La Cina, dove si realizza il sogno americano

Creato il 14 giugno 2013 da Eastjournal @EaSTJournal

Posted 14 giugno 2013 in Opinioni ed eresie, Slider with 0 Comments
di Matteo Acmé

Matteo Acmé, classe 1986, è giornalista professionista. Dopo aver lavorato per alcune testate italiane ha deciso di avventurarsi in Cina. Vive a Shanghai dove lavora come top chef in un ristorante italiano, occupandosi di vini, e si guarda intorno, a volte scrive a noi amici sparsi per il mondo. Questo è ua sua testimonianza che pubblichiamo perché ci sembra, diversamente da tante utili analisi che si leggono su riviste specializzate, fresca e genuina, magari parziale, ma utile a capire dove va il mondo: non solo la Cina ma anche il nostro “occidente”

Avvertenze

- Shanghai non è la Cina, è più aperta e occidentalizzata, da duecento anni almeno. Quindi quello che segue può forse avere attinenza solo per la città e non per il paese intero.

- Ho poche fonti certe per quello che scrivo. Leggo i giornali, guardo in giro e provo a farmi un’idea. Tutto lì

- I cinesi non parlano di politica. Quasi mai. Quindi ho fatto fatica a confermare le mie osservazioni

Iniziamo

Ho la netta sensazione di essere capitato nella massima espressione del capitalismo industriale moderno. È un mercato enorme e con un potenziale di crescita ancora più grande; c’è un governo che può decidere senza opposizione chi entra e chi esce da questo mercato e soprattutto come bisogna agire; c’è una massa di sfruttati quasi ineusauribile che fornisce manodopera a basso costo; la possibilità (ma credo anche la capacità) di protesta, sciopero e manifestazioni sono quasi nulle; c’è un mare infinito di soldi; le leggi sono funzonali all’apparato produttivo; qui si realizza davvero il sogno americano.

I guardiani del cancello

Dimenticate l’idea di una Cina chiusa, refrattaria e ostile ai modelli occidentali. Tutti le più grandi multinazionali sono qui da anni, hanno occupato il mercato e sono pure state bene accolte. Non mi è stato possibile comprare dei biscotti o uno shampoo che non fossero targati Nestle, Kraft, Uniliver o P&G. I prodotti cinesi ovviamente ci sono, ma sono riservati a quella popolazione che non si può permetere i prodotti delle multinazionali che qui portano soldi, produzione e l’illusione di far parte del mondo “ricco”.

Il fatto è che l’Euramerica piace: modelle, cartelloni pubblicitari, manichini e attori seguono l’impostazione che ha vinto in casa nostra. Non si scappa.

La differenza è che qui si controlla quello che entra e quello che esce. I dazi, le tasse, i balzelli sono pilotati dal partito in combutta con le potenze economiche in modo da trarre il massimo vantaggio per entrambi. Probabilmente la stessa cosa accade in Europa ma qui la sensazione è che il meccanismo sia elevato a potenza: è il capitalismo perfetto, bellezza. Il governo non si vede, si manifesta solo nelle celebrazioni ufficiali. Cittadini, voi pensate a produrre e consumare, il come e il quando ve lo faremo sapere.

Due popoli che si sfiorano

A Shanghai c’è una élite istruita e danarosa. In una metropoli come questa stiamo parlando di decine di migliaia di persone. Veste, consuma, si muove, mangia, vive come il resto delle élites mondiali. Li incontro nei loro punti di ritrovo: discoteche, ristoranti, boutique. Sono in Cina ma potrebbero essere a Milano e New York. Hanno i soldi e ne avranno sempre di più, li spendono e girano per il mondo, con l’unica (remota) paura di scendere qualche gradino e finire con quelli sotto.

Chi sono quelli sotto? Un esercito incalcolabile di poveri arrivati qui da tutta la Cina, in questa generazione o in quelle precedenti poco importa. Sono diversi dall’élite: nel modo di muoversi, di esprimersi, nelle facce. Ho conosciuto gente che per una “casa” paga 100yuan al mese, praticamente quanto una pizza nel ristorante – non caro – in cui lavoro. È gente che fa qualsiasi tipo di lavoro, dallo spazzino a quello che stura le fogne a mani nude, innumerevoli sono le bettole che danno damangiare per pochi soldi, sono muratori, saldatori, autisti, giornalai, sarte e lavandaie, braccia di un settore edilizio che sembra senza limiti.

Si muovono lenti, sono qui per lavorare, mandare i soldi a casa, dormire e tornare a lavorare.

Sono un’enorme massa di manodopera proletaria o sottoproletaria, sottopagata (nel primo ristorante dove ho lavorato ai camerieri cinesi – e a loro va già bene – danno 1,8 euro all’ora), disposta a qualsiasi lavoro, a qualsiasi orario, senza nessuna organizzazione sindacale né voglia di diventare collettività, classe. Sono la base sociale perfetta per il capitalismo.

 E sfruttiamolo questo mercato!

E poi c’è la classe media. Numerossima qui a Shanghai: se tutti gli uffici che vengono costruiti fossero pieni di impiegati si perderebbe il conto. È a loro che vengono venduti gli iPhone, le Nike e gli Armani. Hanno abbastanza soldi per spenderli in acquisti non essenziali ma non sono ricchi, sono la borghesia cinese, un’esercito di lavoratori in giacca e cravatta a metà fra l’élite e i poveracci. Sospetto ci sia una divisione etnica alla base di tutto questo ma la mia ignoranza mi impedisce di esserne certo.

L’obiettivo dichiarato del governo, ribadito ogni giorno della stampa, è quello di far crescere questa parte della società. “Allargare il bacino di consumatori”, trovare sempre nuovi acquirenti per un mare di prodotti (in un tempo in cui i consumi statunitensi ed europei diminuiscono) è diventato l’unico modo per continuare a crescere. A un certo punto anche gli ultimi, quelli alla base della piramide, dovranno essere coinvolti. La promessa di un benessere diffuso basta a contentare tutti.

Di certo il governo sta facendo leva su un altro carattere comune dei cinesi. La diffusissima aspirazione alla piccola imprenditoria. Alcuni ragazzi con cui ho parlato son arrivati presto a dichiarare: “voglio apririre qualcosa di mio”: non sono progetti da Silicon Valley, la bottega e il ristorante sono l’orizzonte comune, ma è significativo che nella principale libreria di Shanghai il libro più visibile all’entrata sia la biografia di Zuckerberg (sì, quello del Facebook censurato), di fianco a quella di Steve Jobs. Credo ci sia qualche dettame confuciano in questa voglia di auto-realizzazione negli affari, ma anche di questo non sono sicuro.

Sotto la macchina, sopra i piloti

Credo che il capitalismo sia dannoso. La sua essenza è la rincorsa del profitto, con qualsiasi mezzo e questo da sempre porta danni e distruzione. Qui non serve nemmeno eludere la legge e i controlli per aumentare i guadagni: il profitto, la crescita, lo sviluppo sono la legge.

E così l’aria e irrespirabile, l’acqua non si può bere, il suolo è avvelenato. Centinaia di villaggi e sobborghi dei centri di produzione hanno livelli di cancro e altre malattie da apocalisse. Ma gli studi vengono controllati e sequestrati, le ricerche zittite e anche quando arrivano alla popolazione  (tramite i media ufficiali) hanno un tono rassicurante: “cittadini abbiamo un sacco di problemi, è stata colpa nostra ma noi risolveremo tutto”. Non è mancanza di libertà, è eccesso di liberismo.

Più ci penso più mi convinco che la Cina non è un mondo diverso dal nostro, è solo la forma più perfettamente compiuta di quello che viviamo ogni giorno.

Shanghai e Hong Kong sono e saranno un terreno di coltura per nuove forme di iperliberismo. Anche qui sono i programmi ufficiali a dirlo: verranno create enormi zone speciali, paradisi senza o quasi tasse, senza regole né diritti, per incentivare le multinazionali straniere e investire più di quanto già non facciano. D’altronde il partito lo ha già fatto più volte (a partire dal grande Balzo in Avanti), si sperimentano in maniera spericolata politiche economiche senza precedenti nella speranza di svoltare. Se non funzionano pazienza, contadini ce n’è ancora tanti.

Il risultato, purtroppo parziale, è un paese corroso forse in maniera irreversibile. Fiero della sua potenza e convinto, sospetto, che i cinesi sono così tanti che se anche ne muore un po’ di cancro sarà solo per il bene comune. L’altro lato della medaglia è che questa organizzazione produce una quantità incredibile di soldi che servono alla Cina ma anche al resto del mondo che ha bisogno del mercato cinese per non affogare: vi basti pensare, è solo un piccolo esempio, che gli importatori di vino registrati in Cina sono passati i pochi anni da ottomila a ventiduemila.

Nel frattempo il governo ha annunciato che nel prossimo anno creerà, federando aziende esistenti, colossi multinazionali in grado di primeggiare a livello globale in tutti i settori: meccanica, edilizia, siderurgia, informatica, innovazione, tecnologie verdi, tutto. Ci riusciranno, sotto la guida delle elite che si sono nutrite alle fonti euramericane e poggiandosi sulle spalle di milioni di contadini urbanizzati.

Il sogno americano

In tutto questo l’opposizione popolare è nulla. Per la repressione, certo, ma non solo. I poveri sono troppo stanchi e sviliti per organizzarsi. Tutti gli altri invece sognano di potercela fare in questo sistema. E non è impossibile: questo sistema premia davvero alcuni – tanti – e li fa diventare piccoli borghesi arricchiti dando loro tutta una serie di privilegi sociali tanto evidenti quanto volgari e decisivi. Lo vedo tutti i giorni, lo si respira: lavora tanto, a testa bassa, non ti distrarre e potrai andare a mangiare nei ristoranti più cari, bere vino francese (probabilmente falso), andare in discoteca ed avere il tuo tavolo riservato. Potrai sposarti, perché senza macchina e casa di proprietà puoi scordarti che la famiglia di lei ti dia il permesso. Promesse che il capitalismo fa ovunque, ma che qui si avverano.

Ovviamente non basta lavorare. Bisogna avere “buoni rapporti” co i vari livelli di governo. E così i parvenus e i funzionari corrotti crescono e si spalleggiano a vicenda. Sedando la voglia di cambiamento, contribuendo al grande sogno americano. Self made (in) China.

Per tutte queste ragioni penso che la Cina, per lo meno Shanghai, sia una specie di paradiso capitalista. Se si potessero vedere i sogni di chi muove le leve del potere economico occidentale forse assomiglierebbero al posto in cui sono capitato. Ma non solo, la struttura politica cinese permette molto di più: qui si possono sperimentare nuove forme di produzione e sfruttamento, metterle alla prova, perfezionarle e magari applicarle anche all’estero. Quando ci dicono che la Cina è ormai la locomotiva del mondo non pensate solo al Pil. La Cina ci porterà in un nuovo-vecchio mondo dove ci saranno sempre sfruttati e sfruttatori, ma noi ce ne accrogeremo sempre meno.

Tags: capitalismo, cina, comunismo cinese, Matteo Acmé, Shanghai, ultraliberismo Categories: Opinioni ed eresie, Slider


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