- Pubblicato Mercoledì, 19 Novembre 2014 07:30
- Scritto da Elisabetta Bonora
Il 12 novembre 2014, Philae e Rosetta hanno scritto una nuova pagina di storia nell'esplorazione spaziale (ed io sono stata davvero fortunata ad essere lì!).
Dopo 10 anni di viaggio, il lander si è separato dalla sonda per atterrare sulla superficie della cometa 67P / Churyumov-Gerasimenko, con una discesa durata sette lunghissime ore.
Passata l'euforia del touchdawn, sono seguiti tre giorni di frenetica, estenuante ed entusiasmante attività per portare a termine la sessione di scienza, non senza problemi: il jet che avrebbe dovuto spingere Philae contro la superficie della cometa nel momento dell'ancoraggio non aveva funzionato, così come gli arpioni e il lander ha fatto ben due rimbalzi prima di fermarsi in una crepa buia, fuori dell'ellisse di atterraggio prestabilita.
Credit: Elisabetta Bonora / Alive Universe Images
Philae purtroppo non ha ricevuto luce a sufficienza e nelle prime ore di sabato 15 novembre, si è addormentato, forse, per risvegliarsi più in là quando la cometa sarà più vicina al Sole e i suoi pannelli solari potranno ricevere più energia.
My #lifeonacomet has just begun @ESA_Rosetta. I'll tell you more about my new home, comet #67P soon… zzzzz #CometLanding
— Philae Lander (@Philae2014) 15 Novembre 2014
Ma durante quelle 60 ore, il team ha cercato di sfruttare al massimo la situazione, prendendo decisioni difficili ed anche pericolose per l'incolumità di Philae che comunque, si trovava ad operare in una situazione precaria.
Ora, stanno arrivando i primi risultati.
"Abbiamo raccolto una grande quantità di dati importanti che potevano essere acquisiti solo attraverso il contatto diretto con la cometa. Insieme con le misure effettuate dall'orbiter Rosetta, siamo sulla buona strada per raggiungere una maggiore comprensione delle comete. Le loro proprietà superficiali sembrano essere molto diverso di quanto si pensasse", ha dichiarato Ekkehard Kührt, Direttore Scientifico del centro aerospaziale tedesco DLR (Deutsches Zentrum für Luft- und Raumfahrt).
Questo strumento doveva misurare la densità e le proprietà termiche e meccaniche del suolo della cometa.
Parte del pacchetto era contenuta all'interno degli arpioni e quindi non è potuta entrare in funzione ma MUPUS era operativo già durante la discesa, rilevando informazioni nei tre touchdown.
Tuttavia, l'attività non è stata così semplice.
La cometa 67P "non collaborava", come @Philae_MUPUS aveva scritto scherzosamente su Twitter.
Results (16). To put this into perspective: MUPUS performed beautifully inside the specifications. The comet failed to cooperate
— MUPUS on Philae (@Philae_MUPUS) 15 Novembre 2014
La sua superficie estremamente dura, ha costretto il team ad aumentare gradualmente la potenza del martello che avrebbe dovuto assaggiare il terreno, fino ad un "desperate mode" che, tuttavia, non ha fornito progressi superiori al millimetro.
Results (13) We have a secret power setting 4. Nicknamed "desperate mode". Beyond the design specs. We activated it
— MUPUS on Philae (@Philae_MUPUS) 15 Novembre 2014
"Anche se la potenza del martello è stata gradualmente aumentata, non siamo stati in grado di andare in profondità nella superficie", ha spiegato Tilman Spohn del DLR che guida il team di ricerca.
Comunque, MUPUS ha potuto studiare direttamente la resistenza della superficie di una cometa per la prima volta e, considerati i risultati, 67P può definirsi davvero un osso duro!
Nel punto di atterraggio finale, MUPUS ha registrato una temperatura di –153°C vicino al suolo e dopo la distribuzione dello strumento, i sensori si sono raffreddati di altri 10°C in mezz'ora, risentendo forse di un trasferimento di calore in atto verso la parete buia e fredda visibile nelle immagini CIVA.
Philae #CometLanding CIVA 360 panorama
Credit: ESA/Rosetta/Philae/CIVA. Processing: 2di7 & titanio44
"Se confrontiamo i dati con le misure di laboratorio, pensiamo che la sonda abbia trovato una superficie dura come il ghiaccio solido", ha aggiunto Spohn.
Da una valutazione preliminare, il team suppone che sotto il lander sia presente una zona formata da ghiaccio durissimo, ricoperta da uno strato di polvere ultra-compatta di 10-20 centimetri. Più in profondità, invece, il ghiaccio dovrebbe diventare più poroso, così come la densità complessiva del nucleo inferiore alla media (0,4 g/cm3).
La resistenza del ghiaccio presente sotto lo strato di polvere è stata ulteriormente confermata da SESAME (Surface Electrical, Seismic and Acoustic Monitoring Experiment), che ha rilevato dati durante i rimbalzi.
L'ultimo dei 10 strumenti a bordo di Philae ad essere stato attivato, dopo una coraggiosa decisione, è il trapano SSD2 (Sampling, Drilling and Distribution) che avrebbe dovuto perforare la superficie e prelevare campioni da consegnare ai due laboratori interni COSAC e PTOLEMY.
Intorno a questa attività, al momento, c'è un po' di mistero: SSD2, come avevo anticipato, ha fatto il suo lavoro, ossia l'ESA ha informato che la punta ha eseguito il movimento completo ma non si ha alcuna conferma ufficiale sull'effettiva consegna dei campioni.
Su Twitter, però, girano un paio di messaggi non proprio confortanti:
COSAC PI: Drill tried to deliver sample. Ovens heated up. But data show no actual delivery. "There’s nothing in it." #CometLanding
— Eric Hand (@erichand) 17 Novembre 2014
And no attempt to deliver drill sample to @Philae_Ptolemy. Its last moments used to 'sniff' concentrated gases. #CometLanding
— Eric Hand (@erichand) 17 Novembre 2014
Ma nel report, Fred Goesmann del Max Planck Institute for Solar System Research dice: "al momento non abbiamo informazioni sulla quantità e il peso del campione di terreno".
Di sicuro, però, COSAC è stato in grado di annusare l'atmosfera cometaria ed avrebbe individuato le prime molecole organiche ma, salvo indiscrezioni, anche in questo caso, ancora non è stato rilasciato alcun dato ufficiale.
Ora, Rosetta continuerà a seguire e a studiare la cometa 67P durante il suo avvicinamento al Sole ma ci sono aspettative anche per il lander: "sono molto fiducioso che Philae riprenderà contatto con noi e sarà in grado di utilizzare di nuovo gli strumenti", dice Ulamec.
"Nel primo sito di atterraggio, avremmo, ovviamente, avuto migliori condizioni di luce. Ora siamo un po' in ombra, ci sarà bisogno di più tempo per ricaricare".
Solo questione di "ore", quindi, ma teniamo le dita incrociate, @Philae2014 un bel giorno potrebbe stupirci e salutarci di nuovo!
Stay tuned!