La civiltà minoica 3° e ultima parte
Creato il 12 ottobre 2010 da Pierluigimontalbano
Il cataclisma che avrebbe inghiottito la civiltà minoica e che avrebbe aperto la strada alla sua distruzione definitiva ebbe inizio a 100 km a nord di Creta, nell’isola di Thera, la più meridionale delle Cicladi. Era un perfetto scalo commerciale per le rotte che si snodavano tra Creta, la penisola greca e le coste dell’Asia Minore. Gli abitanti di Thera non erano minoici ma subivano il fascio della loro cultura. Il loro vasellame, le loro case e il loro stile di vita seguivano i dettami dettati da Creta. Thera si arricchì grazie al costo del trasporto delle merci nel Bronzo, ma la sua prosperità si basava su fondamenta instabili visto che l’isola è un grande vulcano. Intorno al 1530 a.C. il vulcano iniziò a risvegliarsi. Ci furono una serie di terremoti così violenti che la maggior parte delle città fu abbandonata, ma gli dei avevano appena iniziato. Pochi mesi dopo le cose peggiorarono notevolmente: 10 volte più potente dell’eruzione del Vesuvio che seppellì Pompei ed Ercolano, 4 volte maggiore di quella del vulcano dell’isola Krakatoa (a est di Giava), l’eruzione di Thera fu un vero e proprio cataclisma. Un terzo della superficie dell’isola, qualcosa come 30 milioni di metri cubi di colline, campi e città venne lanciato a 10 km di altezza e scagliato in mare. Il resto fu sepolto sotto una coltre di cenere e pietre, ad una profondità di 40 metri. Solo 100 km separano Thera dalla costa settentrionale di Creta, quindi i minoici videro “in diretta” la fine dei loro vicini. All’inizio, probabilmente, sentirono le scosse sismiche, lontane, inconfondibili e tristemente familiari: Madre Natura era di nuovo in collera. Ma dopo le scosse ci fu qualcosa di nuovo e inquietante: una coltre scura si sollevò all’orizzonte, il vulcano si preparava al gran finale. Quando l’eruzione arrivò fu simile ad un’esplosione atomica il cui bagliore era visibile dalle terrazze dei templi più alti di Creta. Ma gli dei non avevano ancora finito, ora toccava ai minoici placare la loro ira. Secoli dopo un viaggiatore greco fu testimone oculare dell’attività sismica di questa zona. Narrò di come il mare si ritirasse lasciando le creature acquatiche intrappolate nella melma sabbiosa. Doveva trattarsi di una vista innaturale e agghiacciante, ma non era che un preludio a quello che sarebbe successo poco dopo. All’inizio un ruggito lontano che diventava di momento in momento più forte, e poi un muro d’acqua che si abbatteva violentemente sulla costa, con la velocità di un treno espresso. L’impatto dello tsunami che seguì all’eruzione del vulcano di Thera non fu omogeneo lungo la costa settentrionale di Creta. In alcuni punti le onde raggiunsero alcuni metri d’altezza, ma a Moklos si pensa che arrivarono ad un’altezza di quasi 100 metri, travolgendo completamente l’intera isola, strappando le barche dai porti e portandole nell’entroterra. L’eruzione di Thera fu una di quelle catastrofi epocali che possono cambiare il corso della storia, ma per i minoici non fu un apocalisse immediata. Creta avrebbe pagato per circa 90 anni gli effetti del cataclisma, non fu un’esecuzione improvvisa ma una morte lenta e dolorosa. Dopo l’ondata di mare arrivarono le nubi di cenere che oscurarono il sole, impoverirono i campi, avvelenarono le riserve idriche, soffocarono le piante e gli animali. Le conseguenze ebbero un diverso impatto nelle varie zone dell’isola e la più colpita fu la parte orientale. L’agricoltura nel Bronzo era molto fragile e non ci voleva molto per rovinare un raccolto. Se gli effetti dell’eruzione a Thera furono immediati e molto profondi, per la vicina isola di Creta iniziò un periodo di carestia lungo e devastante per l’economia. Si aprì la strada per l’epilogo che avvenne nel 1450 a.C. quando Haghia Triada e altri centri del potere minoico furono inghiottiti dalle fiamme. Nei pressi del palazzo di Cnosso è stata fatta una scoperta che potrebbe far luce sulle condizioni della Creta minoica dopo la catastrofe di Thera. Gli archeologi hanno trovato un’accozzaglia di ossa umane sparse in una casa del tardo periodo minoico. I resti appartengono ad almeno 4 bambini tra gli 8 e i 10 anni, in buona salute al momento della morte. La carne è stata tagliata via dall’osso. Il metodo è lo stesso che i minoici usavano per tagliare la carne di pecora. Alcuni resti sono stati ritrovati in una pentola, insieme a gusci e lumache commestibili. Secondo gli archeologi questa è una prova evidente di cannibalismo, perpetrato per scopi religiosi o, più semplicemente, perché i minoici stavano morendo di fame. Dopo la catastrofe di Thera, la ricerca di capri espiatori, non solo umani, che dovevano placare la collera del popolo sembra più che plausibile. Quando la dea del serpente e i suoi seguaci furono trovati a Cnosso vennero fatti a pezzi, prima di essere interrati in una botola del pavimento. Forse questo era il modo in cui i minoici esautoravano una divinità che sembrava essere stata abbandonata dalla propria forza protettrice, disfacendosene con cura come se si trattasse di scorie radioattive. La caduta in disgrazia degli antichi dei favorì l’ascesa di nuove divinità e di nuovi culti. In questo periodo fece la sua comparsa un nuovo tipo di decorazione dei vasi caratterizzata dalla rappresentazione di divinità delle profondità melmose. Secondo alcuni studiosi, questo sarebbe un indizio del nuovo orientamento religioso che dalla terra passava a quel mare che aveva appena dimostrato, con enfasi stupefacente, la propria forza distruttiva. Fu così che si estinse la sofisticata civiltà minoica, non spazzata via da una catastrofe naturale, ma uccisa dalle guerre di religione che seguirono il cataclisma. Una recente scoperta fornisce indizi interessanti sulle forze che alla fine soffocarono la civiltà minoica. Si tratta di un manufatto alto circa 70 cm denominato Kuros, ossia ragazzo. È stato decorato con cristallo di rocca e oro, e il suo corpo è di avorio e ippopotamo. La scelta del materiale, prezioso ed esotico, insieme alla postura sublime che emana un’idea di potere, suggeriscono che non ci troviamo di fronte ad un semplice ragazzo ma ad una divinità. La qualità dell’opera è incredibile: vene, arterie, nervi e ossa sono riprodotte con un realismo stupefacente. Quello che colpisce subito nella figura è la sua sconsacrazione, gli arti bruciacchiati e anneriti, il viso tagliuzzato, ricordano un santo cattolico durante la rivoluzione protestante. Inoltre il ragazzo è stato volutamente demascolinizzato, visto che gli sono stati strappati i genitali. Nonostante la sua perfezione, questo dio suscitò l’odio appassionato di qualcuno. I suoi resti furono trovati a Palekastro, una costruzione minoica all’estremità orientale di Creta. Il sacchetto dei frammenti bruciati fu sparpagliato in un tempio costruito appositamente per il Kuros. Quando iniziarono gli scavi nel santuario, apparvero subito i segni dei danni provocati dal fuoco, ma non si era trattato di un incendio qualunque: come nel caso di Haghia Triada fu intenzionale. La violenza del fuoco venne intensificata bloccando gli ingressi, per creare l’ambiente di una fornace a pressione. Il risultato fu una sorta di esplosione controllata che sventrò il santuario, poi gli aggressori si occuparono di distruggere il Kuros. Fu strappato dal santuario, rotto alla base e poi la sua faccia fu fatta a pezzi contro uno stipite in pietra. La testa, il collo e un braccio volarono lontano alcuni metri, mentre il torso e l’altro braccio caddero alla base dello stipite. I capelli, fatti in filamenti d’oro, finemente lavorati, furono portati via dal vento generato dall’incendio, e le gambe che fornivano un buon appiglio vennero gettate nel santuario avvolto dalle fiamme, dove bruciarono a oltre 1500 gradi. Nelle situazioni avverse, perfino le culture più avanzate possono rinnegare se stesse e nonostante la consolidata tradizione minoica di innovazione artistica, il ribaltamento sociale provocato dall’eruzione di Thera può aver fatto affiorare i comportamenti più distruttivi fra i residenti. Forse c’era qualcosa nel Kuros di troppo innovativo ed estraneo, ad alcuni poteva sembrare un idolo, o un dio straniero, ma forse l’affronto maggiore era che si trattava di una divinità maschile. Forse non ci fu mai a Creta una sola Dea Madre, ma è indubbio che le divinità femminili e le sacerdotesse erano molto in vista, e probabilmente in una posizione dominante. Quindi il Kuros rappresentava un culto separatista e, dopo il fallimento delle dee che non avevano saputo proteggere Creta dagli effetti dell’eruzione di Thera e vennero degradate, gli onori ad esse riservati vennero tributati a quella divinità maschile minore. Quello che avvenne a Palekastro può forse essere stata la vendetta di qualche sacerdotessa infuriata contro il ragazzo che era divenuto la divinità principale. La guerra civile per scopi religiosi è solo una delle teorie che potrebbero spiegare l’estinzione della civiltà minoica intorno al 1450 a.C. ma quello che sappiamo per certo è che da allora i micenei provenienti dalla penisola greca si stabilirono a Cnosso. Non è chiaro se arrivarono come conquistatori o se si installarono sulle ceneri dei minoici ma per molti versi i micenei furono gli ultimi minoici e costruirono molti dei palazzi e dei porti che erano stati distrutti, rimettendo a posto l’isola. Per i due secoli successivi la fortuna dei micenei e dei minoici fu indissolubilmente legata: secondo Omero, una delle flotte più grandi che i micenei portarono per attaccare Troia proveniva da Creta. Ma se gli isolani condivisero il trionfo dei micenei ne seguirono anche il destino: intorno al 1200 a.C. il potere miceneo sulla terraferma venne distrutto. Ne sono stati incolpati i movimenti tribali di massa, le rivolte di schiavi, la guerra civile ma qualunque fu la causa della rovina dei micenei essa non restò confinata nel continente: attraversò il mare e si fece strada a Creta. I superstiti della civiltà minoica furono costretti a rifugiarsi su montagne inospitali e remote come quella di Karfi. La fine di una civiltà evoca immagini apocalittiche, intrise di fiamme e sangue, ma per i minoici la fine arrivò strisciando, come una nebbia fitta. In questi luoghi freddi e inospitali si scrisse l’ultima pagina della loro straordinaria storia. I primi profughi che arrivarono a Karfi nel XII a.C. non trovarono molti motivi per amare questa nuova terra, non si facevano giochi con i tori, né danze estatiche, si potevano solo guardare le nuvole che transitavano lungo le montagne e gli avvoltoi che tracciavano cerchi nel cielo. E per tutto il tempo scrutare l’orizzonte temendo l’arrivo di quei cataclismi che investirono la costa dell’isola fino ai rifugi montani. Non sapremo mai con sicurezza perché i minoici abbandonarono i loro palazzi per stabilirsi in questi luoghi inospitali ma con assoluta certezza si può affermare che la gente che si rifugiò era estremamente spaventata. Aspettarono un secolo prima di avventurarsi nuovamente a valle.
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