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La chiave di Sara
(Francia 2010)
Titolo originale: Elle s'appelait Sarah
Regia: Gilles Paquet-Brenner
Cast: Kristin Scott Thomas, Mélusine Mayance, Charlotte Poutrel, Frédéric Pierrot, Niels Arestrup, Aidan Quinn
Genere: il passato incontra il presente
Se ti piace guarda anche: Il debito, La donna che canta, Valzer con Bashir
“La verità ha un prezzo, che ci piaccia o no.”
Sono un po’ preoccupato.
“Per cosa, Cannibal. Per la crisi economica?”
Ma quale crisi economica? Lo sappiamo tutti che non esiste. È una pura invenzione di marketing. I ristoranti sono tutti pieni…
Oops, scusate. Stavo utilizzando un discorso, o meglio L’Ultimo discorso da Premier dell’ex Premier Berlusconi.
Quanto mi piace dire EX Premier? Non che quello attuale sia il vero Salvatore della patria. Non che il Parlamento oggi non continui a difendere i mafiosi. Non che in Italia ora ci sia una reale democrazia.
Però, quanto mi piace lo stesso dire EX Premier?
Sono preoccupato perché la scorsa annata cinematografica era iniziata alla stra-grande, con il super capolavoro
Il cigno nero, l’ottimo Non lasciarmi, e visioni se non altro interessanti come 127 ore, Vallanzasca e I’m Still Here. Il cigno nero in particolare è stato la mia prima recensione ufficiale del 2011 e si è rivelato poi anche il mio film preferito dell’annata appena passata. Cosa che invece non si replicherà quest’anno. E se il buon giorno si vede dal mattino…
Tra film osannati da altre parti e che a me invece hanno convinto ben poco, come La talpa o L’arte di vincere - Moneyball (di cui parlerò prossimamente), e robe molto modeste come Non avere paura del buio o Finalmente maggiorenni, il film che ho apprezzato di più nel corso di questo primo breve scorcio di 2012 è allora questo La chiave di Sara. Tutt’altro che un capolavoro o una visione imprescindibile, me ne rendo io stesso conto per primo, però almeno è una pellicola capace di raccontare una storia, per quanto non particolarmente originale, senza farmi cadere in coma prima della fine.
Non un film grandioso, niente che non si sia già visto prima, eppure un film da amare. O a cui volere un pochino bene, almeno.
Innanzitutto partiamo dai motivi che mi hanno spinto a vederlo. Ogni tanto, non so perché, sento il bisogno di vedere una pellicola francese. Capita spesso con i film britannici, sovente con quelli giapponesi e ogni tanto anche con quelli dei cugini francesi. Più raramente con quelli italiani, ma il più delle volte cerco di resistere.
L’altro motivo è la colonna sonora, firmata da
Max Richter, già autore delle splendide musiche dello splendido Valzer con Bashir. Le avevo sgamate qualche tempo fa in rete, le avevo ascoltate, mi erano piaciute, sebbene siano più convenzionali e meno ritmate rispetto a quelle di Waltz with Bashir, e da lì avevo deciso di dare una possibilità anche all’intera pellicola. Anche perché una pellicola con un bel commento sonoro per me è già sulla strada vincente.
Elle s’appelait Sarah. Volete mettere il titolo originale con La chiave di Sara? Il primo te lo fa venir duro: Elle s’appelait Sarah. Come suona bene il francese? Il secondo nonostante rimandi a un celebre film di
Tinto Brass te lo ammoscia. “Te la chiavi Sara” sarebbe stato già un titolo più appealing, forse un filino fuorviante, però più appealing.
Tornando seri, ammesso e non concesso che seri lo siamo mai stati (e perché diavolo sto parlando con il pluralis maiestatis?), La chiave di Sara racconta una storia dannatamente seria. Questa sì, non ci sono cazzi che tengano, è per questo che volevo e dovevo tornare serio. Si affronta infatti il tema dell’olocausto e delle deportazioni degli ebrei, ma da un punto di vista diverso dal solito. I cattivoni questa volta non sono i soliti tedeschi o noi italiani (noi? io non c’entro un cazzo!), bensì i francesi. In un’epoca in cui il Male e la follia avevano preso il sopravvento, nessuno era esente da colpe e pure i cugini galletti si ritrovano con i loro scheletri negli armadi.
E, vedendo questo film, intendo letteralmente scheletri negli armadi.
La storia, tratta dall’omonimo best-seller di Tatiana de Rosnay, si dipana su due piani temporali: uno nel 1942, al tempo del nazi-fascismo che per un certo periodo ha infettato pure i francesi, attraverso le vicende di una famiglia ebrea deportata; l’altro piano nel presente vede invece protagonista una giornalista, una ottima
Kristin Scott-Thomas, attrice inglese che qui fa la parte dell’americana e che ormai lavora stabilmente in Francia. Mi riferisco sia a lei attrice, di recente vista anche nell’ottimo thriller
Crime d’amour insieme/contro Ludivine Sagnier, sia al personaggio della giornalista che qui interpreta. Che confusione geografica!
La Scott-Thomas mai mi era piaciuta, sarà che il suo film più celebre è quella mega flebo del Paziente inglese, ma adesso superata la soglia dei 50 con quel fascino da MILF è invece un donnino sempre più affascinante e, a parte questo, qui interpreta in maniera molto naturale una giornalista che si ritrova a scrivere un articolo proprio su questa oscura e vergognosa pagina rimossa della Storia di Francia e di cui l’allora Presidente (e oggi condannato in tribunale) Chirac si è scusato soltanto nel 1995. Allo stesso tempo, e per una di quelle coincidenze che capitano solo nei film o nei romanzi, la giornalista va anche a vivere in un appartamento che, come scoprirà, era stato abitato in passato proprio da una di quelle famiglie ebree. Nello specifico, proprio dalla famiglia di cui seguiamo le vicende nell’altro arco temporale, e in particolare di Sarah, la bambina che crescendo diventerà un vero e proprio pezzo di figa. Scusate il francesismo, ma è così che stanno le cose e a interpretarla nella versione adulta troviamo l’emergente e notevolissima
Charlotte Poutrel.
Due storie distinte che si uniscono, come capitava negli episodi di
Lost e come capita qui con buoni risultati. Sebbene no, non ai livelli di Lost. La chiava di Sara mi ha ricordato anche altre visioni recenti come Il debito, film mediocre con però dalla sua un’eccezionale Jessica Chastain, o il superbo La donna che canta. E pure il già citato Valzer con Bashir. Qui con La chiave di Sara non siamo certo a quei livelli, però è comunque interessante il mescolarsi del presente con una vecchia storia del passato che riaffiora a galla, con i suoi misteri e le sue cicatrici mai rimarginate. La protagonista segue le tracce di quello che si può considerare un Cold Case e fa affiorare delle domande tremendamente attuali.
Il rischio con storie di questo tipo è quello di scadere nella retorica e nel patetismo e questa chiave di Sara lo schiva ma non lo evita del tutto, chessenò staremmo qui a parlare di un filmone e non solo di un film meritevole. Niente di preoccupante, comunque, visto che non si cede a eccessivi sentimentalismi. Un paio di momenti risultano anzi parecchio forti e toccanti senza smancerie, in particolare la fuga delle bimbe dal campo di concentramento e la scoperta shock della piccola Sarah. Scoperta che non vi rivelo, se no che shock è?
La pellicola ci mette un pochino a ingranare nella prima parte, in cui il pericolo di assistere al solito film enfatico-storico è ancora in agguato, però poi si evolve in maniera interessante e avvincente, pur mantenendo pur sempre dei ritmi blandi, e cede giusto nel finale. L’ultima scena infatti possiamo anche definirla forzata, a essere buoni, o una cazzatona, a essere cattivi, eppure mi sono quasi commosso.
Questo film insomma è efficace. Sì, credo sia questo il termine più appropriato per definirlo. Non eccezionale. Certo non innovativo. Però è efficace e ha saputo aprire la chiave del mio cuore.
Ok, quest’ultima frase forse era un tantino troppo gay.
Rifacciamo.
La chiave di Sara è un film efficace. Punto. E se non gli do’ un voto più alto un po’ è perché non se lo merita e un po’ perché quest’anno ho deciso di essere più cattivo. Talmente cattivo che tra un po’ vedrete scorrere il sangue in questo blog.
Ok, ho esagerato di nuovo. Dannato me.
Rifacciamo.
La chiave di Sara è un film efficace. Punto. Fine recensione.
(voto 6,5/10)