La conchiglia di serena

Da Nina
Eccoci al secondo appuntamento con le vostre storie. Nei giorni scorsi ero lì a chidermi con quale frequenza pubblicarle e alla fine mi sono decisa (credo, forse) per una a settimana. Penso possa andare bene come tempo, anche perchè tanto poi vengono man mano archiviate nella sidebar, perciò le ritroverete tutte lì, con la possibilità di riaprirle, rileggerle e commentarle come, quanto e quando vi pare e piace. Voi che ne dite? Siete d'accordo?Concludo dicendo che per chi fosse interessata a condividere la sua conchiglia-storia, qui nella sidebar c'è la sezione La Spiaggia di Nina che non chiude mai (tantomeno adesso che si avvicina la stagione estiva!). E' sufficiente che lasciate un commento e io vi aggiungo automaticamente alla lista. Forza donne fatevi coraggio e unitevi a noi! Basta poco che ce vò! LA CONCHIGLIA DI SERENA
 Illustrazione di Francesca Ballarini
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Mi presento: non sono l'amatissimo orsetto ricchione della canzone di Elio (scusa, non riesco a iniziare una frase con "Mi presento" senza canticchiare il seguito), bensì Serena, 31 anni, italiana emigrata, prime tracce di istinto materno rilevate nel 2007. Ma non voglio iniziare da questo. Inizio dalla mia storia, e cercherò di non essere prolissa (fosse facile!).
Vengo dal Friuli, ho studiato a Trieste, e quando mi sono laureata era il momento giusto per me di provare a vivere "da un'altra parte". Una storia lunga finita da poco, nessun legame, il bisogno di staccarmi dalle spire di una città amatissima e a volte asfittica. Così sono partita per la Svizzera, Zurigo, e un dottorato. Durante il quale ho conosciuto Matteo ("vai in Svizzera e porti a casa un italiano? Ma che cosa banale" mio padre dixit). Che dopo pochi mesi di convivenza trova lavoro in Danimarca, Copenhagen. Io ero all'epoca nel bel mezzo del dottorato, per cui ci adattiamo a una relazione aviotrasportata per il successivo anno e mezzo. Quando la pazienza (e per fortuna il dottorato) arriva agli sgoccioli ci balocchiamo con l'idea di fare un figlio per essere sicuri che il mio capo mi lasci finire la tesi in tempi celeri. Non ce n'è stato bisogno, e se il mio capo avesse aspettato una mia gravidanza per firmare la tesi, hai voglia, detta tesi sarebbe diventata l'enciclopedia britannica. E quindi all'inizio del 2008 mi trasferisco armi e bagagli in Danimarca. Doveva essere il trasloco della vita, dovevamo fermarci per sempre e mettere radici. Infatti, come si vedrà, avevamo assai torto. Inizio a lavorare, dopo un po' di mesi orrendi da disoccupata spaventata dal mondo esterno, casa nuova, matrimonio. Mentre ci balocchiamo con tutto questo abbiamo deciso che vogliamo dei figli. Proviamo. Proviamo. Proviamo. Non succede niente. Viviamo in una società in cui a 30 anni sei riproduttivamente parlando una vecchia, pure il mio capo ritiene auspicabile che io sforni pargoli (!!). Iniziamo ad odiare il posto in cui viviamo, la sua monolitica cultura dominante, la pressione culturale all'omologazione. Ad ora dell'estate 2009 io ho crisi di panico all'idea di uscire da sola - a fare shopping, mica chissà che. Iniziamo a pensare che ci vuole una exit strategy. Nel 2010 Matteo trova lavoro in Svizzera - aspiravamo alla Svizzera francese, ci capita di nuovo la nostra Zurigo, e siamo comunque parecchio contenti. Quindi di nuovo trasloco in estate, casa nuova, nuovo lavoro anche per me. Viviamo un idillio perfetto con la nostra nuova-vecchia città, pur nella fatica di ricominciare di nuovo. E siamo al presente, sempre contenti di dove siamo e quel che facciamo, anche se spesso ci sentiamo soli, anche se spesso ci mancano gli amichetti del periodo danese, anche se spesso ci chiediamo a quale luogo apparteniamo noi, dove mai potremo mettere radici.
Detto questo, la storia della nostra assenza di prole è semplice: abbiamo provato, non sono venuti. Anni fa - in tempi non sospetti - ricordo di aver scritto una lettera a un'amica. Una lettera di carta, addirittura. Le dicevo che ci sentivamo pronti ad avere figli, e che sarebbe stato veramente da ridere se dopo anni passati ad evitare di averne, ora i figli non ci venissero. E infatti. Mannaggia alla mia boccaccia.
L'ottovolante emozionale del "speriamo che questa volta sì, mi sento un dolorino strano alla tetta destra, stamattina mi girava la testa e ho 37 ore di ritardo" seguito dalle inevitabili disillusioni lo conosciamo tutti. Per me questa cosa è stata emozionalmente drenante. Dopo un'anno e mezzo, due anni di questa storia io non ne potevo più. Ero stanca di essere così senza forze, ogni energia risucchiata in una vuota attesa. Non volevo rivivere quelle stesse cose ogni santo mese, in una ripetizione condannata a noi finire mai. 
Essì, perchè noi oltre che ovviamente infertili siamo anche cazzoni. Abbiamo bellamente nascosto la testa sotto la sabbia per non affrontare medici, esami e verdetti: che era lo stress, che in un paese straniero non sapevamo a chi rivolgerci, che che che.
La mia soluzione da struzzo è stata, nella seconda metà del 2010, cercare di convincermi che io in realtà figli non ne volevo. Ho vissuto per sei mesi in una situazione di impossibile equilibrio (l'equilibrio instabile di cui parlava recentemente ClaraV), evitando quasi di fare sesso perchè così - non sono la vergine Maria - all'ipotesi gravidanza non ci dovevo neanche pensare, e avevo finalmente energie per il resto della mia vita.
Solo che hai voglia dirti che i pupi non ti interessano quando vivi in un ambiente child-less. Prova a farlo quando intorno a te chiunque annuncia un lieto evento (esempio visita parenti in Italia) e ti rendi conto che tu questa cosa non la gestisci bene. Che la prendi malissimo ogni volta. Che provi i sentimenti più inconfessabili verso persone a cui in fondo vuoi bene. Insomma un disastro.
C'è di buono che io ho l'aura della persona "distante" e un po' fredda, per cui nessuno si permette di fare domande sceme del genere che conosciamo bene (a parte la mia nonna, ma lei può). Almeno questa mi viene risparmiata. Se è un bene, non so, perchè l'ovvia conseguenza è che siamo soli in questa cosa, io e lui lui e io, senza nessuno con cui confidarsi, nessuno con cui confrontarsi. E questo spiega in parte perchè mi costi così tanto anche solo scrivere queste righe. Non ci sono abituata.
Vabbè, comunque dopo quei sei mesi sabbatici ci siamo fatti uno dei soliti pantagruelici pianti e abbiamo concluso che se io vorrei aver tirato i remi in barca, lui no. E ha ragione, in effetti, in fondo ho 31 anni (anche se me ne sento 80) e mica si può lasciar perdere solo perchè si è perennemente depressi e il resto della nostra vita sta andando in vacca. Giammai! Gli ho dato un anno. Un anno di tentativi, medici (orrore!), esami (paura!) e quant'altro.
Sinceramente, non penso ne verrà fuori niente. Non mi sento abbastanza forte per la PMA, siamo troppo giovani per un'adozione (in Svizzera il coniuge più giovane deve aver compiuto 35 anni per iniziare l'iter). Sto cercando di accettare che saremo sempre solo in due, cercando di lasciar andare i miei sogni di una famiglia con tanti bambini (idealmente tre). Cercando un senso, ecco, per il resto della mia vita. E in questo mi sento - come dire - mancante, monca, rispetto a te e alle altre. Voi affrontate le difficoltà, voi credete al "quando" opposto al "se". Io cerco di smettere di credere anche solo al "se". Per incapacità di impegnarmi, per paura di soffrire, boh.
Però leggerti, leggervi, mi fa sentire un po' meno sola, un po' più in degna compagnia. Per questo ti ringrazio.
E ora? Ora non lo so. Intanto scusa per la lunghezza. Il mio blog è http://serenac11.splinder.com/

e di infertilità e annessi e connessi non ne ho parlato (quasi) mai. A dire il vero ultimamente ho scritto poco in generale, e di cose veramente futili. Lo so che sarebbe buona creanza presentarmi anche nei commenti del tuo blog, e prometto che lo faccio (appena mi passa la botta di timidezza che mi prenderà se riesco a inviare questa mail). Penso che me ne starò un poco ai margini, a leggere come ho fatto finora, e a meravigliarmi ancora di quanta convinzione riusciate a metterci in questa ricerca. Ti ammiro. Vi ammiro.
Ciao
Serena
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Postilla di Nina: il COMMENTO E' LIBERO, perciò esprimetevi senza remore o riserve perché ogni pensiero lasciato qui è prezioso per chi, coraggiosamente, ha scelto di raccontarsi!


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