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La Chiesa tra fra’ Cristofori e don Abbondi

Creato il 01 settembre 2013 da Plabo @PaolaBottero

Una piazza piena e attenta per la presentazione del libro di sabbiarossa ED “La ‘ndrangheta davanti all’altare”. Con don Pino Demasi e il Procuratore Giuseppe Creazzo, perché della zona grigia che lambisce la fede non si deve mai smettere di parlare

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«Immaginate una piazza come questa in un giorno di festeggiamenti, la festa religiosa più importante del paese. Immaginate le luminarie. Spente, come quelle di stasera. Ma volontariamente. Per protesta. Per solidarietà a Vincenzino Diano, nemmeno undici anni, appena rapito. In quella serata, da un palco così, don Italo Calabrò proprio non ce la fa a stare zitto. E quando parla non fa sconti. Va giù diretto». Il racconto di venerdì sera è finito dove è iniziato, un anno fa, il nostro percorso. Un racconto difficile, quello della ’ndrangheta davanti all’altare. Mancava Cristina Riso, sul palco: purtroppo non ce l’ha fatta a raggiungerci. C’eravamo noi, gli altri quattro autori: Romina Arena, Francesca Chirico, Alessandro Russo, io. E c’erano due fari in questa terra dove anche la giustizia e la fede rischiano di diventare flebili luci a intermittenza: il Procuratore di Palmi, Giuseppe Creazzo, e don Pino Demasi, referente di Libera per la Piana.

È stata Francesca a chiudere il nostro racconto a Taurianova. L’abbiamo voluto fare con il ricordo della sera del 27 luglio 1984 a Lazzaro. Quella sera in cui don Italo fu molto chiaro: «Io conosco la deformazione che in seno alla mafia è stata data alla parola “uomo”: i mafiosi si ritengono uomini e, addirittura, “uomini d’onore”. Se c’è qualcuno che invece non è uomo è il mafioso, e se c’è qualcuno che non ha onore è il mafioso, i mafiosi non sono uomini e i mafiosi non hanno onore; questo dobbiamo dirlo tranquillamente con tutta la comprensione e la pietà». Era il migliore tributo a un sacerdote che è un punto di riferimento anche a voler leggere da laici i suoi insegnamenti. Perché “nel coraggio dei suoi pastori la gente ritrova il suo coraggio” è una verità assoluta. E ha lo stesso significato anche immaginando che i pastori non siano sacerdoti, ma punti di riferimento scelti dal gregge: quando non si curano dei pascoli o, peggio ancora, vanno a braccetto con i lupi, l’effetto è comunque dirompente. Lo diventa ancora di più quando sono uomini di riferimento e di fede, insieme. Forse proprio per questa ragione abbiamo deciso di sviluppare nero su bianco un tema che nessuno aveva mai trattato prima, non in modo sistematico e completo: i grigi delle infiltrazioni mafiose nella Chiesa.

La Chiesa tra fra’ Cristofori e don Abbondi

Una notte fredda, quella di venerdì sera. Solo dal punto di vista climatico. Aveva piovuto fino a poco prima. A Reggio, quando siamo partiti, facevano la conta dei danni, delle fogne diventate fiumi in piena nelle strade, delle macchine impantanate, degli alberi divelti dal nubifragio. Abbiamo superato i cantieri perenni della A3 (ma davvero c’è ancora qualcuno sicuro che entro la fine dell’anno i lavori saranno finiti?) in contatto diretto con Annamaria Cordopatri, donna instancabile che ha fortemente voluto portare la prima IMPRONTA di sabbiarossa ED, il libro La ’ndrangheta davanti all’altare in piazza Macrì a Taurianova, di fronte alla Chiesa Matrice. I ragazzi della sua associazione culturale, il Domani onlus, hanno fatto il resto, insieme ai volontari che hanno aiutato nell’organizzazione logistica. Esempi della Calabria che amo. Della Calabria che deve essere raccontata sempre e comunque, cercando di portarla fuori dai confini regionali per far capire quanto siano ingiusti gli stereotipi di quella brutta equazione che la vuole sempre associata alla ’ndrangheta. Forse era lo stesso pensiero che il giorno prima, giovedì, ha ispirato il vescovo Morosini, quando ha invitato i giornalisti che parlano delle riunioni della ’ndrangheta a Polsi “ad avere onestà intellettuale e a smettere ormai di parlare di queste cose”, definendo tale abitudine “un discorso trito e ritrito su cui non vale più la pena di ritornare”. Forse no.

Noi di questi discorsi triti e ritriti continueremo a parlare. Continueremo a ritritare con piacere. Sperando di rendere poltiglia ciò che invece è ancora ostacolo solido e visibile. Troppo solido, troppo visibile.

La serata è stata intensa. Intensa per gli interventi. Intensa per l’attenzione di una piazza in cui si è riunito il meglio di Taurianova: volti attenti, silenzio, voglia di ascoltare e capire.

La Chiesa è una. Come è una la fede. Come è uno lo Stato. Come è una la giustizia. Poi arriva il fattore uomo. E gli uomini non sono tutti uguali. Capita che qualcuno non sia in grado o – peggio ancora – non voglia rappresentare al meglio ciò di cui fa parte. Capita che si comporti nel modo opposto di come dovrebbe. Capita che lasci penetrare le prime ombre, permettendo al grigio di diventare uniforme. Anzi, contribuendo alla sua espansione.

Don Pino non ha dubbi, nel delineare le ombre e le luci che sono rappresentate anche nell’opera artistica di Caterina Luciano, Luce/ombra, acrilico su tela dipinto per la copertina del libro. Ci sono tanti fra’ Cristoforo, dice. E tanti don Abbondio. Ci sono state omissioni, soprattutto nel coraggio. Incalzante il suo sottolineare come si sia permesso di far convivere un Dio dei poveri e un Dio dei ricchi, un Dio dei deboli e un Dio dei potenti, e così via, con altre forti dicotomie.

Diverso nei punti di partenza, ma identico nelle risultanze, l’intervento del Procuratore Creazzo. E se don Pino era partito dal coraggio di don Italo, Creazzo parte da Paolo Borsellino: “Politica e mafia sono due poteri che vivono sul controllo dello stesso territorio: o si fanno la guerra o si mettono d’accordo”. Come Chiesa e ’ndrangheta: impossibile non scegliere da che parte stare. Ecco perché, secondo il Procuratore di Palmi, la Chiesa ha un ruolo centrale e decisivo: la ’ndrangheta sarà sconfitta quando la gente deciderà di abiurarla. La fede gioca un ruolo fondamentale per trovare il coraggio di tagliare quel cordone.

È arrivato poi il momento di entrare nel decalogo, illustrando alcuni dei dieci comandamenti attraverso i quali abbiamo raccontato – fatto dopo fatto, nome dopo nome, luogo dopo luogo, proprio a partire da Polsi – il senso capovolto della fede e dell’onore. Romina Arena è partita dal terzo, non uccidere, per arrivare al decimo, non desiderare la roba d’altri. Francesca Chirico il quinto, non uccidere. Alessandro Russo, sviluppando il primo, non avrai altro Dio all’infuori di me e il secondo, non nominare il nome di Dio invano, ha spiegato come e perché gli ’ndranghetisti cercano legittimazione sociale nella religione: partendo dall’immagine del Dio Giano bifronte di Augusto Cavadi è arrivato ai tanti esempi della Chiesa che, anziché resistere e porsi come faro, si volta dall’altra parte. Non affrontando il nodo ’ndrangheta – e trattando i singoli boss come normali peccatori da redimere, e non come domini della criminalità organizzata – o, addirittura, porgendole la mano. Perché, si è chiesto Alessandro, i sacerdoti che si impegnano per arginare il fenomeno della ’ndrangheta, sedendosi accanto a chi ne denuncia le prevaricazioni, sono sempre troppo pochi, e non diventeranno mai monsignori? E perché quando lo sono subiscono, come monsignor Bregantini, la pessima abitudine del promeveatur ut amoveatur?

Tante altre cose avremmo potuto dire. Tante altre ne diremo nei luoghi – il prossimo sarà Gerace, all’interno della Chiesa di San Francesco, domenica 15 settembre – dove porteremo le nostre domande, insieme ai fatti raccolti neLa ’ndrangheta davanti all’altare. Ma le due ore sono volate. La serata si è chiusa con la voce intensa e le note dell’Annarita Romito JazzFantasyTrio. Con una certezza: Il Domani onlus non avrebbe potuto scegliere un nome più appropriato per l’attività culturale e sociale che sta facendo sul territorio. [scirocconews]


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