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La classe

Creato il 13 aprile 2011 da Misterjamesford
La classeLa trama (con parole mie): Siamo in una scuola media della periferia di Parigi, dove storie, etnie, culture profondamente differenti si incontrano, non sempre generando l'atmosfera ideale per una crescita equilibrata ed un apprendimento lineare degli studenti, alle prese con i problemi dell'adolescenza ed i turbamenti legati a studio, famiglia e vicende personali.
A metà tra la fiction e il documentario, seguiamo Francois, insegnante di lettere e coordinatore dei docenti, nel difficile rapporto con i ragazzi ed i colleghi, alla scoperta di quante difficoltà e responsabilità porti il ruolo dell'insegnante.
Spinto dalla visione di Immaturi e dalla purtroppo non rosea situazione della pubblica istruzione italiana, ho deciso di recuperare una Palma d'oro del passato recente che ancora non era passata sugli schermi di casa Ford, andando a curiosare nello spaccato scolastico dei nostri cugini transalpini.
Il risultato è stata una delle visioni più interessanti delle ultime settimane, capace di tenermi inchiodato allo schermo neppure stessi guardando il più teso degli action movies di Michael Mann o Johnnie To, stimolando riflessioni profonde nel sottoscritto, che dietro le velleità di scrittore ha sempre malcelato il desiderio di intraprendere la carriera del "prof", mestiere di incredibile responsabilità e sfide continue, considerato il confronto praticamente ininterrotto con sempre nuovi studenti.
Francois, protagonista della pellicola che consacra - ed in parte riscatta, dopo il pretenzioso Verso il Sud - Cantet come una delle voci più interessanti del Cinema sociale francese, conduce gli spettatori per mano tra i banchi di scuola, tra i ragazzi di una classe certamente eterogenea ed irrequieta, in grado di interpretare al meglio le tensioni ed i legami di una Francia percorsa da eredità culturali estremamente variegate e tutti gli sbalzi - umorali, ideologici, sentimentali - della pre-adolescenza, periodo di grande confusione e stupidità, irruenza e chiusura.
Con questo vengo al pezzo forte della pellicola, la sua forza, la ragione per la quale Cantet sceglie una direzione praticamente invisibile, talmente leggera da ricordarmi, a tratti, quella del magistrale The agronomist - non vedo l'ora di parlarne, quasi fosse un mio personale Free drink - di Jonathan Demme: i ragazzi.
Sono loro il volto ed il cuore di questo La classe, e senz'altro il motore che spinge lo spettatore ad immaginarseli ad un tempo compagni ed allievi, fratelli, figli o amici, se non addirittura versioni moderne del proprio io passato, immedesimandosi in uno o nell'altro.
Dalla curiosità interessata degli "allievi modello" come Burak e Wei alla strafottenza di Esmeralda e Khoumba, passando attraverso la ribellione silenziosa - ma neppure troppo - di Souleymane, regista e protagonista guidano lo spettatore attraverso un tortuoso percorso che induce a riflettere sulle conseguenze di ogni affermazione ed insegnamento, osservazione o provvedimento disciplinare, legati tutti a doppio filo agli studenti, pronti a venire alle mani al primo pretesto - dal calcio all'etnia - ma stretti l'uno all'altro se si tratta di fare fronte comune contro il mondo adulto che, per dirla come Souleymane, si vendica su di loro per frustrazioni e tensioni accumulate nella vita di tutti i giorni.
Ammetto di aver provato sentimenti contrastanti rispetto ai ragazzi così come a Francois, che dalla sua - si parli di pregi o difetti, poco importa - ha senz'altro una predisposizione spiccata per il dialogo ed una certa umanità dell'approccio.
Eppure, più di una volta nel corso della visione, ci si domanda quale potrebbe essere la via giusta da percorrere, specialmente con i ragazzi più problematici, che rischiano di essere abbandonati a se stessi e a situazioni complicate al di fuori della scuola, delle mura cui si fa riferimento nel titolo originale entro le quali si esaurisce il compito di un educatore, che, come in parte sottolineato da uno degli insegnanti in un dibattito con lo stesso Francois, non deve sostituire i genitori di un alunno, quanto cercare di indirizzarlo al meglio senza pensare o presumere di potere e dovere allargare i propri confini.
Ma le mura di una scuola sono davvero limiti così netti? E quanto utile può essere un buon insegnante, sia agli studenti che ai genitori, in un periodo in cui il dialogo tra le parti si riduce quasi a zero?
Quanto può essere importante, anche a posteriori, il rapporto con un professore umano, che possa anche sbagliare ed ammettere il proprio errore per uno studente, a prescindere dalle sue ambizioni e dai sogni?
Personalmente, ricordo di aver vissuto molto male il mio rapporto con gli insegnanti nel periodo dell'adolescenza, dai primi momenti di eccessiva timidezza alla ribellione plateale del triennio conclusivo delle superiori, e di aver visto un solo docente portare qualcosa di mai visto in nessun altra occasione in aula: umanità, dialogo, un trattamento paritario per tutti gli allievi - dalle interrogazioni alle lezioni - e, perchè no, un pò di disciplina.
Ricordo anche che, ai tempi, quando si trattò di eleggere il membro interno all'esame di maturità, mi battei fino all'ultimo affinchè fosse lui a rappresentarci.
Inutile dire che la maggior parte dei miei compagni, spaventati dal temibile scritto di matematica, scelse la temutissima prof della suddetta materia, una donna che, allora come ora, mi pareva davvero vendicarsi degli studenti godendo nell'esercitare il suo potere, nella speranza che la stessa ci potesse dare una mano con il compito.
I suggerimenti giunsero solo ai suoi prediletti, i primi della classe.
Noi altri poveri stronzi non vedemmo l'ombra di un consiglio, per quanto me ne potesse fregare.
Il mio rapporto con la suddetta signora iniziò il primo giorno di terza, quando mi fece entrare ed uscire dalla classe tre volte tre perchè non avevo bussato al mio arrivo e terminò quando, per primo, consegnai lo scritto di matematica e lei, stupita, lo guardò sussurrando "la parte che hai fatto l'hai fatta bene".
Presi quattro.
Fortunatamente c'erano le mie velleità letterarie a salvarmi con il tema ed una certa sicurezza nell'orale.
Di certo, il percorso che ho fatto "fuori dalle mura" non deve nulla, o quasi, a quello che ho ricevuto al loro interno.
Peccato davvero, che non ci siano più Franois a lottare - pur perdendo, a volte - per tentare di salvare i Souleymane di ogni classe.
MrFord
"Pagine bianche noi
poco l'inchiostro giovinezza
trovarsi un alibi
mentre quel tempo c' illudeva
mentiva
nel tuo programma sai
non era inclusa la paura
lo devi ammettere... 

Non basta solo la cultura...
Professore
lo devi ammettere
fuori dal libro è molto dura"

Renato Zero - "Professore" -

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