Magazine Società
Abbiamo lavorato negli ultimi 4-5 anni, per allontanare il Partito dal liberalismo. Abbiamo voluto che il Pd fosse più socialdemocratico. Più socialista che liberale. Apro parentesi: questione legittima, discutibile a mio avviso, ma legittima: e non è detto che sia sbagliata, badate bene. Tra l'altro vige un po' la regola del "con la roba nostra facciam quel che vogliamo", che è ineccepibilmente vera. Chiudo parentesi. Dunque dicevamo che questo Pd, secondo la dirigenza (che interpreterebbe i sentimenti dell'elettorato) doveva diventare più di sinistra, taglio con l'accetta ma in fondo è così, come è diventato. Si va alle urne, si perdono 2.5 milioni di voti e l'analisi conclusiva qual è? Che la sconfitta è colpa del non essere stati abbastanza socialdemocratici. Geniale.
Provo a spiegarmi: facciamo finta che il Pd, invece di perdere il sette e rotti percento rispetto alle ultime elezioni, lo avesse guadagnato e avrebbe raggiunto più o meno il 41%. Vittoria schiacciante, ottenuta grazie al sacrificio delle visioni più liberali (liberiste?) sull'altare del socialismo. Sarebbe stato meno bello per me, ma avrebbero avuto ragione. Ma invece, non è andata così: quel 7% è venuto meno, racimolando un 25.42% (con meno 2.5milioni di elettori, ricordo). Ed il Pd come analizza la questione? Siamo stati troppo liberali, dovevamo essere più socialisti. Ora, ditemi voi: uno che deve pensare di questi qua? C'è un modo per definire queste situazioni: si chiama confirmation bias. James Reason la definisce "come la tendenza a rimanere legati ad un’idea che ci siamo fatti sulla base di informazioni preliminari, anche quando evidenze successive contraddicono quell’idea iniziale". Il tutto si mescola ad un'autoreferenzialità patologica e sistemica, nel convincersi che quel che si fa è giusto e sono gli altri che sbagliano: nel caso specifico sono gli elettori ad aver sbagliato a non essere socialdemocratici, e non loro ad aver una clamorosa incapacità di confronto con la realtà.
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