La Banca Centrale Europea in questi giorni ha realizzato un accordo di swap con la sua omologa cinese per un valore di 45 miliardi di euro con l’obiettivo di agevolare le transazioni in yuan nella zona euro. Gli istituti europei, tramite le rispettive banche centrali, avranno a disposizione yuan per le loro transazioni verso il mercato cinese1. Stessa procedura per la Banca nazionale d’Ungheria che ha siglato un accordo di currency swap per il valore di 1,23 miliardi di euro.
Recentemente la Cina ha siglato importanti accordi con il Regno Unito per la realizzazione di diversi progetti in ambito infrastrutturale ed energetico. Pechino ha concesso una quota iniziale di 80 miliardi di yuan, circa 9,28 miliardi di euro, che gli investitori istituzionali utilizzeranno negli investimenti in Cina; in questo modo la Gran Bretagna alimenterà l’internazionalizzazione dello yuan che si va incrementando in maniera costante2. Londra è attualmente la destinazione privilegiata per gli investimenti cinesi in Europa e il Regno Unito è il secondo investitore europeo in Cina. Le filiali delle banche cinesi a Londra seguono le normative cinesi e non locali, il favoritismo è dettato dal desiderio inglese di fare della propria capitale il maggior centro mondiale di commercio offshore di yuan. Altra offerta di Londra è abbattere le barriere di regolamentazione, fattore che, agevolando le banche d’investimento cinesi a rendere la città un hub privilegiato, rafforzerà Londra a livello internazionale, mantenendo il suo ruolo di centro finanziario. Un riposizionamento, quello inglese, che esprime chiaramente i mutamenti in atto a livello globale e il ruolo che la moneta cinese sta assumendo. A oggi la Cina ha firmato accordi di currency swap per un totale di 263 miliardi di euro con 22 paesi andando così a intensificare le transazioni internazionali in yuan.
La posizione dell’Italia nei confronti della Cina è segnata da diverse lacune, tanto da aver perso posizioni nei confronti di Spagna e Francia; la prima ci ha superato nelle quote di export di olio d’oliva3, la seconda nel vino, pur essendo noi i maggiori produttori. Siamo poi al terzo posto davanti a Francia e Olanda nel settore bevande e alimenti preparati e il Bel Paese ha addirittura registrato un calo delle esportazioni tra il 2011 e il 2012 per circa 1,3 miliardi di euro. All’incapacità delle istituzioni nel promuovere e difendere il prodotto italiano, si osserva un’improduttiva inerzia verso progetti di notevole interesse. Oltre il commercio fortemente dinamico e in crescita, concrete opportunità nei riguardi della Cina arrivano dalle sue attività d’investimenti all’estero. Pechino, infatti, finanzia infrastrutture necessarie alla sua domanda di beni e servizi su scala globale. Nel caso italiano è la geografia e non la finanza a rendere attrattiva la sua isola maggiore. La Sicilia, infatti, con la sua posizione centrale nel Mar Mediterraneo è sta scelta come hub europeo, con risvolti economici e di prestigio che forse non sono stati pienamente percepiti.
Il contesto geoeconomico. La Cina insieme ai BRICS di cui è parte sta ridisegnando schemi geoeconomici, in primis il classico binomio Nord-Sud. La Cina interagisce con il mondo intero in maniera pragmatica, svincolandosi da pregiudizi politici e culturali, facendo di esso uno spazio aperto con il quale confrontarsi in maniera omogenea. Nell’arco dei prossimi trent’anni, il divario di un nord ricco e di un sud povero si assottiglierà, tendenza oltretutto già in atto; la Cina, infatti, sta attuando una ridistribuzione della ricchezza su scala globale, creando nuove direttrici di sviluppo. È in questo quadro che l’intrinseca potenzialità della Sicilia è messa in luce, il Mediterraneo potrebbe tornare nuovamente a rivestire quel ruolo che è insito nel suo stesso nome e chiave di volta di questo ritrovato protagonismo sarebbe proprio la Sicilia.
La Cina, in collaborazione con l’università ennese di Kore, ha varato un progetto per la realizzazione di un aeroporto nella provincia di Enna; il progetto prevede che lo scalo diventi un hub commerciale e passeggeri. Ciò farebbe della Sicilia lo scalo principale per le merci di tutto il Mediterraneo, inoltre la costruzione dell’interporto di Catania Bicocca si integrerebbe allo scalo, attirando il traffico marittimo e ridisegnando i traffici mediterranei. Si arriverebbe a captare anche parte delle merci del futuro corridoio TRACECA. L’Italia s’inserirebbe così in posizione privilegiata all’interno delle future reti TEN-T4. Le stesse autostrade del mare che sono parte delle reti, riceverebbero un maggior impulso incrementando i traffici con i porti nazionali di Genova, Livorno, Civitavecchia, Salerno, Trieste e Ravenna, che si andrebbero a inserire come snodi mediterranei per le merci europee oltre che domestiche. Un altro fattore d’incentivo interesserebbe anche la cantieristica navale italiana, apprezzata a livello internazionale. Le ricadute positive riguarderebbero poi tutta una serie di riammodernamenti dei porti siciliani più importanti tra cui Termini Imerese e Augusta, ma anche un rinnovamento delle linee ferroviarie e stradali. Il progetto darebbe inoltre impulso a tutto il sud dell’Italia su più livelli, da quello commerciale a quello turistico, ridisegnando gli equilibri interni al Paese che vedono ancora irrisolta la questione meridionale, generata per lo più da debolezze e provincialismi della politica.
Il trasporto aereo che l’hub accentrerebbe in Sicilia ne farebbe la porta privilegiata per Mediterraneo orientale, Medio Oriente e Africa sia dall’America sia dall’Asia. Il potenziale a livello turistico riguarderebbe tutto il sud dell’Italia con vantaggi per la stessa compagnia di bandiera italiana che avrebbe opportunità per l’apertura di nuove rotte internazionali e di medio raggio. Le possibilità sono molte, come la creazione di un distretto turistico della Magna Grecia che ridia impulso alle regioni interessate con opere di bonifica e riqualificazione ambientale e architettonica. Un ambizioso progetto di edilizia che preveda dove possibile il recupero delle periferie, rendendole armoniose con i centri storici e il paesaggio, accompagnando la riqualificazione con opere infrastrutturali che facilitino i collegamenti. Il turista che visita l’Italia, infatti, viene a vivere la storia, la gastronomia e la bellezza che le architetture e i paesaggi, ma che anche l’inventiva italiana regalano al mondo. Portare l’alta velocità fino alla Calabria e alla Puglia permetterebbe di muovere il turismo dal sud fino al nord passando per il centro, permettendo al turista un agevole viaggio su tutto il territorio nazionale. L’Italia dovrebbe guardare con profondo interesse all’opportunità che gli è stata presentata, il rilancio del Paese passa inevitabilmente dal riammodernamento delle infrastrutture, ma soprattutto dalla realizzazione di nuove, più in armonia con i tempi e i nuovi equilibri internazionali. Il Bel Paese vive la fortuna di avere una posizione geografica strategica per operare politiche vantaggiose verso il nuovo assetto multipolare. La creazione di una piattaforma euro-mediterranea d’import-export in Sicilia è solo un aspetto, ciò che si evidenzia è la concreta possibilità di riappropriarsi di un ruolo centrale nel Mediterraneo come punto d’incontro tra Europa, Africa e Asia.
Non mancano però i problemi. Gli Stati Uniti hanno, infatti, a Sigonella e a Niscemi una base militare e la piattaforma satellitare MUOS in fase di realizzazione per l’integrazione delle forze armate statunitensi nei futuri teatri di guerra. L’aeroporto in questione dovrebbe sorgere non lontano dalle basi, lo stesso ex Segretario di Stato Hillary Clinton si è preoccupato del progetto e ha in prima persona chiesto spiegazioni a Pechino; sembra dunque, che Washington non approvi tale opera5. Non mancano poi le lentezze burocratiche che sembrano non vengano meno neanche in un momento dove si richiede rapidità nelle decisioni, soprattutto dinanzi a opportunità come questa. L’Italia dunque, rischia seriamente di perdere le opportunità che si sono presentate. Come già accennato, il nuovo assetto multipolare che si va delineando e che sarà la base delle relazioni internazionali nel prossimo futuro, necessita non soltanto di una più attiva promozione dei prodotti italiani, ma anche e soprattutto di politiche estere più concrete nei confronti dei nuovi attori internazionali. La stessa imprenditoria italiana deve spingere le istituzioni verso il superamento di debolezze che possono essere fatali al perseguimento di azioni utili a massimizzare gli investimenti stranieri come nel caso citato.
Il Paese sta vivendo giorni drammatici, la politica non ha saputo proporre nessun piano per uscire dalla crisi, unica costante che si registra è l’ennesima deleteria intenzione di cedere ulteriori partecipazioni statali per fare cassa velocemente. La storia ha già dimostrato che aver ceduto in mani estere le industrie di prestigio italiane ha generato una spirale involutiva con ripercussioni a catena su tutto il comparto industriale. Ciò che l’interesse cinese evidenzia è un potenziale ben più ampio e un punto di partenza per una possibile rinascita del Paese. L’Italia, giova ricordarlo, si troverebbe a essere il principale hub del più grande importatore-esportatore al mondo, l’Europa, e della Cina, che nell’arco di un quinquennio sorpasserà gli Stati Uniti, diventando la prima economia mondiale e che è già il più grande paese produttore al mondo. Una posizione che sarebbe fallimentare non mettere a profitto. Infatti, potrebbe essere la base di partenza al rilancio di asset fondamentali per il paese con l’obiettivo di rigenerare il mercato del lavoro e riconquistare quote nel mercato internazionale che si sono perse negli anni.
Le linee brevemente tracciate indicano un piano di rilancio decennale con imperativi snellimenti burocratici necessari a mantenere un regime costante nella realizzazione delle opere; solo l’aeroporto, che per adesso non ha ricevuto in benestare delle istituzioni, richiederebbe 2-3 anni di lavoro. Nella riorganizzazione di asset strategici per il paese si dovrebbe realizzare un piano commerciale per settori, coinvolgendo le forze imprenditoriali nella realizzazione di consorzi e fondi, operando internazionalizzazioni mirate all’acquisizione di quote di mercato e reindirizzando in seguito i profitti nei suddetti fondi. L’idea quindi è quella di utilizzare capitale privato nazionale ed estero nella ricostruzione del baricentro economico italiano. Un gioco di squadra tra pubblico e privato con l’intento di recuperare le posizioni perse impedendo una destrutturazione del Paese che ormai non è più solo un’ipotesi.