A settant'anni il professor Saverio Viso vede concretizzarsi il suo sogno di urbanistica: spostare la città. Saverio non è un visionario bensì un rigoroso professore universitario che, all'apice della sua carriera accademica, ha maturato le sue ipotesi sul futuro delle città contemporanee sviluppandole in quella che lui chiama "Teoria della frammentazione". In un tempo non troppo distante dai nostri giorni, in una realtà che appare tutta uguale completamente urbanizzata e senza confini apparenti, abitata da persone che sembrano aver perso la propria identità, il professor Viso è fermamente convinto che solo "frammentando" i centri storici, "sollevando" gli antichi edifici simbolo e "ricollocandoli" nelle aree marginali si possa dare finalmente un'identità anche alle zone periferiche delle città. Egli viene chiamato a soprintendere alle "operazioni di sollevamento" di un importante edificio storico di una mai precisamente nominata città del Nordest (anche se alcune descrizioni potrebbero dare ad intendere che si tratti di Treviso). Il professore si trova di fronte una realtà che gli appare subito ben diversa da come s'era immaginato dallo spazio chiuso e impermeabile delle aule universitarie: il palazzo è ridotto a un rudere tenuto in piedi da enormi telai metallici, i lavori sembrano non procedere, gli operai sono in sciopero, dal cantiere vengono costantemente sottratti mattoni e pietre e i politi amministratori sembrano assolutamente disinteressati a tutto quello che accade. Come se ciò non bastasse, il dolore alla schiena che attanaglia il professore fin dal suo arrivo in città sembra aggravarsi ogni giorno di più. Paralizzato dal dolore, Viso è costretto ad indossare un busto ortopedico e a non muoversi dalla camera dell'albergo dove alloggia. Dalla finestra può osservare il palazzo che gli appare come se stesso, ingabbiato e malconcio, in attesa della propria sorte. Qui il professore stringerà un rapporto di amicizia con una giovane cameriera, "una ragazza dai capelli neri e dagli occhi lucidi", che si prenderà cura di lui e lo aiuterà a trovare fiducia e a credere ancora nel proprio lavoro guardando la realtà con altri occhi. Non appena le sue condizioni di salute glielo consentiranno Saverio Viso si troverà a portare avanti da solo il suo compito. Ma sarà veramente possibile spostare il palazzo? Le risposte forse stanno nascoste dietro agli occhi neri e lucidi della ragazza.
La Recensione
L'idea di poter spostare gli edifici più antichi e rappresentativi di una città in periferia mi sembra un'idea tanto surreale quanto entusiasmante. Dopo essermi documentata sulla attuale non fattibilità dell'opera (che secondo un articolo dello stesso autore sarebbe attuabile in futuro), non posso che riconoscere la genialità di questo pensiero che mi ha trasportato, colpa anche del titolo, nel fantastico mondo di Miyazaki, solo che lì, di errante, c'era solo un castello. Il professor Viso e la sua teoria della frammentazione sono un ottimo spunto per lo sviluppo di un romanzo di tutto rispetto, spunto che purtroppo non è stato colto in pieno a parer mio.
Il romanzo vorrebbe esprimere un senso di incompiutezza degli eventi, in modo da lasciare il lettore in balia delle decisioni dello scrittore che, con arguzia, si diverte a non concretizzare mai i fatti nella mente di chi sta leggendo, usando come artifizio un modo verbale; l'uso del condizionale è il "barbatrucco" usato da Michieletto, che ne abusa per tutta la durata del racconto. Se in principio l'idea di usare il condizionale per narrare la vicenda diverte il lettore, già dopo venti pagine lo irrita, e dopo quaranta lo stanca facendogli perdere il filo conduttore della narrazione. Lo sforzo utilizzato per portare le vicende al presente è assillante, impossibile leggere con serenità il testo.
La prima parte del racconto è un lungo, lento e fin troppo dettagliato susseguirsi di azioni del protagonista che, quando viene coinvolto in quei rari dialoghi presenti, mostra l'ottima capacità dell'autore di narrare la vicenda e i fatti al presente, regalando delle piccole pause di ristoro mentale al lettore.
La storia, pur se interessante, è eccessivamente prolissa in alcuni punti ed esageratamente dettagliata in altri: a meno che non siate ingegneri, architetti o addetti ai lavori e - perché no - appassionati di dettagli tecnici, il lungo soffermarsi sulle descrizioni degli edifici, o l'inserimento delle riflessioni sull'apollineo e il dionisiaco, appesantiscono la narrazione e di conseguenza la lettura.
Nonostante questo, Michieletto è riuscito a trasmettere l'angoscia, la delusione e la solitudine provate dal nostro protagonista che, durante l'incedere della storia, ha modo di meditare sugli eventi che si stanno accavallando fin quasi a sommergerlo, fin quasi, però, perché il caro professor Viso darà una svolta inaspettata alla sua storia. Dal libro trapela una certa sensibilità dell'autore, una ricerca dettagliata e uno studio propedeutico allo sviluppo del racconto; descrizioni meno approfondite (il referto medico così dettagliato non serviva, stiamo parlando quasi di un urban fantasy, con elementi non del tutto pertinenti alla realtà) e più ritmo alla storia avrebbero fatto di questo libro davvero un bel romanzo più che un racconto. Un minor uso delle descrizioni seriali sui pensieri e sulle azioni del protagonista e un maggior sviluppo della storia avrebbero sicuramente arricchito quest'opera.
Giudizio:+1stella+ (e mezzo)
Articolo di Romina
Dettagli del libro
- Titolo: La città errante
- Autore: Massimo Libero Michieletto
- Editore: Amande
- Data di Pubblicazione: 2012
- ISBN-13: 9788897681069
- Pagine: 129
- Formato - Prezzo: Brossura - Euro 14,00