Magazine Cultura
Anno: 2011 Editore: Einaudi, collana Stile Libero Big Traduzione: Margherita Botto Pagine: 432 ISBN: 9788806209759 Euro: 19,00
Durante una vacanza in Alsazia, anni fa con mia moglie, vagando con l'automobile attraverso la campagna francese, sconfinammo in Lorena alla ricerca di un ristorante che ispirasse le nostre papille. A un certo punto decidemmo di prendere una strada secondaria che si immergeva in un bosco e segnalava con cartelli di legno la presenza, per quanto capivamo, di una trattoria a conduzione familiare. Il nostro vagare fu ampiamente ricompensato dal ritrovamento del tutto causale e rabdomantico di un bellissimo castelletto seicentesco entro il cui salone riposava un enorme camino di pietra. Sul fuoco del camino il proprietario del ristorante abbrustoliva grosse fette di pancetta, raccontando ai commensali storie di caccia e di cucina, e servendo poi, insieme al bacon, anche squisite quiche lorrain come non ne ho mai assaggiate in vita mia. Il pranzo terminava con una crostata di mirtilli del sottobosco circostante, accompagnata con panna. Naturalmente il tutto era impreziosito dal sapore intenso di un ottimo rosso alsaziano, che alla fine della libagione ci fece gradevolmente girare la testa. Ciò che soprattutto ci colpì di quell'ambiente era l'atmosfera di intima familiarità e informalita', rappresentata in particolare dal bacon abbrustolito sotto i nostri occhi al fuoco del grande camino di pietra. La lettura dell' ultimo romanzo di Fred Vargas, "La cavalcata dei morti", mi ha fatto lo stesso effetto, o meglio mi ha riportato alla mente quell'esperienza alsaziana, così nutriente, così arricchente, ed e' proprio per questo che ve l'ho raccontata qui per esteso, all'interno di una recensione a questo libro. Passeggiando nel bosco maledetto di Bonneval, Normandia, insieme al commissario Adamsberg, sembra di sentire il sapore delle more che il commissario raccoglie lungo il suo cammino, per poi fermarsi ad assaporarle, seduto su un tronco muschioso. Chi ama la scrittura morbidosa e vellutata della Vargas, archeologa e medievalista francese, creatrice sublime del personaggio del commissario dell'Anticrimine Adamsberg, si delizierà qui come in un bagno caldo, ritrovando tutte le atmosfere e lo stile sognante che aveva incontrato negli altri romanzi. Non siamo di fronte alla potenza drammatica di un "Sotto i venti di Nettuno"(2005) , e neanche al fascino millenaristico-leggendario di "Nei boschi eterni" ( 2007, che e' a mio avviso il suo capolavoro). In "La cavalcata dei morti" Vargas sembra concedersi anche lei ( e lei con noi, obviously) una tranquilla passeggiata nella foresta, rispetto ad altri suoi romanzi adamsbergiani in cui il ritmo e la vitalità caotica degli ambienti descritti dominano con maggiore nerbo la scena narrativa. Si tratta di una tranquillità relativa, naturalmente, poiché nel corso del romanzo vengono fatte secche almeno quattro persone, nonché descritte le atrocità sadiche di un padre sui suoi tre figli piccoli, ma il libro rimane comunque godibilissimo dalla prima all'ultima pagina. L'incipit e le pagine di apertura subito successive, sono poi gustosissime perché aprono alcuni sotto-plot polizieschi minori, che hanno come protagonisti alcuni piccoli animali (due topini che mangiano mollica di pane, e un piccione, vittima di un vandalo che gli ha legato le zampe con la corda di uno yo-yo, di cui Zerk, il figlio ventottenne di Adamsberg si prenderà cura, dopo che il volatile sarà passato dalle mani amorevoli della tenente Retancourt). La caratterizzazione delle altre figure, gli abitanti della cittadina di Ordebec in Normandia, e' disegnata altresì con mano creativa e umanamente toccante: i tre fratelli, Vandermot, per esempio, costituiscono un affresco familiare dai colori selvatici, bizzarri e insieme poeticissimi, basti pensare al fatto che uno dei fratelli, Martin, passa le sue giornate a catturare insetti nel bosco per poi farne marmellate e patè che offre ai suoi ospiti inorriditi; oppure Lina, l'altra sorella, evocherà in Adamsberg il ricordo di un dolce dei Pirenei, un koglouf, reso morbido dal miele e guarnito di mandorle. Come quasi tutti i romanzi della Vargas, le suggestioni storiche legate a leggende medievali, si intrecciano con la dura realtà di crimini perpetrati nel presente, e anche qui infatti ci viene descritta come sfondo la leggenda della "schiera selvaggia", masnada di guerrieri fantasma che cavalcano urlando scheletri di cavalli, guidati dal diabolico Sire di Hellequin, attraversando tutto il nord Europa. La storia e l'intreccio sono poi, come di consueto, molto ben congegnati e il colpo di scena finale, pur non essendo un fuoco d'artificio ferragostano, lascia comunque basiti e pensierosi al punto giusto. Una Vargas dunque leggermente in minore, rispetto ad altre sue opere precedenti, nelle quali appare più ispirata, ma in ogni caso da leggere assolutamente per rendere l'Estate più fresca e gradevole.
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