Sono quattro giorni che seguo on-line le manifestazioni di Chicago contro il G8 e la NATO.
Manifestazioni che chiedono, in modo pacifico e apartitico, una democrazia partecipata, e non una politica in mano ai poteri forti e agli interessi privati; la fine della dittatura della finanza, verso una giustizia sociale possibile, e la sospensione di ogni abuso di potere che leda i diritti inviolabili dei cittadini; la sospensione delle spese militari, a favore di investimenti nella sanità e nella scuola.
Ho raccontato le ultime due notti attraverso le parole degli altri, su Storify.
[View the story "La notte che trema" on Storify]
[View the story "Un altro mondo è possibile? #Chicago2012" on Storify]
Chicago Tribune
L’immagine che mi porto dentro è quella di una città militarizzata e sotto assedio, dove i manifestanti sono stati accerchiati, condotti allo sfinimento, provocati, arrestati senza motivo, picchiati mentre erano armati solo di una macchina fotografica.
Domenica mattina, le agenzie diffondono le foto di Camp David: foto che non sono state scattate da un paparazzo in appostamento, ma da un fotografo ufficiale, e poi celte appositamente dagli interessati per essere diffuse sulla stampa.
L’immagine che i grandi della terra vogliono darci del summit è di un incontro informale, sereno, pacato, a tratti gioviale: fino ad arrivare allo scatto che li ritrae davanti alla partita della Champions, come milioni di altri telespettatori, tifosi e sportivi.
Quello che io percepisco – ma posso sbagliarmi – è che i “ragazzi” di Camp David, coi loro maglioncini di cachemire ci vogliono dire che va tutto bene, di stare tranquilli e sereni che loro hanno ogni cosa sotto controllo; che sono gente semplice, che sorride di una torta di compleanno e si emoziona davanti ai rigori, proprio come noi. È un intento di vicinanza, dipinto di colori rassicuranti e celebrato da grandi sorrisi e felicità semplici.
Peccato che fuori da Camp David, per le strade di Chicago, il rumore del mondo reale fosse frastornante: le fotografie della democrazia avevano tutte il manganello in mano.
Che sia la madre che chiede un mondo migliore per il figlio che porta in grembo, il veterano che getta la sua medaglia al valore, il disoccupato che non sa come pagarsi da mangiare o l’attivista che semplicemente chiede un mondo più equo, il rischio è che la maggior parte di noi provi meno empatia per i migliaia come loro in mezzo alla strada circondati dai celerini che per quei cinque BIG davanti alla Champions.
Quasi nessuno ne ha parlato, è vero, ma se anche lo avessero fatto temo che i rigori avrebbero potuto vincere comunque. I rigori vincono sempre, soprattutto in Italia.
E io m’incazzo da morire quando la presa per il culo è così spavalda, passata per faccenda innocua, per gesto per bene, vestita di cachemire e organza.
Consapevole che farò due fatiche, come sempre, ma che m’incazzo lo devo dire: perché lo stridore tra il dentro e il fuori Camp David inizia a bruciare troppo.