Magazine Diario personale
I collezionisti di amuleti ben la conoscono. Belle, antiche e preziose sono quelle che si trovano nelle collezioni Bellucci e Elworthy. Neville Rolfe, in Naple in 1888, ci fa notare che la cimaruta è assai diffusa e soprattutto ogni esemplare differisce dagli altri non solo nelle forme quanto anche nei materiali, sebbene si preferisca l'argento se ne trovano di stagno, alluminio, bronzo e corallo. A cinque, sei e sette rami. Sono tutti d'accordo nell' attribuirle una rimarchevole antichità, tuttavia non ci sono fonti né del periodo romano né di quello medievale che ne attestino un qualche uso preciso. Nonostante ciò, studi comparativi hanno mostrato certe somiglianze ed evidenze con amuleti etruschi di bronzo (conservati al Museo Civico Archeologico di Bologna, collezione etrusca) che farebbero propendere per una forma comune iniziale risalente alla prima età del Ferro sulla quale, solo successivamente, si sarebbero innestati ulteriori -posteriori- simbologie.Intanto, come già accennato nel post precedente, a nessuna pianta più della ruta sono attribuite le virtù più disparate fin dai tempi più antichi e presso la maggior parte dei popoli presso cui è conosciuta e usata. Quindi, si può dir di lei, che è un "rimedio universalmente noto" contro i mali.Culpepper dice di lei "E' un'erba solare, dominata dal Leone" e suggerisce, che poiché fu usata in epoche primitive portata al collo -la ruta e solo la ruta, non altra pianta all'infuori di lei!- come amuleto contro il fascino, possa aver acquisito il nome di "cima di ruta" durante il Medioevo anche se Wierus in De Praestigiis Daemonorum (lib. V, cap. XI, col 584) dice che "Rutam fascini amuletum esse tradit Aristoteles".Assunta come forma base dell'amuleto la ruta, dobbiamo ora tener conto della forma convenzionale che il ramoscello assumerebbe presso gli etruschi. Da un esame comparativo dei campioni più antichi emerge che -di base- tutti possiedono tre rami principali (fig 161). E' dunque un amuleto triforme e tergemino. Questa peculiarità fa spesso dimenticare le congetture primarie sull'origine etrusca o punica agli studiosi entusiasti, precipitosi e poco accurati -come Grimassi o Gardner- e li porta immediatamente a pensare all'oggetto della loro ossessione monomaniacale, la dea Diana e i suoi tre volti, saltando a piè pari tutto lo studio del background archetipico dei "signa" installati sui rami che diventano -per loro- "automaticamente" simboli dianici, cosa che invece succede solamente in un successivo momento (e non è neanche certo, mentre è più certa e dimostrabile la sovrapposizione cristiana).Così facendo ci si dimentica della funzione intrinseca dell'amuleto, l'allontanamento del male, la sua protezione dal malocchio. Se gli studiosi in questione ne avessero tenuto conto, probabilmente avrebbero potuto cercare riscontri ai sette (otto per Neville Rolfe) simboli della cimaruta tra quelli che tengono lontani il malocchio, chessò, per esempio sui mosaici romani...Avrebbero certamente notato la presenza della spada, quella della fiamma (che in epoca cristiana diventerà "cuore fiammeggiante di Gesù"), quella della mano (probabilmente in origine manofica), del serpente, del gallo, della chiave e della luna. Tutti primariamente simboli archetipici e solo secondariamente connotati (ovvero improntati a questa o quella divinità).-continua-