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La componente sciamanica

Creato il 15 aprile 2015 da Theobsidianmirror
La componente sciamanicaOggi la presenza di spiriti, soprattutto femminili, nella cinematografia orientale è un fatto assodato, ma ai più sembra che si tratti essenzialmente di una moda nata in Giappone e da lì diffusasi ai paesi limitrofi. La realtà è però un’altra. Ogni paese ha la sua peculiare fenomenologia in fatto di apparizioni e i fantasmi tipici della Corea, effettivamente, sono in prevalenza femminili. Perché?
È presto detto: nel Confucianesimo, una delle religioni storiche della Corea, l'esistenza stessa della donna è considerata inferiore a quella dell'uomo (concetto ben esemplificato dal famoso detto “Nam-Chun-Yeo-Bi” che significa “importante l'uomo, insignificante la donna”). Le donne coreane sono sempre state discriminate da una società maschilista fino al midollo e questo spiega sia il carattere essenzialmente femminile dello Sciamanesimo (la religione degli oppressi) sia l’abbondanza di fantasmi femminili afflitti dal Han.
Lo Sciamanesimo di cui stiamo parlando è particolarmente interessante in quanto, a differenza di quello classico, nella penisola coreana è praticato in gran parte dalle donne. In senso lato lo Sciamanesimo si basa sul concetto che tutte le risposte ai mali della nostra società risiedono da qualche parte nell’aldilà, e che solo persone estremamente dotate possono azzardarsi a superare il ponte tra i due mondi e riuscire a tornare. Sono le donne, in Corea, la vera e unica via di collegamento, un ponte, tra quelli che possiamo definire avvenimenti terreni e gli spiriti ultraterreni. Questione di sensibilità, probabilmente, o di maggiore predisposizione, o quello che volete.
Ciò non deve stupire, in quanto della capacità delle donne di oltrepassare la soglia a proprio piacimento si parlava già nell’antica Grecia: a partire da Ecate, divinità psicopompa in grado di viaggiare liberamente tra il mondo degli uomini, quello degli dei e il regno dei Morti, fino ad arrivare a Persefone, sposa di Ade, che leggenda vuole trascorresse sei mesi l’anno negli Inferi e gli altri sei mesi sulla terra. Se consideriamo banalmente nascita e morte come un passaggio di stato, è evidente che per le religioni non può che essere la donna la chiave di volta. Se ad essa è concessa la capacità di procreare (e quindi la capacità di trasmutare dalla condizione di “non vita” a quella di vita), le sarà in qualche modo concessa anche la capacità opposta.
In Corea le sciamane, dette mudang, sono grossomodo questo, vale a dire donne che comunicano con i morti e che assistono questi ultimi nel loro viaggio ultraterreno, donne che interrogano i defunti, che eseguono pratiche esorcistiche al fine di allontanare gli spiriti malvagi e che si occupano di curare malattie attraverso canti e danze rituali.
Ci sarebbe anche da aggiungere che secondo numerose religioni, tra cui la nostra (ma anche numerosissimi miti indoamericani), la donna è il mezzo con il quale la morte è entrata originariamente a far parte del nostro mondo: una prima volta attraverso la violazione di un tabù divino, e ripetutamente, in seguito, attraverso il sangue mestruale, fenomeno che, specialmente nel Medioevo dell’Inquisizione, è stato interpretato come la prova definitiva della colpa. La strega delle fiabe è in fin dei conti anch’esso un personaggio che viene dal mondo delle ombre e dei morti, così come la morte stessa, in tutte le culture, si materializza iconograficamente in un’immagine femminile.
Lo Sciamanesimo coreano non sarebbe quindi un’anomalia, bensì ciò che più probabilmente assomiglia allo Sciamanesimo delle origini, successivamente corrotto al fine di adeguarlo alle (discutibili) tendenze patriarcali della società “moderna”. Ho scritto “discutibili” perché l’uomo, nella sua smania di protagonismo, ha sempre cercato di far proprie tutte le facoltà fisiche e intellettuali del genere umano, anche quelle più “oscure”.
La componente sciamanicaOggi in Corea esistono scuole per sciamane nelle quali vengono insegnati i muga, canti tradizionali talmente antichi che in essi si trovano parole che oggi nessuno riesce più a comprendere. I muga erano infatti tramandati oralmente fino a solo pochi decenni fa e, per tale motivo, contengono incontaminati termini provenienti da un coreano oggi dimenticato. Le prime testimonianze scritte delle cerimonie religiose coreane, risalenti all’inizio del XX secolo, le dobbiamo paradossalmente ai giapponesi, motivati più dallo spirito colonizzatore che dal desiderio di cultura. Fu lo studioso Son Chint’ae il primo coreano a trascrivere in giapponese, nel 1930, una raccolta di muga provenienti da tutto il paese sotto il titolo di “Raccolta di vestigia di canti divini”. Ancora una volta la molla non fu puramente accademica, quanto più banalmente un bisogno nazionalista di affermazione dell’identità del paese nel bel mezzo del periodo della dominazione coloniale giapponese (1910-1945). Sfortunatamente ciò che è giunto a noi sono solo frammenti sparsi dei muga, spesso solo semplici riassunti o annotazioni ormai indistinguibili dal testo originale.
A proposito del periodo coloniale giapponese, accennavamo prima all’abbondanza, tutta coreana, di fantasmi femminili afflitti dal Han. Il Han (letteralmente risentimento, rancore, sofferenza) è uno stato umano che simboleggia l'epopea di intero un popolo oppresso dall'occupazione straniera e dalle guerre intestine, e se in teoria può riguardare chiunque perché deriva da un'angosciante esperienza sofferta, è innegabile che riguardi soprattutto i poveri, i deboli e le donne. Non bisogna però confondere il Han con il Ju-on, il rancore della tradizione giapponese. Il Han non rappresenta desiderio di vendetta, ma l’attesa del nuovo incontro in cui possa avvenire una riparazione del torto subito e una riconciliazione (Han-pu-ri). In pratica il suo carattere inizialmente negativo contiene in sé un fondo di speranza ed ecco spiegato il finale di “Memento Mori”, in cui Hyo-shin, ottenuto il pentimento di Shi-Eun e il mantenimento della sua promessa di amore eterno, molla la presa sulla scuola e ne riapre le porte, rinunciando al massacro che in precedenza si presagiva.
Su una cosa però concordo con la critica: in Whispering Corridors la componente orrorifica è molto blanda, talvolta quasi completamente assente, mentre il dramma è sempre in primo piano. Si tratta però di un sentimento che non ha a che fare solo con la realtà filmica di per se stessa o con il precipitare degli eventi ma che in gran parte deriva, si potrebbe dire, da una peculiare predisposizione alla malinconia tipicamente orientale e, questo, Memento Mori lo esemplifica molto bene perché Shi-eun e Hyo-shin, in particolare quest'ultima, vivono ogni momento insieme in maniera intensa e con la consapevolezza della fine incombente che traspare dagli occhi, dalle parole, persino dalla postura del corpo - non occorre essere particolarmente intelligenti o sensibili per capirlo. Quando le due ragazze creano il loro bizzarro diario, lo fanno quasi per dare contenuto e consistenza al proprio amore, per renderlo in un certo senso concreto e farlo sopravvivere, per contrastare insomma quel sentimento cosmico di precarietà che è alla radice del loro animo.

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