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La comunicazione di cultura e valori: il problema dei risultati

Da Roberto Di Molfetta @robertodimo

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La sociologia, si dovrebbe sapere, non deve perseguire la strada di un’altra filosofia. Non deve essere speculazione astratta, un mondo iperuranico dove discutere del sesso degli angeli o di concetti trascendenti. Essa deve essere sempre relativa al suo oggetto di osservazione, in quanto scienza umana: l’uomo, gli uomini, i gruppi, le società.

Partendo da questo postulato alla base delle differenze con i ragionamenti metafisici, l’oggettività delle scienze sociali dovrebbe sempre osservare l’effetto di un comportamento nel suo concreto essere.

Noto spesso in questa società un gran bisogno di divulgare valori positivi, cultura, dalle campagne di comunicazione per il progresso sui vari diritti delle minoranze alla trasmissione tout court di cultura, come belle arti, scienza, storia e così via discorrendo.
Non sono pochi colori che spendono fiumi di parole contro il razzismo o per la salvaguardia dei beni artistici di cui è ricca la nostra nazione, o per il bisogno che c’è in Italia di più cultura scientifica per avere più innovazione anche in campo economico.

Però dovremmo osservare i risultati concreti di questa azione di comunicazione. La campagna di sensibilizzazione contro il femminicidio ferma la mano del marito violento ? La cultura della donna sottomessa è intaccata, cambiata per sempre da qualche spot TV a firma di un ministero ?

Certo non dire nulla sarebbe essere complici di discriminazione ed ignoranza. Ma se difendere la cultura e i diritti di tutti gli uomini è una guerra di civilità, si dovrebbe misurare il terreno conquistato in questa sorta di colonizzazione mentale di chi rifiuta una sensibilità culturale più elevata o addirittura di rispettare i diritti umani.

Non abbiamo solo bisogno di ribadire ufficialmente i nostri valori, che già accettiamo. Questo serve solo a compattare i valori già condivisi ufficialmente. Abbiamo bisogno di cambiare il punto di vista culturale di chi quei valori di civiltà li nega, li ignora, li calpesta nel quotidiano.

Portare i bambini nell’anniversario dei martiri della legalità Falcone e Borsellino a fare una gita contro le mafie è giusto e sacrosanto, ma dovremmo concepire tutte le nostra azioni anche e soprattutto in vista dell’obiettivo più importante: cambiare la cultura dell’omertà, della legge del più prepotente, che larghe fascie della popolazione italiana non rifiutano completamente o sono costrette a subire sulla loro pelle.

Non basta dire, bisogna essere efficaci. Non solo spot con cui farsi belli e giusti agli occhi di chi apprezza, ma incidere in profondità, anche con esempi, sulla cultura di chi non cambia il proprio modo di pensare. Serve meno facciata, e più concretezza. Bisogna mettere radici. Altrimenti la trasmissione di valori diventa una operazione di superficie, si manifesta il proprio pensiero senza tener conto se in concreto ciò serva a qualcosa per migliorare la situazione. Così, una società celebra solo se stessa, lasciando affrontare i problemi solo a chi si trova nelle trince quotidiane per lavoro o come volontario o come vittima.


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