Il 2014 si avvia verso il tramonto alla luce di una nota della Banca mondiale che non viene praticamente citata da nessun media main stream: questo è l’anno in cui ufficialmente il Pil cinese, calcolato sulla parità dei poteri d’acquisto ha superato quello degli Usa. A dire la verità, secondo Standard & Poor’s il sorpasso si era verificato già nel 2012 o anche prima se si dà retta a Morgan Stanley che nel 2008 riteneva che il Pil cinese fosse sottovalutato del 30 per cento. E secondo quanto suggerisce Vittorio Comito su Sbilanciamoci info, le statistiche cinesi minimizzano i consumi a tal punto che il superamento non appare delle dimensioni e della velocità effettive. Naturalmente sia Washington per motivi di prestigio, sia Pechino interessata a mantenere l’understatement su questo tema, hanno cercato di impedire la pubblicazione di questi dati che comunque sono una buona spiegazione di ciò che sta avvenendo.
Innanzitutto l’accelerazione del trattato transatlantico, che dovrebbe dare un potere straordinario alle multinazionali, anche di tipo legislativo e risucchiare definitivamente l’Europa nell’orbita economica di Washington. Una cosa talmente imperativa che siamo costretti a sopportare una pubblicità progresso della Rai infarcita di scandalose menzogne e vacuità su questo tema. In secondo luogo l’interventismo americano in Ucraina e in medio oriente per circondare la Russia e servirsi del mondo mussulmano come jolly del caos e come sparigliatore dell’influenza cinese. Persino una ipotetica epidemia di ebola è stata arruolata per permettere la costituzione di due basi militari americane nel continente africano dove, com’è ben noto, Pechino ha acquisito grande influenza nell’ultimo ventennio.
Tutte strategie fondate o sull’aggressione sostanziale a quella democrazia che si vorrebbe esportare o sull’ideologia liberista che penalizza i Paesi più deboli o sulla forza militare, ma così poco pensate, costruite con spezzoni delle vecchie dottrine della guerra fredda e con insensato utilizzo strumentale degli integralismi che alla fine rischiano di ottenere l’effetto contrario. Di questo rapsodico armamentario fanno parte anche le a dir poco pretestuose sanzioni alla Russia in cui è stata coinvolta l’Europa e che finora hanno avuto come effetto un riavvicinamento della Russia alla Cina e l’assottigliamento dell’area del dollaro. Ma il terrore di perdere una supremazia che alimenta se stessa e i consumi americani attraverso la cardinalità del biglietto verde negli scambi mondiali è troppo forte e porta ad agire in modo frettoloso e incoerente rispetto agli obiettivi.
Dopo aver fatto dell’Asia la fabbrica del mondo per sfruttare l’immenso esercito di riserva di lavoro a basso costo, ora ci accorge delle conseguenze non previste, anche se facilmente prevedibili da menti non del tutto offuscate dalle ossessioni liberiste. Da anni si è presentata come una grande vittoria del pensiero unico l’essere riusciti a trasformare un Paese comunista in capitalista, ma ora ci si accorge non soltanto del semplicismo schematico di questo giudizio, peraltro ciclostilato migliaia di volte con esasperata attenzione a dire solo ciò che fa comodo e a fare i repetosi con gli ordini del giorno, ma ci si trova di fronte alla realtà e cioè a un grande antagonista che comincia a raccogliere attorno a sé la voglia di liberazione di molte aree del mondo dai diktat occidentali che peraltro adesso si rivolgono anche contro le proprie popolazioni. E invece di ripensare al modello deviante che sta creando tutto questo si risponde menando botte da orbi.