una galassia più grande.
La galassia si trova a 62 milioni di anni luce di distanza, nella costellazione della Chioma di Berenice, e deve il suo nome alla particolare forma a ombrello, composto da un flusso di stelle residuo di una galassia nana sbriciolata dal campo gravitazionale della galassia più grande.
Il paper, in corso di pubblicazione nelle Monthly Notices della Royal Astronomical Society, si occupa di fenomeni di fusione comuni in tutto l’Universo, ma difficili da visualizzare a causa del debole segnale dei corpi, per così dire, fagocitati dai giganti dello spazio.
Dopo aver preso le immagini panoramiche della galassia Ombrello con la Suprime-Cam del Subaru Observatory, il team australiano si è servito dello strumento DEIMOS, installato sul telescopio Keck II. L’insieme di dati raccolti è bastata a tracciare i movimenti del flusso stellare della galassia più piccola e comprendere in che modo venga sbriciolata dalla maestosa vicina. I traccianti luminosi includono ammassi globulari di stelle, nebulose planetarie e macchie di gas idrogeno incandescente.
“L’idea che ci siamo fatti di che cosa sia una galassia, e di come questa possa accrescere ed espandersi, non è mai stata completamente verificata. Lo studio che presentiamo può aiutarci a dirimere la questione”, spiega Aaron Romanowsky, co-autore della ricerca e astronomo presso la San José State University e gli osservatori dell’Università della California. “Galassie più grandi consumano costantemente sistemi stellari più piccoli come parte di una catena alimentare cosmica. Quando una galassia viene divorata possiamo dare un’occhiata a quello che normalmente rimane celato, grazie al processo di lacerazione che illumina la regione. Ed è esattamente quello che si è verificato in questo caso”.
“Avere una misura del debole flusso di stelle nella galassia Ombrello ci ha consentito, per la prima volta, di ricostruire la storia di un sistema nano”, aggiunge Caroline Foster.
“Essere in grado di studiare i flussi di stelle a queste distanze significa che possiamo procedere a ricostruire anche la storia di altre galassie e farci un’idea di quanto spesso fusioni ‘minori’ di questo genere possano aver avuto luogo e contribuire a spiegare l’accrescimento delle galassie nell’Universo”, conclude Romanowsky.
Il menu galattico è servito e, a quanto pare, la fame non manca.
Fonte: Media INAF | Scritto da Davide Coero Borga