"La comune di Parigi egiziana"
Creato il 28 febbraio 2013 da Gianna
Una
realtà senza precedenti si sta realizzando nella città di Port Said:
una completa autogestione, un rifiuto di tutto ciò che rappresenta
l'autorità. Una realtà che i protagonisti delle lotte egiziane di questo
momento – i lavoratori - stanno cercando di riprodurre anche in altre
città.
Port Said è diventato un luogo completamente nelle mani del popolo.
All'entrata della città, se in passato molti erano i posti di blocco
della polizia, adesso si trova un check-point formato però dagli
abitanti, soprattutto lavoratori in sciopero, autoproclamatisi "polizia
popolare". La stessa cosa vale per il traffico: non più vigili urbani,
ma giovani, studenti e lavoratori che autogestiscono il traffico urbano.
Disobbedienza civile: ciò che caratterizza adesso la città è un
completo rifiuto del governo di Morsi in tutte le sue forme, dunque
cacciata della polizia, rifiuto del lavoro e del sistema scolastico
governativo.
Per quanto riguarda il fattore "sicurezza", con
l'autogestione, le strade risultano adesso più sicure che mai. La
polizia - a seguito delle proteste di piazza, della rabbia popolare
seguita alle 21 condanne a morte legate alla strage di Port Said e alle
40 vittime dei successivi scontri – la settimana scorsa si è vista
costretta ad accettare di lasciare la città nelle mani del popolo.
Il governo Morsi ha accettato di richiamare la polizia sia per le
inconfutabili prove video che mostrano poliziotti del regime sparare ed
uccidere a sangue freddo i manifestanti, ma anche perché convinto che
una città da sola non avrebbe potuto autogestirsi e che Port Said
avrebbe richiesto l'intervento del governo per sedare le probabili
rivolte. Invece la realtà è molto diversa e mostra che una città senza
le "forze dell'ordine" è più sicura e vive meglio.
Vi è poi un
tacito accordo che permette all'esercito (maggiormente rispettato dal
popolo in quanto tradizionalmente meno legato al regime rispetto alla
polizia, emanazione questa del potere e dei servizi segreti) di
presidiare i punti nevralgici della città, ma senza potere di
intervento.
Dunque la realtà è questa: militari inermi a
presidiare luoghi come il tribunale e l'importantissimo porto (adesso in
sciopero) e la "polizia popolare" che si occupa della sicurezza nella
città.
Il rifiuto di tutto ciò che rappresenta l'autorità si ritova
nella pratica di non pagare tasse governative e bollette, rifiutando
anche qualunque comunicazione con il governo sia centrale che locale.
La chiusura del governo centrale e l'autorganizzazione di mezzi e modi
di produzione, rendono l'esperienza di Port Said una realtà senza
precedenti ed una sperimentazione di un nuovo modo di vivere, di
produrre, di esistere.
Le fabbriche sono chiuse, il traffico
marino è bloccato, si produce ciò solo che serve e rimangono aperti solo
i servizi necessari.
Si produce il pane, gli alimentari, gli ospedali e le farmacie rimangono
aperti. In ogni fabbrica, sono gli operai a decidere se continuare la
produzione o meno e la risposta generale adesso è NO. Prima giustizia,
prima completamento della rivoluzione e poi, semmai, ripartirà la
produzione.
Una nuova forma di autorganizzazione si sta
sperimentando anche nelle scuole. Queste rimangono aperte ma le stesse
famiglie di Port Said rifiutano di mandare i propri figli nelle scuole
del governo. Proprio in queste ore insegnanti e comitato popolare stanno
cercando di organizzare scuole popolari nella piazza centrale,
rinominata la Piazza Tahrir di Port Said, in cui, accanto alle materie
scolastiche si vorrebbero insegnare la giustizia sociale e i valori
della rivoluzione egiziana.
Una realtà che può sembrare
impossibile. Anche sulle pagine di questo portale abbiamo in passato
raccontato l'esperienza di Port Said con altri occhi. Ma dopo la
condanna a morte dei 21 imputati per la mattanza dello stadio, una nuova
coscienza popolare è sorta in questa città, probabilmente in passato
molto tradizionalista. Infatti, ad essere condannati sono stati 21
giovani, prevalentemente studenti, mentre la colpa della mattanza va
ricercata in ambito politico; la sentenza sembra essere stata più un
contentino dato a chi cercava giustizia. Nessuno degli imputati proviene
dalle fila della polizia o dello stato e dei suoi servizi segreti.
Questo Port Said l'ha capito e, appena le condanne a morte sono state
emesse, sono scoppiati forti proteste che hanno portato all'uccisione di
una quarantina di manifestanti, alcuni dei quali addirittura durante i
funerali delle vittime degli scontri di piazza. Da qui è iniziato lo
sciopero, la disobbedienza civile.
Una realtà che anche noi stessi, prima di vederla con i nostri occhi, non avremmo mai immaginato.
Una rabbia, inizialmente nata da una voglia di giustizia per le
condanne a morte e per le successive 40 vittime, ma che poi è cresciuta
ed è diventata politica. Il forte protagonismo operaio, la crescita di
coscienza della popolazione di Port Said hanno reso questa protesta una
lotta senza precedenti che tanto fa tremare il regime di Morsi. Una
lotta che, se realizzata anche in altre città, potrebbe veramente
mettere il regime in ginocchio.
Adesso non si chiede più, come
era appena una settimana fa, di non punire i cittadini di Port Said per
colpe che invece ha commesso il regime. Adesso si chiede una giustizia
per tutte le vittime della rivoluzione, adesso si chiede a gran voce la
caduta del regime.
Nella giornata di lunedì una grande
manifestazione si è tenuta nelle strade di Port Said:sindacato
indipendente dei lavoratori, studenti, movimento rivoluzionario, in
molti sono scesi in piazza, in molti sono partiti dal Cairo per portare
solidarietà ai lavoratori ed alla città in lotta. Un grande corteo ha
invaso le strade della città, appellandosi ad uno sciopero generale in
tutto il paese.
Intanto altre città egiziane hanno in queste
ultime settimane sperimentato grandi scioperi: a Mahalla, Mansoura, Suez
gli operai di molte fabbriche hanno incrociato le braccia per
settimane. Allo stesso modo in centinaia sono scesi in piazza per
invocare lo sciopero generale in tutto il paese, molte le scuole e le
università che hanno annunciato un prossimo sciopero generale. Molti i
lavoratori ed i settori sociali che stanno scioperando senza però
riuscire – per adesso – a generalizzare lo sciopero e la lotta, come
avvenuto invece a Port Said.
Non si sa quanto quest'esperienza,
chiamata "la comune di Parigi egiziana", possa continuare. Sicuramente è
difficile portare avanti una lotta di questo genere in un momento in
cui il potere centrale potrebbe staccare acqua ed elettricità e, per
ora, se non lo fa è solo perché teme maggiori espolosioni di rabbia.
Inoltre, il proseguimento o meno dello sciopero dei lavoratori, è
fortemente legato alla possibilità che questo si generalizzi e si
riproduca anche in altre città.
Inizialmente gli abitanti di
Port Said avevano annunciato di voler continuare lo sciopero fino al 9
prossimo marzo – data in cui verranno confermate le 21 condanne a morte –
adesso, con il protagonismo dei lavoratori, il futuro si presenta
incerto, ma sicuramente ricco di potenzialità.
Le difficoltà al
momento potrebbero sembrare tante, ma la presa di coscienza di tutto il
popolo (dunque non solo operaia), la pratica del rifiuto del regime,
l'autorganizzazione, sono tutti elementi che sembrano dare delle
prospettive positive a queste lotte.
La corrispondente di Infoaut dall'area mediorientale
http://www.infoaut.org/index.php/blog/conflitti-globali/item/7001-egitto-lautogestione-di-port-said-e-le-lotte-operaie
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