La nostra avventura di ghiaccio inizia alle 6 del mattino del 7 gennaio 2013. Con la metropolitana attraversiamo Beijing da nord a sud per raggiungere il piccolo aeroporto di Nanyuan dal quale parte il nostro volo per Harbin, la capitale dello stato del Heilòngjiang, il più settentrionale della Cina, a nord persino della Corea del Nord. Se a Beijing in queste fredde giornate di gennaio siamo 10 gradi sottozero o forse più, lassù ci aspettano minime che arrivano fino a – 37°C…
Il volo parte in perfetto orario dopo controlli molto severi all’aeroporto: tutti veniamo perquisiti e io in modo particolare attiro l’attenzione della guardie con le mie finte hugg che chissà cosa pensano stiano nascondendo e la borsa piena di cavi e trasformatori per l’attrezzatura e i tre telefonini che abbiamo in dotazione per rimanere in contatto con l’amica che di Beijing che ci supporta anche a distanza (meno male!).
Dall’aereo il paesaggio si fa montuoso e poi, dopo circa mezzora, ecco aprirsi davanti a noi la piatta distesa del deserto di neve e ghiaccio che si estende a nord-est di Beijing. Il vento spazza la landa desolata e pulisce il cielo dalle nubi che invece spesso incombono su Beijing, la visuale è tanto tersa e limpida che sembra di poter toccare il suolo allungando semplicemente la mano.
Dopo due ore di volo atterriamo ad Harbin e scendiamo dall’aereo entrando direttamente in aeroporto: uno strato di ghiaccio spesso due centimetri ricopre il perimetro delle vetrate del terminal, ci guardiamo negli occhi e stringendo i denti usciamo all’aria aperta che subito mi investe il viso con una miriade di spilli gelati.
Con un taxi attraversiamo la periferia della città: nel grigio orizzonte nebbioso spuntano una miriade di palazzi in costruzione, chilometri e chilometri di cantieri di quartieri residenziali che ospiteranno milioni di persone forse richiamate qui dal Partito per lavorare in nuove manifatture o aziende trasferite in questa gelida città del nord in piena espansione economica. Dopo un’ora di grandi viali pressocché deserti spazzati dal vento ghiacciato raggiungiamo il traffico del centro cittadino e infine l’hotel prenotato via internet, sporco e fumoso, il ‘microclima’ della camera raggiunge a stento i 15 gradi. Usciamo subito per cercare di orientarci in questa grande città che, al contrario di Beijing, si sviluppa in verticale ed è tanto piena di palazzi barocchi e “pseudo-rinascimentali” da avere un aspetto europeo più che cinese: ecco perché la chiamano la Mosca d’oriente.
Raggiungiamo Zhongyang Dajie, la via pedonale più famosa della città dove vediamo le prime sculture di ghiaccio e persino uno PSY gigante fatto di neve con tanto di occhiali da sole e posizione di ballo alla Gangnam Style! Davanti c’è una fila di ragazzi e ragazze in attesa di farsi la foto in posizione ‘Gangnam style’ mentre un barettino lì vicino manda la canzone in loop a tutto volume. Un grande termometro piazzato in mezzo alla via dice che ci sono – 25°C, il suolo è completamente ghiacciato, l’asfalto delle strade poi è tanto scivoloso che dobbiamo camminare strisciando i piedi per non cadere. Resistiamo un paio d’ore poi decidiamo di tornare in hotel per riposare un po’ prima della visita all’Ice Festival che faremo quando il sole calerà e con esso le temperature, perchè la città dei ghiacci va vista al buio quando il ghiaccio di castelli e sculture si accende di luci colorate…
E così intorno alle 16:30 cominciamo la vestizione per l’avventura ghiacciata: indosso in ordine tuta termica, calzamaglia di seta, pantalone di velluto e altro paio di pantaloni antivento; sopra invece ho maglia termica con tenuta – 30°C, maglioncino di cachemire, pile, altra maglia termica a collo alto, sottogiacca antivento, maglione di lana lungo fino alle ginocchia e giaccone. Faccio fatica a muovermi da tanto peso ho addosso…
Così bardati e contenti approdiamo alla città dei ghiacci, un vero e proprio parco dei divertimenti di ghiaccio con castelli, pagode, un tempio buddista, una moschea, una cupola con colonnato che sembra una piccola San Pietro e un miriade di sculture, tutto fatto ghiaccio illuminato dall’interno da led colorati. La cornice è davvero meravigliosa e fantastica, e molto molto kitsch, divertente e briosa. Il freddo è letteralmente agghiacciante e durante le tre ore che passeremo tra ghiacci e colori scenderà fino a –31°C… Devo dire che siamo abbastanza coperti da resistere bene, e sia nelle scarpe che nei guanti abbiamo gli scaldini comprati dall’amica a Beijing (sono dei cuscinetti ‘riscaldanti’ da appiccicare ai vestiti che generano calore fino a 8 ore) quindi mi stupisco di quanto riesca a NON sentire quasi il freddo. Il viso invece, esposto com’è all’aria, risente dei – 30 gradi come non mi sarei mai aspettata: negli occhi le lacrime che mi si formano spesso per le lenti a contatto si ghiacciano all’istante e mi si appiccicano agli angolo degli occhi (in certi momenti faccio quasi fatica ad aprirli), la stessa cosa per la candela al naso che si ghiaccia ancora prima di uscire dalle narici… per non parlare poi della condensa del nostro fiato che si ghiaccia sul collo di pile che teniamo davanti alla bocca per proteggerci dal gelo, sulle ciglia e sul bordo del colbacco comprato a Beijing per l’occasione. Le mani sono calde solo dentro i guanti scaldati dagli scaldini, appena estraggo le dita che mi servono per manovrare videocamera e macchina fotografica il dolore del sangue che si ghiaccia è tale che spesso rinuncio a scattare e filmare battendo invece insieme le mani per far riprendere la circolazione… e meno male che il resto del corpo è più o meno caldo…
Dopo tre ore non ce la faccio davvero più e con me soffre anche l’attrezzatura: lo schermo della videocamera non riesce più a mettere a fuoco e la macchina fotografica è completamente ricoperta dalla condensa ghiacciata del mio respiro (non riesco quasi più a muovere lo zoom tanto i meccanismi sono ghiacciati).
Ce ne andiamo, saliamo in taxi e io mi metto il dito indice della mano destra in bocca per farlo scongelare: ci metterò una buona decina di minuti prima di sentire scorrere di nuovo un po’ di calore…
Dormiamo con la tuta termica e ci svegliamo presto, direzione Snow Park sulla Sun Island, a qualche chilometro dal centro città, al di là del grande fiume di ghiaccio che attraversa Harbin. Qui sorge il parco della sculture di neve che ci appaiono in tutta la loro bellezza sotto un cielo blu cobalto: riproduzioni 3D di quadri di Botticelli e Leonardo, il mega faccione di Beethoven, il castello della Disney con tanto di carrozza di cenerentola e principesse, i moai dell’isola di Pasqua, un donna ainu (etnia del nord della Cina) con le braccia aperte alta 10 metri, le opere della gara annuale di sculture di neve sparse qua e là tra boschetti di conifere e piccole caffetterie scavate nella neve. La fattura di queste opere è tale da sfidare le leggi della fisica, le figure tanto slanciate ed eleganti da sfidare la forza di gravità, il freddo tanto pungente da rendere tutto ciò reale e possibile…
Io però comincio a non poterne più di questo gelo, è due giorni che non fumo una sigaretta perché non riesco a tenere due dita al freddo e al gelo anche solo per 5 minuti, quindi torniamo in città, ci riempiamo di ravioloni cinesi in uno dei ristoranti di ‘jaozi’ più conosciuti della città e io mi chiudo in hotel mentre Ivo si prepara per la seconda sessione fotografica all’Ice Festival.
Scrivo, guardo la tv cinese, provo a collegarmi a hotmail (facebook è bloccato altrimenti avrei postato milioni di foto) con il computer ‘incorporato’ nella tv (l’unica cosa positiva di questo albergo sporco e freddo) con tanto di tastiera e mouse wireless che maneggio comodamente sdraiata a letto…
Verso le 21 Ivo arriva felice e contento, usciamo per mangiare zuppa russa e bere birra russa a temperatura ambiente (qui non usano servire la birra fredda) i cui 9 gradi di gradazione alcolica ci riscaldano quel tanto che basta per fare ancora qualche foto notturna lungo Zhongyang Dajie dove Gangnam Style risuona ancora allegramente, e noi e i pochi temerari che ancora si aggirano per la città alle 11 di sera (e a – 30°C e oltre) ne accenniamo qualche passo in strada per scaldarci… Porto gli occhiali stasera, la condensa del respiro si gela istantaneamente sulle lenti…
Il terzo e ultimo giorno di ghiaccio lo trascorriamo dormendo fino all’orario del check-out e poi passeggiando per la città. Raggiungiamo la chiesa di Santa Sofia, la più grande cattedrale ortodossa della Cina (naturalmente sconsacrata) e poi il fiume visto ieri dall’altra sponda. Il ghiaccio che lo ricopre è tanto spesso da reggere il peso di uno spesso strato di neve, di decine di persone che pattinano, calessi trainati da cavalli carichi di turisti che fanno avanti e indietro, macchine e barche ‘dormienti’ in attesa del disgelo. Il vento si fa sentire, il volo di ritorno a Beijing ci aspetta…
Atterriamo con un’ora di ritardo e appena usciamo all’aperto, i –10 gradi di Beijing ci sembrano 20… Apriamo le giacche, togliamo gli scaldini dalle scarpe e riabbracciamo volentieri questa primavera pechinese sottozero…
[ Diario di viaggio di Federica L. ]