Dove vanno i brand della moda Made in Italy in termini di comunicazione? In un mondo dove ormai di globale non c’è solo il piano marketing ma anche la strategia di comunicazione e dove un post o un tweet pubblicato con leggerezza può trasformarsi in un rovinoso stream di repliche che s’espande real time sui vari social network, è necessario un ripensamento della comunicazione per adattarsi al nuovo, mutato, complesso scenario. Ad esempio di come i vari marchi di abbigliamento e accessori nostrani stanno reagendo analizziamo il caso di tre diversi brand – Parah, Piazza Italia e Benetton – e di come declinano la comunicazione istituzionale nel contesto attuale.
Mapping semiotico (Semprini, La marca, 1993) dei valori di consumo dei tre marchi di moda analizzati. Da notare il riposizionamento del brand Parah dal terzo al secondo quadrante.
Per aiutarci a chiarire la loro collocazione li abbiamo posizionati in base ai loro discorsi sul quadrato semiotico di Andrea Semprini, prendendo come valori di base ai due estremi dell’asse orizzontale la dimensione critica/ludica, sull’asse verticale la dimensione utopica/pratica. Piazza Italia si posiziona come marca-progetto, dotata di forte componente utopica coniugata allo spirito ludico. Benetton mantiene saldamente il proprio imprinting di marca-missione, con una forte componente utopica mixata allo spirito critico. Da notare infine lo spostamento di Parah, passata dal vecchio posizionamento come marca-informazione a quello di marca-euforia, che per condire il proprio storytelling spinge drammaticamente sulla valorizzazione ludica. Analizziamoli ora nel dettaglio.
Parah – provocare per esistere?
Parah fa sfilare in passerella l’ex show girl ora consigliere regionale Nicole Minetti. L’obiettivo è attirare l’attenzione su una competition ospitata sulla propria pagina Facebook. Ma il risultato è un mare di polemiche: dai clienti che l’accusano di aver scelto un testimonial offensivo, agli addetti ai lavori che sostengono come la scelta non sia coerente con la brand identity. Il resto lo fa la vampirizzazione: spenti i riflettori sullo scandalo, a Minetti resta una carriera proiettata nel mondo dei testimonial di moda, all’azienda un thread ancora attivo di insulti e una collezione di costumi con un tasso di memorabilità tendente a zero.
Come non iniziare dallo storico marchio di lingerie e costumi di Gallarate, recentemente finito nell’occhio del ciclone per aver scelto come celebrity endorser in passerella nella passata Settimana della Moda milanese (19-25 settembre) nientemeno che la consigliera regionale PdL Nicole Minetti? Minetti ha sfilato in costume per la casa di moda scatenando immediatamente le reazioni del pubblico, esplose esponenzialmente a seguito della pubblicazione di un comunicato ufficiale sulla pagina Facebook di Parah, in cui l’azienda difende la propria scelta, definendola coraggiosa, dice di aver scelto quella testimonial per attirare l’attenzione del pubblico sul proprio contest online e sul proprio brand e sostiene che oggi non c’è altro modo per far sentire la propria voce che stupire e creare scandalo, concludendo dichiarandosi soddisfatta per il raggiungimento dell’obiettivo. Seguono immediatamente da parte dei fan Facebook una valanga di commenti (dal 19 settembre ad oggi sono oltre 3.700 i commenti solo a quel post) quasi tutti negativi, accuse di parah-c**ismo (per usare un neologismo coniato dalla rete), minacce di boicottaggio. Cosa è successo? I clienti fidelizzati si sono visti tradire proprio nell’elemento più conculcato – l’identità del brand – passata di colpo da prodotto di lusso per donna sofisticata a biancheria di lavoro per sex worker d’assalto: inevitabile quindi che molti di loro abbiano deciso, non riconoscendosi più, di non comprare più quella marca. Per tutti gli altri si è percepito lo spostamento nell’immagine desiderata del brand da una marca molto centrata sul prodotto a una centrata sulla provocazione: per questi ultimi, essendo la comunicazione scarsamente attinente con il prodotto, il messaggio non solo appare stonato ma probabilmente farà un’impressione tanto lieve quanto destinata presto a finire nel dimenticatoio. Dopo un momento di irrigidimento sulle proprie posizioni, alla fine l’azienda, nella persona del presidente Gregorio Piazzalunga, ha dichiarato in un’intervista a “La Zanzara” su Radio24 che la collaborazione con il chiacchierato personaggio è definitivamente archiviata e che Parah non ha intenzione di utilizzarla mai più come il proprio volto. Meglio tardi che mai.
Piazza Italia – l’intelligenza del consumatore evolve
“Look forward” è il motto della nuova campagna pubblicitaria del fashion brand Piazza Italia, che ha per protagonisti giovani studenti e ricercatori: il volto buono dell’Italia. Agenzia Diaframma Advertising, direzione creativa Stefano Ginestroni, art Camilla Catrambone, copy Michele Bellini, fotografia Carlo Furgeri Gilbert.
Di segno per certi versi opposto invece la scelta di Piazza Italia, catena italiana di abbigliamento low cost, che da anni porta avanti un discorso indirizzato a un target capace di discriminare tra pagare per avere la qualità e pagare per avere una marca che lo associ ad un certa identità culturale e stile di vita. Partiti anni addietro con il claim “Be intelligent” e per visual la nota foto di Einstein che fa la linguaccia, l’azienda campana ha mantenuto nelle varie campagne – tutte curate dall’agenzia Diaframma – una narrazione di marca coerente per quanto riguarda il nucleo valoriale di fondo (moda di qualità, prezzi bassi).
Dopo la campagna per la SS 2012 ‘Questi sono i nostri modelli’, la campagna di comunicazione FW 2012-13 ha per claim quello che sembra un invito all’ottimismo: “Look forward“. E l’azienda, posizionata come sponsor della gente comune, presenta come endorser gente comune sì, ma a suo modo straordinaria: si tratta infatti di otto giovani ricercatori che effettuano studi e progetti in ambito medico, ingegneristico, architettonico, informatico. Presi come modelli per indossare i capi d’abbigliamento e quindi contenitori di contenuto/prodotto, ma a loro volta contenuti autonomi, in quanto detentori di saperi e competenze specializzate da utilizzare per contribuire al progresso di scienza e società. Guardare al futuro con positività, questo il messaggio che si vuole trasmettere. Perché, in barba alla crisi, il futuro si può migliorare. E migliorarlo dipende da noi.
Benetton: dalla provocazione alla promozione della partecipazione condivisa
Soggetto stampa di Benetton per il concorso “Unemployee of the year”, che premierà i migliori progetti imprenditoriali di giovani disoccupati con un contributo economico e una campagna di comunicazione. Agenzia creativa Fabrica, Treviso.
Forse boutade e furba provocazione più che vero alternative thinking, ma il messaggio funziona. Benetton, storico marchio d’abbigliamento giovane rimasto nell’immaginario collettivo per le campagne shock degli anni Ottanta-Novanta, è attualmente online su web, social e circuiti tradizionali con questa campagna multisoggetto che invita i giovani disoccupati a riprendersi la propria dignità e a mostrare al mondo quanto hanno da offrire. Come? I partecipanti, tra i diciotto e i trent’anni, possono presentare un progetto che vorrebbero realizzare ma non possono per mancanza di fondi. Le proposte dovranno essere in linea con i principi della fondazione UnHATE (progetto Benetton per combattere i pregiudizi e l’odio per il diverso) e soprattutto avere un concreto impatto sul benessere della collettività. In palio, per i progetti più votati, un finanziamento di 5.000 euro e una campagna di comunicazione a supporto del lancio.
L’obiettivo secondo l’azienda è incoraggiare un dibattito su un tema contemporaneo per condividere un punto di vista coi propri consumatori. Agganciandosi a un tema molto caldo dell’agenda politica ed economica europea e mondiale, il messaggio di Benetton ha senz’altro il pregio di attirare l’attenzione su di sé e forse anche di strapparci mezzo sorriso: un tempo si premiava l’”impiegato del mese”, oggi siamo passati al “disoccupato dell’anno”. È da vedere se però alla fine il messaggio ideato da Fabrica riuscirà a far breccia nella mente dei consumatori. Interessante è anche lo slittamento del brand, già da qualche anno, da un posizionamento che lo vede come veicolo di provocazione a marca che ha a cuore i propri clienti. E ci tiene a instaurare e mantenere un dialogo. Piccoli lovemark crescono? Chi vivrà vedrà.