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La cavalcata dei morti / Fred Vargas

Creato il 30 agosto 2011 da Lo Sciame Inquieto
La cavalcata dei morti / Fred Vargas La cavalcata dei morti / Fred Vargas; trad. di Margherita Botto. Torino: Einaudi, 2011.

Bentornata, Fred!

Viene proprio voglia di esclamare così durante tutta la lettura de La cavalcata dei morti. Sì, perché devo ammettere che l'ultimo romanzo della Vargas pubblicato da Einaudi, Prima di morire addio, ambientato in Vaticano ed estraneo al mondo di Adamsberg e compagni, l'ho abbandonato dopo una cinquantina di pagine, trovandolo illeggibile e quasi insignificante.

La gioia nel ritrovare la Vargas che amo ai suoi massimi livelli (che per me sono quelli di Parti in fretta e non tornare e Sotto i venti di Nettuno) è stata grande!

La cavalcata dei morti ci offre, infatti, al meglio i due prodotti più tipici della scrittrice francese: un giallo (anzi in questo caso più di uno) ben congegnato, che affonda le radici negli studi sul Medioevo dell'autrice, ma attinge anche alla migliore tradizione giallistica ricordando a tratti certi racconti di Agatha Christie, e l'affresco umano, che qui acquista una dimensione addirittura corale.

Perché non c'è solo Adamsberg con i suoi ragionamenti sconclusionati e le sue connessioni apparentemente senza senso, non c'è solo Danglard con il suo sapere sterminato, la sua dipendenza dall'alcol e il suo attaccamento quasi morboso al commissario.
Ci sono anche tutti i componenti della squadra di Adamsberg che abbiamo imparato a conoscere ed amare in questi anni: Veyrenc con le sue ciocche rosse e i suoi versi improvvisati, il gigante buono Violette Retancourt, e poi Mercadet, Noel, Froissy...

In questo libro facciamo poi la conoscenza di Armel, detto Zerk, il figlio ventottenne che Adamsberg non pensava di avere, e ritroviamo Lucio, lo spagnolo vicino di casa, nonché l'osteopata miracoloso rinchiuso nel carcere di Fleury. E poi ci sono i personaggi di Ordebec, dove si svolge la storia: Lina, Antonin, Martin, Hyppo, Lèone, il conte e tanti altri.
Tutti così caratterizzati, osservati con una tale cura dei particolari, da apparirci vividi come se li avessimo incontrati di persona.

Manca solo Camille, nominata una volta e di sfuggita da Danglard, ormai ricordo doloroso e al contempo evanescente nella mente di Adamsberg.

La storia prende spunto dalla leggenda medievale della Schiera furiosa, un esercito di soldati semi-morti che percorre da secoli gli stessi sentieri del Nord Europa, mostrandosi solo ai prescelti e annunciando la morte di gente che ha nel suo passato azioni malvagie rimaste impunite.

Ma come sempre accade nei romanzi di Adamsberg, leggenda e superstizione sono lo strumento che gli uomini utilizzano per coprire le loro atrocità.

Bello aspettare ogni istante libero per immergersi nella storia, bella anche quella specie di nostalgia che ci coglie quando - letta l'ultima riga - sappiamo di stare di nuovo abbandonando il mondo di Adamsberg.

La sensazione che quel mondo in nostra assenza vada avanti comunque, dotato di una vita indipendente, e che a noi lettori venga offerto di tanto in tanto l'opportunità di osservarlo da una finestra, ma solo per il tempo della lettura di un romanzo, resta forte. E in qualche modo ci rassicura.

Perché sappiamo che prima o poi i nostri cammini si incroceranno di nuovo.

Voto: 4,5/5

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