Il piccolo centro di Ittireddu,
nel Meilogu, a breve distanza da Ozieri, si trova al centro di un territorio
ricchissimo di testimonianze del passato. I numerosi siti archeologici e i
monumenti di epoca medioevale documentano le diverse epoche storiche, dal
neolitico recente all’epoca romanica, con strutture architettoniche di notevole
interesse.
Per quanto riguarda l’epoca
medioevale si segnalano, in particolare, le chiese di Santa Croce e di
Sant’Elena (quest’ultima allo stato di rudere), di età bizantina, e la chiesa
di San Giacomo, che conserva strutture romaniche inquadrabili nel XIII secolo.
L’edificio senza dubbio più
interessante è la chiesa di Santa Croce, che sorge isolata in una piccola
piazza nel centro storico del paese, di cui potrebbe essere stata l’antica
parrocchiale.
Ben conservata, la piccola chiesa
presenta soluzioni strutturali di particolare rilievo e complessità, che
pongono non pochi problemi relativamente al loro inquadramento cronologico e
alle diverse fasi edilizie che hanno portato all'organismo attualmente
visibile. La pianta è a croce latina, orientata, con il braccio est absidato e
transetto, più stretto dell’aula, che presenta due piccole absidi anch'esse rivolte a oriente.
Tutti i bracci sono voltati a botte. L’illuminazione interna
è assicurata da due finestrelle nelle absidiole minori e da due aperture più
ampie (rivolte a nord e a sud) nel tiburio. Una ulteriore luce bifora, oggi
occlusa, si apriva al centro del semicilindro dell’abside maggiore.
Le
coperture a botte, all’esterno, sono interamente mascherate con tetti a doppia
falda e tegole. La facciata principale è sormontata da un campanile a vela con
unica luce a tutto sesto.
La presenza di un transetto con
bracci più stretti rispetto alla navata principale crea un vano d’incrocio con
inconsueta pianta rettangolare, elemento che non permette l’imposta della
canonica cupoletta su base quadrata e con trombe angolari, visibile in altri
edifici bizantini cruciformi della Sardegna; all’incrocio tra navata e
transetto si innalza, pertanto, un tiburio su base rettangolare con copertura a
botte trasversale all’aula e in asse con quella dei due bracci del transetto.
Quest’ultimo particolare
costruttivo, l’icnografia a croce latina e la presenza delle tre absidi sono
elementi estremamente rari nel panorama architettonico altomedioevale della
Sardegna, almeno allo stato attuale delle conoscenze. L’unico parallelismo
possibile può essere proposto unicamente con un altro edificio: la piccola
chiesa di San Salvatore, oggi inglobata nei moderni quartieri della periferia
di Iglesias e recentemente recuperata dopo decenni di incuria e abbandono.
Le
due chiese hanno strutture architettoniche pressoché identiche, ma ciò non
consente di ipotizzare dei legami storici diretti tra i due edifici, situati in
aree geografiche molto distanti tra loro; nonostante ciò, le stringenti
analogie formali e le peculiarità costruttive rendono l’indagine di questo
fenomeno una questione aperta e ancora ben lontana dall'essere risolta.
Chiesa di San Salvatore - Iglesias
La chiesa di Santa Croce, dopo
gli ultimi interventi di restauro, che hanno rimosso i pesanti intonaci esterni
(l’interno si presenta, invece, totalmente intonacato ad esclusione delle
absidi), permette una lettura delle stratigrafie murarie abbastanza agevole:
l’esame delle murature ha permesso di formulare alcune ipotesi sulla genesi
dell’edificio e sulle ipotetiche fasi di ampliamento successivo.
Il monumento è costruito con
cantonetti litici di piccola pezzatura appena sbozzati, con elementi altrettanto
grezzi, ma più grandi, posti a rinforzo degli spigoli.
Alcuni studiosi hanno formulato
l’ipotesi di un originario impianto a croce greca con unica abside, a cui poi
seguì, in una seconda fase, l’apertura delle due absidiole minori e, infine, un
ampliamento ancora successivo verso occidente, con la conseguente realizzazione
di una nuova facciata, come testimonierebbe una rottura muraria verticale
apprezzabile nel braccio occidentale. L’ipotesi di un edificio nato con
icnografia a croce greca e monoabsidato a cui poi si aggiunsero le altre due
absidiole non sembrerebbe supportata da riscontri oggettivi, mentre diverso è
il discorso per quanto concerne l’ampliamento della chiesa verso occidente, che
sarebbe sostenuto da diversi elementi: innanzi tutto i caratteri formali del
prospetto principale, che presenta una muratura isodoma in piccoli conci
rozzamente squadrati, in cui si apre un portale non architravato con arco
ogivale che propone stilemi già volgenti al gotico; i marcati accenni alla
bicromia, ottenuta con piccoli conci basaltici, sia nel paramento murario che
nell’arco del portale, unitamente alle caratteristiche dell’arco stesso,
porterebbero a formulare, per l’ampliamento in oggetto, una datazione al pieno
XIII secolo.
Ulteriore elemento a sostegno di questa ipotesi, emerso dai
restauri, sarebbe la presenza di fondazioni robuste nel braccio occidentale a
partire dalla cesura muraria suddetta, mentre il resto dell’edificio poggerebbe
direttamente sul terreno.
Nonostante le diverse ipotesi e
le soluzioni proposte, le argomentazioni qui esposte restano problema aperto,
in quanto, come già detto, l’edificio costituisce, per le sue particolarità
costruttive, un caso quasi isolato nel panorama dell’architettura
altomedioevale sarda, essendo radicalmente differente rispetto alle altre
chiese a croce greca con bracci di uguale ampiezza e cupola all’incrocio e non
essendo del tutto convincenti (se si esclude la cronologia del prospetto
principale) le diverse idee di restituzione planimetrica delle ipotetiche fasi
edilizie.
Inoltre la stretta affinità della chiesa con l’edificio iglesiente
sopra ricordato, e che mostra strutture eseguite in apparenza in un’unica fase,
complica le cose e impone riflessioni più approfondite, che servirebbero a
chiarire la genesi di edifici con queste caratteristiche e i riferimenti
culturali, diretti o indiretti, verso altre zone dell’impero bizantino.
L’estrema rozzezza tecnica
mostrata nella messa in opera dei paramenti murari suggerisce una esecuzione
dell’edificio da parte di maestranze locali incapaci di dominare la tecnica
costruttiva, ma che erano perfettamente a conoscenza dei modelli a cui fare
riferimento, che, comunque, restano difficili da precisare, se non in modo
piuttosto generico.
L’inquadramento cronologico della
chiesa di Santa Croce è probabilmente l’elemento che più ha fatto discutere i
diversi studiosi che, negli anni, hanno dedicato all’edificio contributi
scientifici più o meno ampi.
Diversamente datata, in modo incerto e ipotetico,
dal VI-VII al X-XI secolo, è molto difficile stabilire una cronologia precisa.
Qui si sceglie di seguire la recente proposta di datazione all’VIII-IX secolo,
alla luce degli ultimi studi di Roberto Coroneo, che ha prospettato un
interessante parallelo con altre architetture bizantine dell’area mediterranea
e ha ampliato l’orizzonte culturale e artistico a cui fare riferimento, che
sembra prendere forma con maggiore precisione e con argomentazioni strutturate
e più convincenti.
Molto interessante l’accostamento alle fasi del primo
impianto della chiesa di San Salvatore a Montecchia di Crosara (Verona), che
presenta soluzioni del tutto simili. La datazione della chiesa di Santa Croce
viene estesa, per le suddette ragioni, anche alla chiesa di San Salvatore di
Iglesias.
Nicola S.
Per saperne di più si veda:
R. Coroneo, Arte
in Sardegna dal IV alla metà dell’XI secolo, Edizioni AV, Cagliari 2011,
con bibliografia precedente.