La chiesa di Santa Croce a Ittireddu

Creato il 08 gennaio 2013 da Ilmulinodeltempo @IlMulinodelTemp


Il piccolo centro di Ittireddu, nel Meilogu, a breve distanza da Ozieri, si trova al centro di un territorio ricchissimo di testimonianze del passato. I numerosi siti archeologici e i monumenti di epoca medioevale documentano le diverse epoche storiche, dal neolitico recente all’epoca romanica, con strutture architettoniche di notevole interesse. Per quanto riguarda l’epoca medioevale si segnalano, in particolare, le chiese di Santa Croce e di Sant’Elena (quest’ultima allo stato di rudere), di età bizantina, e la chiesa di San Giacomo, che conserva strutture romaniche inquadrabili nel XIII secolo. L’edificio senza dubbio più interessante è la chiesa di Santa Croce, che sorge isolata in una piccola piazza nel centro storico del paese, di cui potrebbe essere stata l’antica parrocchiale.

Ben conservata, la piccola chiesa presenta soluzioni strutturali di particolare rilievo e complessità, che pongono non pochi problemi relativamente al loro inquadramento cronologico e alle diverse fasi edilizie che hanno portato all'organismo attualmente visibile. La pianta è a croce latina, orientata, con il braccio est absidato e transetto, più stretto dell’aula, che presenta due piccole absidi anch'esse rivolte a oriente.   
Tutti i bracci sono voltati a botte. L’illuminazione interna è assicurata da due finestrelle nelle absidiole minori e da due aperture più ampie (rivolte a nord e a sud) nel tiburio. Una ulteriore luce bifora, oggi occlusa, si apriva al centro del semicilindro dell’abside maggiore.  Le coperture a botte, all’esterno, sono interamente mascherate con tetti a doppia falda e tegole. La facciata principale è sormontata da un campanile a vela con unica luce a tutto sesto. La presenza di un transetto con bracci più stretti rispetto alla navata principale crea un vano d’incrocio con inconsueta pianta rettangolare, elemento che non permette l’imposta della canonica cupoletta su base quadrata e con trombe angolari, visibile in altri edifici bizantini cruciformi della Sardegna; all’incrocio tra navata e transetto si innalza, pertanto, un tiburio su base rettangolare con copertura a botte trasversale all’aula e in asse con quella dei due bracci del transetto. Quest’ultimo particolare costruttivo, l’icnografia a croce latina e la presenza delle tre absidi sono elementi estremamente rari nel panorama architettonico altomedioevale della Sardegna, almeno allo stato attuale delle conoscenze. L’unico parallelismo possibile può essere proposto unicamente con un altro edificio: la piccola chiesa di San Salvatore, oggi inglobata nei moderni quartieri della periferia di Iglesias e recentemente recuperata dopo decenni di incuria e abbandono. Le due chiese hanno strutture architettoniche pressoché identiche, ma ciò non consente di ipotizzare dei legami storici diretti tra i due edifici, situati in aree geografiche molto distanti tra loro; nonostante ciò, le stringenti analogie formali e le peculiarità costruttive rendono l’indagine di questo fenomeno una questione aperta e ancora ben lontana dall'essere risolta.
 Chiesa di San Salvatore - Iglesias 


La chiesa di Santa Croce, dopo gli ultimi interventi di restauro, che hanno rimosso i pesanti intonaci esterni (l’interno si presenta, invece, totalmente intonacato ad esclusione delle absidi), permette una lettura delle stratigrafie murarie abbastanza agevole: l’esame delle murature ha permesso di formulare alcune ipotesi sulla genesi dell’edificio e sulle ipotetiche fasi di ampliamento successivo. Il monumento è costruito con cantonetti litici di piccola pezzatura appena sbozzati, con elementi altrettanto grezzi, ma più grandi, posti a rinforzo degli spigoli. 
Alcuni studiosi hanno formulato l’ipotesi di un originario impianto a croce greca con unica abside, a cui poi seguì, in una seconda fase, l’apertura delle due absidiole minori e, infine, un ampliamento ancora successivo verso occidente, con la conseguente realizzazione di una nuova facciata, come testimonierebbe una rottura muraria verticale apprezzabile nel braccio occidentale. L’ipotesi di un edificio nato con icnografia a croce greca e monoabsidato a cui poi si aggiunsero le altre due absidiole non sembrerebbe supportata da riscontri oggettivi, mentre diverso è il discorso per quanto concerne l’ampliamento della chiesa verso occidente, che sarebbe sostenuto da diversi elementi: innanzi tutto i caratteri formali del prospetto principale, che presenta una muratura isodoma in piccoli conci rozzamente squadrati, in cui si apre un portale non architravato con arco ogivale che propone stilemi già volgenti al gotico; i marcati accenni alla bicromia, ottenuta con piccoli conci basaltici, sia nel paramento murario che nell’arco del portale, unitamente alle caratteristiche dell’arco stesso, porterebbero a formulare, per l’ampliamento in oggetto, una datazione al pieno XIII secolo.  Ulteriore elemento a sostegno di questa ipotesi, emerso dai restauri, sarebbe la presenza di fondazioni robuste nel braccio occidentale a partire dalla cesura muraria suddetta, mentre il resto dell’edificio poggerebbe direttamente sul terreno. Nonostante le diverse ipotesi e le soluzioni proposte, le argomentazioni qui esposte restano problema aperto, in quanto, come già detto, l’edificio costituisce, per le sue particolarità costruttive, un caso quasi isolato nel panorama dell’architettura altomedioevale sarda, essendo radicalmente differente rispetto alle altre chiese a croce greca con bracci di uguale ampiezza e cupola all’incrocio e non essendo del tutto convincenti (se si esclude la cronologia del prospetto principale) le diverse idee di restituzione planimetrica delle ipotetiche fasi edilizie. 
Inoltre la stretta affinità della chiesa con l’edificio iglesiente sopra ricordato, e che mostra strutture eseguite in apparenza in un’unica fase, complica le cose e impone riflessioni più approfondite, che servirebbero a chiarire la genesi di edifici con queste caratteristiche e i riferimenti culturali, diretti o indiretti, verso altre zone dell’impero bizantino.
L’estrema rozzezza tecnica mostrata nella messa in opera dei paramenti murari suggerisce una esecuzione dell’edificio da parte di maestranze locali incapaci di dominare la tecnica costruttiva, ma che erano perfettamente a conoscenza dei modelli a cui fare riferimento, che, comunque, restano difficili da precisare, se non in modo piuttosto generico. L’inquadramento cronologico della chiesa di Santa Croce è probabilmente l’elemento che più ha fatto discutere i diversi studiosi che, negli anni, hanno dedicato all’edificio contributi scientifici più o meno ampi.  Diversamente datata, in modo incerto e ipotetico, dal VI-VII al X-XI secolo, è molto difficile stabilire una cronologia precisa. Qui si sceglie di seguire la recente proposta di datazione all’VIII-IX secolo, alla luce degli ultimi studi di Roberto Coroneo, che ha prospettato un interessante parallelo con altre architetture bizantine dell’area mediterranea e ha ampliato l’orizzonte culturale e artistico a cui fare riferimento, che sembra prendere forma con maggiore precisione e con argomentazioni strutturate e più convincenti. 
Molto interessante l’accostamento alle fasi del primo impianto della chiesa di San Salvatore a Montecchia di Crosara (Verona), che presenta soluzioni del tutto simili. La datazione della chiesa di Santa Croce viene estesa, per le suddette ragioni, anche alla chiesa di San Salvatore di Iglesias.
Nicola S.
Per saperne di più si veda: R. Coroneo, Arte in Sardegna dal IV alla metà dell’XI secolo, Edizioni AV, Cagliari 2011, con bibliografia precedente.

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