un saggio di Massimo Pittau.
Many Greek authors, at that time also psychologically and culturally captivated by the power of the Roman rulers, competed in demonstrating that in reality Rome was a “Greek foundation”. One of the most important of these authors, Dionysius of Halicarnassus, let out reluctantly the sentence: “several writers told that Rome itself was a Tyrrhenian city”(that is, Etruscan). Well, much consistent linguistic evidence does demonstrate that in fact Rome was founded by Etruscans and not by Latins or Sabines.
È cosa abbastanza nota che dopo la conquista della Grecia da parte dei Romani, molti autori greci, ormai soggiogati non soltanto sul piano militare e politico ma anche su quello psicologico dalla potenza dei dominatori, fecero a gara per dimostrare che in effetti Roma era una “fondazione greca” (κτίσις ελληνική). E ciò fecero anche fondandosi sulla paretimologia del nome di Roma, fatto derivare abusivamente dall’appellativo greco ρώμη (rhōmē) «forza». Era questa indubbiamente una etimologia del tutto campata in aria, anche perché è illogico ritenere che all’inizio, quando Roma non era altro che un piccolissimo centro abitato, coloro che le diedero il nome potessero prevedere l’incredibile sviluppo futuro, militare politico e culturale, di Roma, che sarebbe finita con l’essere considerata il caput mundi.
In uno dei più importanti scrittori greci che intrapresero a trattare la storia di Roma, Dionigi di Alicarnasso (circa 60 a. C.- 7 d. C) si trova una frase assai importante, che suona testualmente: τήν τε Ρώμην αυτήν πολλόι τών συγγραφέων Τυρρηνίδα πόλιν είναι υπέλαβον «molti degli scrittori sostennero che la stessa Roma era un città Tirrena» (cioè Etrusca) (I, 29, 2).
A questa affermazione di Dionigi noi moderni dobbiamo attribuire la massima importanza, per la ragione che si presenta come uscita dalla sua bocca a “denti stetti”, dato che anche lui tendeva a dimostrare che Roma non era affatto una «fondazione etrusca», come molti scrittori avevano detto, bensì era una «fondazione greca».
Che cosa esattamente Dionigi avrà voluto indicare con la sua citata frase e precisamente “quanti” saranno stati gli scrittori da lui semplicemente accennati? A me sembra ovvio e anche prudente interpretare nel seguente modo: se egli avesse detto «alcuni (ένιοι) degli scrittori» noi avremmo adesso interpretato che questi fossero quattro o cinque; ma, dato che ha detto «molti (πολλόι) degli scrittori» noi adesso dobbiamo interpretare che fossero almeno una decina. Il quale pertanto è un bel numero di scrittori antichi che sostenevano appunto essere «Roma una città Etrusca».
Oltre ed a prescindere da ciò, a mio giudizio esistono numerose e consistenti prove che dimostrano che effettivamente «Roma era una fondazione etrusca»; e queste sono prove di carattere storico, religioso, culturale e anche e soprattutto di carattere linguistico, come io mi accingo a dimostrare minutamente.
Le prove linguistiche. Sono di quasi certa origine etrusca il toponimo Roma ed altri che riguardano da vicino la città e i suoi stretti dintorni:
Roma molto probabilmente è da riportare all’appellativo, che Plutarco (Romolo 4.1) presenta come “antico latino”, ruma «mammella». Questo appellativo però trova riscontro in alcuni vocaboli etruschi documentati in un periodo precedente: etnico RUMATE, RUMATHE e RUMAX = «Romano», RUMITRINE(-THI) = «nel(lo Stato) Romano», gentilizio RUMILNA, RUMLNA = latini Romatius, Romilius e Romulius (DICLE 147, 148). L’appellativo ruma «mammella» molto probabilmente faceva riferimento a quella specie di prominenza o di promontorio a forma di “mammella” femminile appunto, che si è formata nella riva destra del Tevere (cioè in quella Veientana, ossia etrusca), di fronte all’isola Tiberina e all’odierno ponte Palatino (per la trattazione più ampia si veda LEGL 2ª Appendice; TIOE capo 4).
Tiberis, Thybris, Thebris «Tevere». C’è innanzi tutto da precisare che in origine il Tevere non scorreva al centro del Lazio, bensì segnava il confine del Latium vetus a meridione e dell’Etruria a settentrione e inoltre giocava un ruolo molto importante nella vita dei Romani e degli Etruschi, sia per l’abbeveraggio degli uomini e delle loro bestie, sia per l’innaffiamento degli orti, sia infine come via di trasporto per gli uomini, le bestie e le merci, in primo luogo il sale. E per queste importanti ragioni il fiume era stato anche divinizzato col nome di Tiberinus (Ennio, Ann. 54 V; Virgilio, Geor. 4.369, Aen. VIII 72; Livio, 2.10.11). Tanto è vero che il collegio dei Pontifices, oltre che avere la cura tecnica del ponte Sublicio, effettuava funzioni sacre nelle sue due testate (Varrone, Lat. 5.83). Per effetto di questa divinizzazione si comprende il fatto che ne fossero derivati alcuni antroponimi, latini ed etruschi, aventi un valore teoforico o sacrale: lat. Tiberinius, Tiberinus da confrontare con quelli etr. THEPRINA, [TH]EPRINIE, THEFRINA; lat. Tiberius da confrontare con quelli etr. THEPRI(E), THEFRI(E), THEFARIE, TEPERI; lat. Tiberio,-onis da confrontare con quello etr. THEPRIU (DETR s. vv.). Ciò detto, c’è da dare una risposta alla questione di fondo: questo antico nome del fiume era latino oppure era etrusco? Sull’argomento in primo luogo a me sembra che si debba dare credito a un poeta latino, il quale era di origine etrusca e quasi certamente parlava o almeno comprendeva l’etrusco, Virgilio. Ebbene Virgilio nell’Eneide (VII 242; VIII 473; X 199; XI 316) definisce il Tevere Tyrrhenus Thybris e per ben 3 volte Tuscus amnis «fiume Etrusco». Espressione nella quale è notevole pure il fatto che molto probabilmente l’appellativo amnis (di etimo incerto; DELL) è quasi certamente di origine etrusca, dato che corrisponde esattamente al gentilizio etr. AMNI (DETR). Oltre a ciò, l’altro poeta latino Orazio chiama il fiume Tuscus amnis e Tuscus alveus e rivolgendosi all’amico Gaio Cilnio Mecenate, noto personaggio appartenente a una potente famiglia etrusca, gli parla delle rive del fiume dei suoi padri: paterni fluminis ripae (Serm. II 2, 33; Carm. I 20, 5; III 7, 28). In terzo luogo è da precisare che nelle citate corrispondenze antroponimiche etrusco-latine, quasi tutte le forme etrusche sono piuttosto recenti, ma alcune sono precedenti anche di alcuni secoli a quelle latine: [TH]EPRINIE (ET, Ve 3.41, sec. VI a. C.), THEFARIE (ET, Cr 4.4 inizio sec. V), THEFRI(-SA) (ET, Pe 1.307, sec. II:3), THEFRINA (ET, Ta 7.60, sec. IV:3). Infine una conferma della matrice etrusca dell’idronimo sta nel fatto che il lat. Tiberis ha l’accusativo -im e l’ablativo -i, esattamente come altri vocaboli latini derivati dall’etrusco: amnis, amussis, axis, cratis, curis, glanis, rumis, turris, tussis, ecc. (LIOE, Avvertenze 19 e s. vv.).
Altri nomi del fiume:
Rumon sembra l’accrescitivo di ruma, col significato di «mammellone» o “grande ansa”, probabilmente quella antistante al Campo Marzio (LEGL 164).
Volturnus molto probabilmente significava «(fiume) tortuoso» (come è effettivamente nella zona), da connettere col lat. vol(u)tus «volto, voltato, girato»; è da confrontare col gentilizio etr. VELTHURNA che a sua volta probabilmente significava «(individuo) tortuoso» (alternanza e/o/u; suff. -rn-; Norme 1, 9). A Roma il dio aveva una festa il 27 agosto, i Volturnalia (corrige TIOE 77-78; DICLE 199; LIOE 122).
Albula probabilmente = «acqua biancastra»; secondo Varrone (Lat. 5.30) e Virgilio (Aen. VIII 332) sarebbe stato l’originario nome latino del fiume, prima che mutasse in Tiberis, Thybris, Thebris. Però è un fatto che Livio (I.3.8), riporti quest’idronimo al tempo dei re di Alba Longa e quindi a un periodo precedente alla fondazione di Roma.
Pons Sublicius; pons, pontis «ponte, passerella», diminutivo ponticulus; antroponimi lat. Pontius, Ponten(n)ius, Pontin(n)ius, Pontulenus (RNG) da confrontare con quelli etr. Pontia (in alfabeto lat.; ThLE 386), PUNTNA, PUNTLNAI (io respingo la connessione corrente del lat. pons con vocaboli indeuropei indicanti «via» e «mare» perché essa lascia moltissimo a desiderare sul piano semantico (DETR 324, 333; DICLE 137).
Ratumen(n)a porta è da connettere con gli antroponimi etr. RATHUMSNA, RATUMSNA, RITUMENA [suff. –en(n)-] (DETR 341, 344; DICLE).
Caelius, Celius mons «colle Celio» (Varrone, Lat. 5.46), è da connettere col lat. caelum, coelum, celum «cielo» (di origine ignota; DELL, DELI), probabilmente col significato di «colle dedicato al dio Cielo od Urano» e da confrontare con l’etr. CELI (Liber IV 14, 21; V 10, 16, 17; IX 18; XI 2, 3) (ET, Ta 5.6) «al cielo» (in dativo) (DETR 78). Anche etr. CELI² (Liber VIII 9) (ET, Ta 5.6) «a settembre», mese dedicato al Cielo o Urano, da confrontare con la glossa latino/etrusca Celius, Caelius «settembre» (LEGL 99; DETR; LIOE 89).
Ianiculum «Gianicolo», colle della riva destra del Tevere, è da riportare al lat. Ianus «Giano» (dio della porta e dell’entrata) (vedi).
Palatium, Mons Palatinus «colle Palatino», è da riportare al lat. palatum «palato», palatum caeli «volta celeste»; Ovidio (Met. 1.176): hic locus est quem haud timeam magni dixisse palatia caeli «qui c’è un luogo che non temerei di chiamare volte del grande cielo»; è da confrontare con la glossa latino-etrusca faladum «cielo» (alternanza f/p; Norme 3) (TETC 831; DETR 441; ESL 292; DICLE; LIOE 54).
Quirinalis, colle sul quale sorgeva un tempio dedicato al dio Quirino (Varrone, Lat. 5.51; Cicerone, Rep 2.1l) deriva dal lat. quiris, curis «asta, lancia» (di origine ignota; LEW, DELL, ThLL, ESL 122), Iuno Quiritis vel Curitis = «Giunone Astata», cioè “armata di lancia” [StEtr VII 390; EPhIL 34; ThLL, Nomina Propria s. v. Cur(r)itis; da cui Quirites «armati di asta», cittadini cioè che si presentavano all'assemblea muniti di asta come segno del loro essere liberi e in possesso di tutti i diritti (cfr. Tacito, Germ., 11)], che è da confrontare con l’etr. KURITIANA (sec. VII), probabilmente nome teoforico in onore della dea etrusca. La probabile derivazione del lat. quiris, curis da un appellativo etrusco viene confermata dai suoi irregolari accusativo curim e ablativo curi e dall’accusativo Iunonem Curitim (Paolo-Festo 43 L, 49 M) (LELN 121, TETC 482; DETR 234; DICLE 74; Norme 19).
Suburra, Subura, malfamato quartiere etrusco di Roma (Varrone, Lat. 5.48) (già prospettato come di origine etrusca; Ernout 48; Palmer 59; Bonfante 207; ESL 80), probabilmente è da connettere col lat. saburra «zavorra» (suff. -rr-; Norme 5). Si veda l’ital. zavorra che deriva dal lat. saburra «zavorra» (costituita di sabbia e lastre di pietra messe nella stiva della nave) (già prospettato come di origine etrusca; DELL, DELI, ESL 463) che è da connettere col lat. sabulum/sabula «sabbia» (DICLE 150, 165; LIOE 75).
Vaticanus, uno dei sette colli e suo dio (Gellio 16.17.1) (nel quale probabilmente si “vaticinava” osservando il volo degli uccelli) è da riportare ai lat. vates, vatis «indovino, profeta», vaticinari «vaticinare, profetizzare» (già prospettati come di origine etrusca; DELL) e da confrontare col gentilizio etr. VATI e con l’etr. VATIEXE UNIALASTRES «sono stati votati o dedicati a Giunone-Astarte» (Pyrgi 1) (LIOE 72; LLE).
Velabrum, quartiere di Roma, = appellativo lat. velabrum «sito ventilato, aia» (Paolo-Festo 68, 3) è probabilmente da confrontare col toponimo etr. VELATHRI «Volterra» (DETR). Nei tempi antichi le aie erano situate in siti elevati e ventilati e risultavano fisse (LLE).
Velia altura che collegava il Palatino al colle Oppio (Cicerone, Rep. 2.53; Livio, 2.7.6) è da confrontare col prenome femm. etr. VELIA, UELIA (LEGL 65).
Trovano riscontro con altrettanti lemmi della lingua etrusca i seguenti che sono relativi all’origine leggendaria di Roma:
Latinus, mitico re del Lazio (Virgilio, Aen. 7.45; Livio, 1.1.5; Ovidio, Fast. 4.43) da confrontare con l’antroponimo etr. LATINE (DETR 247; DICLE).
Proca(s), re di Alba Longa, padre di Numitore e Amulio (Virgilio, Aen. 6.767; Livio, 1.3.9), è da confrontare con gli antroponimi etr. PRUCIU, PRUCUA (DETR 326).
Numitor,-oris, re di Alba Longa, nonno di Romolo e Remo (Virgilio, Aen. 6.768; Livio, 1.3.10) è da confrontare con l’antroponimo etr. NUMTHR(-AL) (DETR, DICLE).
Amulius, re di Alba Longa, che spodestò Numitore (Nevio, Poet. 25.2; Livio, 1.3.10; Ovidio, Met. 14.772), probabilmente è da connettere col lat. aemulus «emulo, contendente, rivale» (di origine ignota; DELL, DELI) e da confrontare con l’antroponimo etr. EIMLN(-EI) (DETR 132) (alternanza a/ae; Norme 1) (DICLE; LIOE 37). Vedi Aemilia.
Mars, Martis «Marte», dio padre di Romolo e Remo (Ennio, Ann. 62; Virgilio, Ecl. 10.41), Martius (mese di marzo» (di origine ignota; DELL, DELI) è da confrontare con l’etr. MARTI(-TH) probabilmente «in marzo» o, in subordine, «nella festività di Marte» (DICLE; LIOE 50).
Faustulus, pastore che allevò Romolo e Remo (Varrone, Rust. 2.1.9; Livio, 1.4.6) è da riportare al lat. faustus «fausto, favorevole, propizio, di buon augurio» e probabilmente da confrontare con l’etr. HAUSTI «fausto, favorevole, propizio» (Liber, X 23, f4) (alternanza f/h; Norme 3) (DICLE; LIOE 38).
Acca Larentia, moglie di Faustolo, nutrice di Romolo e Remo e divinità (Cicerone, ad Brut. 1.15.8; Livio, 1.4.7; Varrone, Lat. 6.23; Ovidio, Fast. 3.55, 4.854) (già prospettato come di origine etrusca; DELL) è da confrontare con l’etr. ACALA «giugno» (Liber XI 1), da confrontare con la glossa latino/etrusca Aclus «giugno», forse = “mese consacrato ad Acca Larentia”; ACALE «in giugno» (Liber VI 17); ACALIA probabilmente = lat. Accalia (o Larentalia) «feste in onore di Acca Larentia» (ET, Cr 4.2); ACALVE probabilmente «relativo a giugno oppure ad Acca Larentia» (TCap 21).
Passo ai tradizionali sette re di Roma, con la loro tradizionale cronologia, per mostrare la connessione dei loro nomi con altrettanti antroponimi etruschi:
Romulus (753-716 a.C.) è da connettere coi gentilizi lat. Romilius, Romulius (RNG) e da confrontare con quello etr. RUMELNA, RUMILNA, RUMLNA (DETR 351), etr. RUMATE con quello lat. Romatius, tutti evidentemente derivati da Roma/ruma (e non il contrario!).
Numa Pompilius (715-673), il primo antroponimo è da confrontare con quello etr. NUMA (DETR 299), il secondo Pompilius, Pomplius (RNG) è da confrontare con quello etr. PUMPLI(AL-X) (DETR 331).
Tullus Hostilius (673-641) il primo antroponimo è da riportare all’appelativo lat. tullius «getto, zampillo, cascatella» (già prospettato come di origine etrusca; DELL; ESL 400) e da confrontare con l’antroponimo etr. TULE (DETR 416); il secondo Hostilius è da riportare all’aggettivo lat. hostilis-e «ostile» e da confrontare con l’antroponimo etr. HUSTLE (DETR 205).
Ancus Martius (640-616) (Ennio, Ann. 149; Lucrezio, 3.1025: Orazio, Carm. 4.7.15), il primo antroponimo è da riportare all’aggettivo lat. ancus «dal braccio rattrappito, monco» (già indiziato come di origine etrusca; DELL, Additions pag. 816) (LELN 44) e da confrontare con l’antroponimo etr. ANXE «Anco» (ET, Vs 1.91). Per Martius vedi Mars.
Tarquinius Priscus (616-579) (di etnia etrusca) è da confrontare con quello etr. TARXNI(-EI), TARXUNIE (DETR 394, 395); Tarquinii,-orum «Tarquinia» (città etrusca del Lazio) da riportare all’etr. TARXNA(-LTH), TARXNA(-LTHI) «(in) Tarquinia» (locativo) e da confrontare con l’anatolico Tarchun «dio delle tempeste» (suff. –in-; Norme 5) (LEGL 57, 82; DETR 394; LIOE 112).
Servius Tullius (578-535) (di etnia etrusca). Servius antroponimo da riportare all’appellativo lat. servus «servo, schiavo» (già prospettato come di origine etrusca; DELL, ESL 383) e da confrontare con l’antroponimo etr. SERV(E), SERVI (TETC 515; DETR 370) (uscita in –l/rvu- come acervus, calvus, fulvus, milvus, torvus; DICLE; Norme 15). In etrusco Servio Tullio è conosciuto anche come MACSTRNA «Mastarna» (ET, Vc 7.25 “Tomba François”) (Cristofani, Diz. 169) (LIOE 64).
Tarquinius Superbus (535-509) (di etnia etrusca) vedi Tarquinius Priscus.
Personaggi mitologici che entrano nelle origini leggendarie di Roma:
Remus «Remo», gemello di Romolo (Ennio, Ann. 79; Cicerone, Rep. 2.4), forse da connettere con l’appellativo lat. remus «remo» (da *resmos, cfr. triresmon, septeresmon della Colonna Rostrale; DELL) (in una barca i remi sono due, come i gemelli) e da confrontare con gli antroponimi etr. REMNI, REMSNA, REMZNA (TETC 515; DETR 347; DICLE 146).
Italus «Italo», re leggendario eponimo dell’Italia [Virgilio, Aen. 7.178; Igino (Hyginius), Fab. 127.3], lat. italus «vitello» (Varrone, Rust. 2.5.3; Columella, 6 pr.7); Italia, Itali, tutti da confrontare con la glossa greco/etr. ιταλός (italós) «toro» (ThLE 418), con l’etr. ITAL (TCap 10) «toro» (?) e col lat. vitulus, vitellus «vitello», col significato originario di «popolo che ha il toro o vitello come animale totemico» e di «terra abitata da questo popolo» (DETR 225; DICLE 98; LIOE 75, 98; trattazione più ampia in TIOE 21-27). Vedi vitulus.
Aenea(s) «Enea», eroe troiano, figlio di Venere e di Anchise (Cicerone, Div. 1.43; Virgilio, Aen. 1.220), dal greco Αινείας (Aineías) è da confrontare con l’etr. EINA (ET, Cl S.17) (LEGL 47; DETR).
Anchises, Anchisa, padre di Enea (Ennio, Ann. 18; Virgilio, Aen. 1.617), dal greco Αγχίσης (Anchíses) è da confrontare con l’etr. ANXIS «Anchise» (ET, OI S.28). ANXISNEI (ET, Cl 1.792) «*Anchisinia», gentilizio femm., derivato da ANXIS «Anchise».
Aemilia, figlia di Enea, madre di Romolo e Remo col dio Marte padre, deriva dal lat. aemulus «emulo, contendente, rivale» (di origine ignota; DELL, DEI, DELI) è da confrontare col gentilizio femm. etr. EIMLN(-EI) (DETR 132; DICLE 23; LIOE 37). Vedi Amulius.
Hercules «Ercole», dal greco Ηρακλης (Herhakles) è da confrontare con gli etr. HERCALE, HERACLE, HERCLE (ET, OI S.3) (DETR).
Cacus, predone ucciso da Ercole (Virgilio, Aen. 8.194; Livio, 1.7.5), è da confrontare con l’antroponimo etr. CACU, QAΧU (DETR 78, 339).
Evander, Evandrus «Evandro», re arcade trasferitosi nel Lazio, sul Palatino (Virgilio, Aen. 8,52; Livio, 1.5.2; Ovidio, Fast. 1.471) dal greco Ευάνδρα (Euándra) è da confrontare con l’etr. EVANTRA (ET, Cl 1.24, 25, 1880) (DETR).
Mezentius, re di Caere, nemico di Enea (Virgilio, Aen. 7.648; Livio, 1.2.4) è da confrontare con l’antroponimo etr. MEZENTIE (DETR 275; DICLE 115).
Silvius, figlio di Enea o di Ascanio (Virgilio, Aen. 7.673; Livio, 1.3.6); Rea Silvia, madre di Romolo e Remo, da riportare al lat. silva «selva», di etimologia incerta (DELL, DELI), ma quasi certamente di origine etrusca in virtù dell’uscita in –l/rva come belva, caterva, larva, malva, Menerva, vulva, acervus, ecc.; Silvanus «dio delle selve», da confrontare con l’etr. SELVANS, SILVANZ (alternanze e/i, e/a; Norme 1) (DETR 366, 375; DICLE; LIOE 63).
Tarquetius, tirannico re di Alba Longa; gentilizio Tarquitius (RNG), è da confrontare con quello etr. TARXVETENA (alternanza e/i; suff. es,-etis/is,-itis; Norme 1, 5) (DETR 394).
Titus Tatius. Titus prenome masch. probabilmente da connettere col lat. titus «colombaccio, colombo selvatico» e da confrontare con quello etr. TITE (DELL; ESL 398; DETR 406). Vedi Titie(nse)s.
Turnus, re dei Rutuli sconfitto e ucciso da Enea (Virgilio, Aen. 7.56, 10.479; Livio, 1.2.1), è da confrontare con l’antroponimo etr. TURNA (DETR 416; DICLE).
Prove e testimonianze linguistico-religiose:
Iuno,-onis «Giunone», moglie e sorella di Iupiter, è da confrontare con l’etr. UNI (suff. –on-; Norme 7) (DETR 429; DICLE). Iuno Lucina «Giunone del parto» è da confrontare con gli antroponimi etr. LUCINI, LUCNI (suff. –in-; Norme 5) (DETR 260; DICLE).
Minerva, Menerva «Minerva» (dea delle arti) è da confrontare con l’etr. MENERVA, MENERUVA, MENARVA, MENRVA (alternanze a/e, e/i). Per l’uscita in –l/rva cfr. belva, caterva, larva, malva, silva, vulva, acervus, ecc. (Norme 1, 15) (DETR 278; DICLE). La triade capitolina Iupiter, Iuno, Minerva quasi certamente corrispondeva a quella etr. TINIA, UNI, MENERVA.
Ianus «Giano», dio della porta e dell’entrata, è da connettere coi lat. ianua «porta, passaggio, ingresso», ianus «archivolto, passaggio coperto» (di origine incerta; DELL) e da confrontare con l’etr. IANE (DETR 222; DICLE 97; LIOE 42). Vedi Ianiculum.
Angerona, dea misteriosa (Varrone, Lat. 6.23), forse legata alla morte (LISNE 157), già prospettata come di origine etrusca (DELL, EPhIL 79-81, Palmer 60) è da confrontare con l’antroponimo etr. ANCARU, ANΧARU. Cfr. toponimo Ancherona (2: S. Gimignano, SI; Poppi, AR) [corrispondenza lat./etr. G/Χ; suff. –on-/-u(n); Norme 3, 7] (DICLE; LIOE 79).
Anna Perenna (o Peranna), antica dea del ritorno ciclico dell’anno (Varrone, Men. 506; Ovidio, Fast. 3.523), è da confrontare con gli antroponimi etr. ANNE, ANNI(E) (DETR 49; DICLE 31).
Burnus, dio delle porte (già prospettato come di origine etrusca; EPhIL 31, DELL), antroponimo teoforico Barneus (RNG) da confrontare con gli antroponimi etr. PARNA, PARNIE (DETR 309; DICLE 45).
Fatuus, dio oracolare identificato con Faunus (Varrone, Lat. 6.55) (Etim) è da confrontare con l’etr. FATUVS (ET, Vs S.15 su specchio (ThLE² 429) (uscita -uu-, Norme 15) (LIOE 38).
Feronia «dea delle acque e delle messi», gentilizio lat. Feronius (RNG) è da confrontare con l’antroponimo etr. FERU [suff. –on-/-u(n); Norme 7] (LELN 138; DETR 447; DICLE 84).
Iuturna «ninfa delle fonti» (di origine etrusca per il DELL), è da confrontare con l’etr. UTHUR probabilmente «acqua» e inoltre con l’umbro utur «acqua» (Tav. Eug. II 6, 15) e col greco ύδωρ (hýdōr) «acqua». (suff. –rn-; Norme 9) (DETR 425; DICLE 98).
Lua «Lua», moglie di Saturno, alla quale si consacravano le armi tolte al nemico bruciandole in espiazione del sangue versato (probabilmente di origine etrusca; DELL) è da confrontare con l’etr. LUA (DETR 259; DICLE).
Lubitina, Libitina, Lubentina, Libentina «dea della morte e dei morti» (suff. -in-; Norme 5) è da confrontare con gli etr. LUPU «morto», LUPUCE «morì, è morto» (LEW, DELL, Palmer 60) (LELN 177; OPSE; DETR 262; DICLE).
Lustra, divinità delle lustrazioni (di origine incerta; DELL; DELI lustrare²), è da confrontare con l’etr. LUSTRA (Liber VI 10) probabilmente «lustrazione o purificazione» (DETR 263; DICLE 109).
Manturna, dea del matrimonio, forse da riportare a mantus «manto, velo» (di origine incerta; AEI, Etim) perché nel rito i due sposi venivano messi sotto uno stesso manto o velo?) è da confrontare con gli etr. MANTRN(-SL), MUNTHURTN(-AL) (DELL; EPhIL 79) (suff. -rn-; Norme 9) (DETR 269, 287; DICLE 112).
Neptunus «Nettuno», dio delle acque, è da confrontare con l’etr. NETHUNS, NETHUNUS «Nettuno» (suff. –un-; Norme 7), coi fitonimi lat. nepeta «nepitella» e neptunia «polio» col comune concetto di «umido, umidità» e forse anche con la divinità vedica Apám Nápāt, avestica Apam Napå (DELL; ESL 267-268) (DETR 295; DICLE 121; LIOE 102).
Picumnus e Pilumnus, dèi fratelli che proteggevano le puerpere e i neonati (Varrone, Gramm. 375; Servio, Aen. 9.4; 10.76; Plinio, Nat. 18.10) (già indiziati come di origine etrusca in virtù del suff. –mn-; DELL; Norme 5). Picumnus potrebbe essere derivato da picus «picchio», uccello profetico sacro ad Ares (DICLE). Cfr. Vertumnus, Vitumnus, Voltumnus, Volumna.
Saturnus «Saturno», dio e il più antico re del Latium, è da confrontare con l’etr. SATR[N]E (ET, Pa 4.2 Fegato) (suff. –rn-; Norme 9) (probabilmente etrusco per il DELL anche s. v. Lua) (DETR 359; DICLE 153; LIOE 109).
Semo,-onis «Semone», dio delle sementi, è da confrontare con l’etr. SEMU [suff. –on-/-u(n); Norme 7] (TETC 670; DETR 357; DICLE 156).
Silvanus, dio delle selve, è da confrontare con l’etr. SELVANS, SILVANZ (alternanza e/i; Norme 1) (TETC 122; DETR 366, 375; DICLE 159; LIOE 63). Vedi Silvius.
Talas(s)ius, Talas(s)io,-onis (Tha-), antico dio invocato nella cerimonia del matrimonio (di probabile origine etrusca; ESL passim) (suff. –on-; Norme 7), secondo una leggenda, ripresa da Varrone e da Paolo-Festo (479.13) connesso col greco ταλασια (talasía) «lavorazione della lana» (corrige DETR 207, 392; DICLE 168).
Tutunus, Tutinus «Priapo», dio della fecondità (Agostino, Civ. 4.11; Arnobio, 4.7) (già prospettato come di origine etrusca; Ernout 40; ESL passim), è da confrontare con l’etr. TUTUNIŚ «a Priapo» (ET, Sp 2.5 su vaso) (suff. –un-/-in-; Norme 5) (DETR 421; DICLE 181).
Veiovis, Vediovis, Vedius «Veiove», dio della vendetta, Giove infernale (Varrone, Lat. 5.74; Cicerone, Nat. 3.62; Ovidio, Fast 3.430; Marziano Capella, 2.166), è da confrontare con gli etr. VEIVE, VETIS(-L) (DETR 145, 166; DICLE 186).
Vegoia, Begoe, ninfa della religione rivelata degli Etruschi, è da confrontare con gli etr. VECU, VECUVIA (DETR 144; DICLE 186).
Venilia, dea o ninfa marina, madre di Turno (Virgilio, Aen. 10.76), moglie di Fauno o di Giano (Varrone, Lat. 5.72; Ovidio, Met. 14.334) (di origine ignota; DELL 719), è da confrontare con l’etr. VENILI(-SE) «(offerto) a Venilia» (?) (su vaso; DETR 161; DICLE 190).
Vertumnus, Vortumnus, dio dell’anno che gira o delle stagioni (Cicerone, Verr. 1.154; Orazio, Ep. 1.20, Sat. 2.7.14), è da connettere col lat. vertere, vortere «girare, volgere, voltare») (di origine etrusca; Ernout 34) (suff. –mn-; Norme 5) (corrige DETR 150, 155; DICLE 191). Cfr. Picumnus, Pilumnus, Vitumnus, Voltumna.
Vesta, dea del focolare (Ennio, Ann. 62) (di origine incerta; DELL, DELI), è da confrontare con l’etr. VESTA (ThLE² 149).
Vitumnus, probabilmente «dio che dà la vita al neonato» (Varrone, Gramm. 152) (di probabile origine etrusca, ma deformato; DELL; Carnoy, AGI, XLI 112). Cfr. Picumnus, Pilumnus, Vertumnus, Volumna.
Voltumna divinità patrona della Federazione Etrusca (Livio, 4.23.5), presso il cui tempio, vicino ad Orvieto, si svolgevano le adunanze generali, probabilmente corrisponde all’etr. VELTHINE, VELTUNE (suff. –mn-; Norme 5) (corrige DETR 150, 155; DICLE 198).
Volumna, dea protettrice dei neonati, Volumnus suo marito (Varrone, Gramm. 150; Agostino, Civ. 4.21)) (di origine etrusca; DELL, Ernout 34; ESL 63, 67) è da confrontare con gli antroponimi. etr. VELIMNA, VELIMUNA e inoltre coi lat. vellus, villus, vellimna «vello, pelo» (alternanza e/i; suff. –mn-; Norme 1, 5).
bacchanalia «baccanali», festa in onore di Bacco, che deriva dall’etr. PAXANA (ET, Ta 1.17) «bacchico» (aggettivo), «baccanale» (sostantivo), a sua volta dall’etr. PAXIE «Bacco» (LEGL 89, 143; TCL capo IV). È appena il caso di ricordare che i baccanali passarono appunto dall’Etruria a Roma, dove però furono proibiti dal famoso senatoconsulto del 186 a. C. (TETC 131, 137; LELN 66-70; DETR 312; DICLE 45).
Taurii ludi, Taurilia, feste che si celebravano in onore degli dèi inferi (Varrone, Lat. 5.154; Livio, 39.22.1), è da confrontare con l’etr. THAURA, THAURE «giaciglio, letto funebre, sepolcro, tomba», lat. torus «letto funebre» e inoltre con l’etr. TARIL(-S) (TETC 419; LEGL 45, 73, 90; DETR 211, 393; DICLE 177).
A questi vanno aggiunti alcuni appellativi latini, di prevalente valenza religiosa, che quasi sicuramente sono di origine etrusca:
corona, chorona «cerchio, anello, corona» (adoperata nelle cerimonie religiose, nei trionfi, nelle premiazioni, nei banchetti) (alternanza c/ch; Norme 3) è da confrontare col greco κορωνη (korhōnē) «oggetto ricurvo, anello, corona» [semplicemente omofono col greco κορωνη «cornacchia»!], con l’antroponimo. etr. CURUNA, XURUN(-AL) (= lat. Corona, Coronius; RNG), col toponimo tosc. Coronna (TTM) (alternanza c/ch; Norme 3) (LELN 106; TETC 732; OPSE; DETR 125, 440; DICLE; LIOE).
fascis «fascio, mazzo», fascia «fascia, benda», fascina «fascina», fascĭnum «legame(nto) magico» (suff. -in-, –ia-; Norme 5, 14) (di origine incerta; DELI, Etim), che probabilmente sono da confrontare con l’etr. FASCI (ThLE² 428) (è da ricordare che il “fascio littorio” era di origine etrusca) (DETR 444; DICLE 82).
pileus, pilleus/m «pileo, berretto frigio», «copricapo rituale dei sacerdoti etruschi», di origine etrusca per motivi sacro-culturali e per l’uscita –eu come balteus, calceus, caseus, clipeus, culleus, cuneus, erneum, laqueus, puteus, runculeum, urceus (ESL 39) (Norme 14) (DICLE 134; LIOE 56).
sulcus «solco», anche quello della “città quadrata”, tracciato da Romolo con l’aratro (la sua etimologia corrente lascia molto a desiderare), che è da confrontare con l’appellativo etr. plur. SULXVA probabilmente «solchi» (Liber X 17) (LEGL 69; DICLE 166; LIOE 64).
triumphus, triumpus, triumfus «trionfo militare», deriva dal greco θρίαμβος (thríambos) «inno in onore di Dioniso o Bacco», ma attraverso l’etrusco (alternanza f/ph/p; Norme 3) (DELL; Bonfante 204; ELS 232; DICLE 178; LIOE 71). E pure il “saluto romano” i Romani hanno preso dagli Etruschi, presso i quali in origine era un saluto religioso, un saluto che indicava e dichiarava “pace”.
vitulus, vitellus «vitello», è da connettere col lat. italus «vitello» (Varrone, Rust. 2.5.3; Columella, 6 pr.7) e da confrontare con la glossa greco/etr. ιταλός (italós) «toro» (ThLE 418), con l’etr. ITAL (TCap 10) «toro» (?) (DETR 225; DICLE 98; LIOE 75, 98). Vedi Italus.
voltur(us), vultur «avvoltoio», uccello profetico consultato da Romolo e Remo (già prospettato come di origine etrusca; EPhIL 5; DELL; AEI; DELI; ESL 86), aggettivo volturinus forse da connettere col lat. vol(u)tus «volto, voltato, girato» (col significato dunque di “rapace che gira attorno”), tutti da confrontare col prenome e gentilizio etr. VELTHUR e con gli antroponimi VELTHURA, VELTHURIU (= lat. Volturius, Voltorius, Vulturius; RNG) (suff. -in-; alternanza o/u; Norme 5, 20) (LISNE 275; TETC 38; DETR; DICLE 199; LIOE 21).
A questo proposito è da ricordare che la tradizionale fondazione di Roma, con la preventiva consultazione degli avvoltoi (vedi voltur) e col solco (sulcus) tracciato sul terreno da un giogo di buoi, con la mucca all’interno e col toro all’esterno (vitulus, italus), fu fatta da Romolo secondo l’uso etrusco (more etrusco). E a questa speciale usanza gli Etruschi saranno stati abituati e affezionati, dato che, arrivati dalla Lidia in Italia, secondo la testimonianza di Erodoto (I, 94) e di altri 30 autori greci e latini, fondarono città. Una di queste sarà stata per l’appunto Roma.
La stessa data tradizionale della fondazione di Roma nel 753 a. C. è molto probabile che risulti confermata proprio dalla presenza degli Etruschi nel sito. È noto infatti che essi avevano già in uso un loro calendario ufficiale, quello che iniziava col loro arrivo dalla Lidia in Italia, probabilmente nel 949 a. C., e che conservavano e osservavano con l’affissione dei clavi aurati nel tempio della dea Northia, presso Orvieto. Inoltre tutto ciò è confermato – come vedremo più avanti – da iscrizioni etrusche ritrovate proprio a Roma, alcune delle quali risalgono al sec. VII a. C.
Tutto questo non esclude affatto la presenza nella zona di nuclei di popolazione propriamente latina, in prevalenza sulle cime dei colli, come dimostra il ritrovamento di resti di antichissime capanne sul Palatino.
D’altra parte è del tutto certo che la città di Roma ha finito col conoscere un fenomeno di sinecismo, con gruppi di Latini e di Sabini affiancati agli Etruschi, come fa intendere anche la tradizione delle tre tribù originarie di Roma:
Lucĕres, Lucereses «Lùceri» (Cicerone, Rep. 2.36; Livio, 1.13.8; Varrone, Lat. 5.55) (DELL), è da confrontare col prenome masch. etr. LUCER (DETR 260; DICLE).
Ramnes, Rhamnes, Ramnenses (Livio, 1.13.8, 10.6.7; Varrone,, Lat., 5.55 (DELL) è da confrontare con l’antroponimo etr. RAMNUNA (DETR 342; DICLE).
Tities, Titienses (Livio, 10.6.7; Ovidio, Fast. 3.131), è probabilmente da connettere col lat. titus «colombo selvatico», che, secondo Varrone (Lat. 5.85), era un uccello augurale e che sarà stato l’animale totemico dei Tities, e da confrontare con l’antroponimo etr. TITIE (DETR 407) (DICLE).
Si intravede che l’episodio della cacciata di Tarquinio il Superbo da Roma sia stato nella sostanza un fatto di rivolta dei dominati Latini e Sabini, contro i dominatori Etruschi, ormai diventati meno numerosi in città.
Traiamo le logiche conclusioni da questi numerosi confronti e connessioni tra lemmi (appellativi, teonimi, antroponimi e toponimi) etruschi e lemmi romano-latini:
I) Tutti, sottolineo “tutti” i lemmi romano-latini relativi alla origine, mitologica o storica, di Roma trovano esatto riscontro in corrispondenti lemmi etruschi. Questa importante circostanza linguistica indizia almeno che a Roma gli Etruschi ci sono stati sempre, ab origine.
II) Al contrario alcuni di questi lemmi etruschi non trovano alcun riscontro in corrispondenti lemmi romano-latini. Questa circostanza linguistica indizia almeno che a Roma i Romano-Latini non ci sono stati sempre.
III) Esiste una perfetta continuità linguistica etrusca nell’intera storia dell’origine di Roma come città, continuità che non risulta mai fratturata e interrotta da una stratificazione esclusivamente romano-latina.
IV) Tra gli originari Latini e Sabini il sistema di denominazione più antico era quello unimembre, cioè quello effettuato col solo nomen o “nome personale»: Romulus, Remus, Faustulus, Proca(s), Numitor,-oris, Amulius. Tale sistema unimembre era tipico della forma di stanziamento umano a vici «borghi», in ciascuno dei quali la denominazione di un individuo col suo solo nomen era sufficiente per individuarlo. Invece il sistema della denominazione bimembre, nomen-gentilicium, cioè “nome personale e nome di famiglia”, oppure nomen-cognomen, cioè “nome personale e soprannome” era ed è tipico dello stanziamento umano di tipo “urbano”, cioè faceva riferimento non più ad un vicus «borgo», bensì a una urbs «città». In una città infatti non è sufficiente la denominazione di un individuo col suo solo nomen per individuarlo, ma è necessario fare riferimento anche al gentilicium della sua famiglia oppure al suo soprannome (cognomen). Ebbene il sistema della denominazione bimembre risulta conosciuto e usato dagli Etruschi da quattro o tre secoli prima dei Romani-Latini, per cui appare evidente che il sistema bimembre è stato importato dagli Etruschi a Roma quando per l’appunto essi vi fondarono la città: Numa Pompilius, Tullus Hostilius, Ancus Martius, Tarquinius Priscus, Servius Tullius, Tarquinius Superbus.
V) Tutto questo è confermato dalla importantissima circostanza che le più antiche iscrizioni trovate nel sito di Roma (a Sant’Omobono, Campidoglio, Palatino, Esquilino, Cloaca Maxima) sono in lingua etrusca e non in lingua romano-latina: ET, La 2.1, sec. 7:3, su vaso: VETUSIA (lat. Vetossia); La 2.2, sec. 7f6i, su vaso: UQNUS (lat. Oconius, «(è) di Oconio»); La 2.3, sec. 6, su tessera d’avorio: ARAZ SILQETENAS SPURIANAS [«(tessera) di Arunte Sulcitano (ospite) di Spurianio»]; La 2.4, sec. 6:s, su patera: MI ARAZIIA LARANIIA («io (sono) di Arunte *Laranio»); La 2.5 arc., su vaso: MI ANIΘ[ (lat. Anidius, «io (sono) di Anidio»); La 3.1, sec. 7s6i, su patera: MI MU[LU LARISAL]E VELXAINASI [«io donato da Laris Velcenna» oppure «io donato a Laris Velcenna»]; La 0.1, sec. 6:s, su vaso: ANA [lat. Anius]. E si tratta evidentemente di iscrizioni molto precedenti a quelle latine. Si sa infatti che la più antica iscrizione in lingua latina trovata a Roma è quella del Lapis niger, la quale risale appena alla metà del sec. VI ed inoltre risulta del tutto isolata. E c’è da osservare e sottolineare che le antichissime iscrizioni etrusche rinvenute a Roma dimostrano all’evidenza che il centro abitato era ormai una urbs – una città etrusca appunto -, dato che l’esigenza di comunicazioni scritte è molto più frequente e pressante in una urbs che non in un vicus.
VI) Sul piano della evidenza archeologica e linguistica, la documentazione dei su citati lemmi etruschi non soltanto risulta essere prevalente, ma risulta anche essere precedente, anche di molto, alla documentazione dei corrispondenti lemmi romano-latini. E questa prevalente ed anche precedente documentazione linguistica etrusca non può essere spiegata in altro modo: nel sito dove sorse Roma come città gli Etruschi c’erano stati prima e più numerosi e più forti dei Romano-Latini.
Sunto e conclusione ultima: a detta di Dionigi di Alicarnasso, una decina di scrittori antichi sostennero che Roma era un città Etrusca; la quale notizia viene confermata dai numerosi e importanti dati linguistici su esposti e delucidati. A giudizio dello scrivente, la “prova regina” della sua tesi è quella storiografica, mentre quella linguistica è di supporto e di conferma.
Codicillo: a quale delle città etrusche è presumibilmente da attribuirsi la fondazione di Roma come “città”? Le città etrusche più vicine al sito erano Veio e Caere (Cerveteri); però l’accertata e sicura presenza nella Roma primitiva della dinastia dei Tarquini induce a privilegiare come fondatrice della città di Roma appunto la città etrusca di Tarquinia, che era poco più distante delle altre due dal sito prescelto.
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