Una sera per andare a prendere una collega da portare a una riunione si fa prestare una macchina ( ibrida , perché lui non guida macchine da 8 anni visto che inquinano) ma ha un piccolo incidente.
Nella pioggia la sua macchina viene urtata da qualcosa di indefinito ( un animale?) e lui ne perde il controllo andando a sbattere contro della macchine parcheggiate.
Lascia un biglietto per farsi rintracciare e subito dopo, percorse poche centinaia di metri, vede qualcosa adagiato in mezzo alla strada.
E' un uomo, appena investito. Chiama la polizia per soccorrerlo ma si ritrova ben presto ad essere il principale sospettato dell'investimento del malcapitato.
Che non è una persona qualunque.
Michele Grassadonia per colpa della propria dabbenaggine e per circostanze sfortunate subisce le angherie di una giustizia tentacolare, sorda, cieca e stupida,
Quella della città ideale.
Dovrà tornare a Palermo per sistemare le cose.
Forse.
La città ideale è l'opera prima di Luigi Lo Cascio, attore di valore nel panorama cinematografico italiano che qui oltre a ritagliarsi il ruolo di protagonista , ha scritto la sceneggiatura e firmato la regia.
La città ideale è infatti un film complesso, stratificato, preciso, anzi volutamente pedante nella caratterizzazione del personaggio principale, l'architetto ecologista Michele Grassadonia ( interpretato da Lo Cascio) e volutamente sfumato nella definizione dei personaggi secondari, figurine strane e paradossali che fanno da corollario a un personaggio estremo come quello di Michele.
Un architetto, quindi abituato a progettare e realizzare opere che abbiano impatto ambientale, eppure talmente ingenuo e idealista che cerca di fabbricare corrente elettrica con degli strani aggeggi e una bicicletta collegata a una dinamo, uno che se ne frega delle relazioni umane in nome del suo integralismo ecologista.
Ha eletto Siena sua città ideale. La città ideale.
Un posto in cui tutto si può accomodare.
Il film di Lo Cascio può essere interpretato come curioso apologo su un uomo quasi stritolato da una giustizia kafkiana ma anche , pur con tutta la sua simbologia , come un film di impegno civile in cui l'architetto si trova nel mezzo di una macchinazione degna di un romanzo di Leonardo Sciascia.
Probabilmente ci sono entrambe le cose in un film che non cerca scorciatoie facili o appigli turistici per piacere.
Anzi Siena , la Siena che si vede in questo film , è totalmente svuotata di ogni velleità turistica, città ideale secondo Grassadonia ma tutto tranne che accogliente come un'alma mater, anzi fredda e distante, a tratti oscura e spettrale un po' come succedeva ne Il palio delle contrade morte, romanzo di Fruttero e Lucentini che più volte mi è venuto in mente durante la visione.
Cinematograficamente parlando siamo dalle parti del cinema civile italiano di una volta: facendo le dovute proporzioni siamo dalle parti di Francesco Rosi e di Elio Petri soprattutto.
Ma io ci ho visto anche una copiosa dose di Ferreri nell'uso di simbologie non sempre elementari e per un gusto per il paradosso che non è roba da tutti i giorni per il povero cinema italiano.
Il cinema in fieri del Lo Cascio regista ha gusto, talento e ambizione.
Ha la voglia di mettersi in gioco a dispetto degli incassi ( che infatti non ci sono stati. Questo film è stato vergognosamente ignorato al box office italiano).
E' questo il cinema italiano che vogliamo, pur se a tratti irrisolto e con tutti i suoi difetti.
( VOTO : 7 / 10 )