C'è una frase tipica della città nella quale sono nata, Venezia, che più di ogni altra sottolinea l'anima gaudente e scanzonata di questa popolazione: "andar par bacari". Dove per bacaro si intende il tipico bar, sconosciuto ai gastrofighetti - privo di illuminazione studiata piuttosto che di musica più o meno battuta - all'interno del quale, per la gioia dei gastrogaudenti, si possono trovare i cicheti, ovvero piccole tentazioni gastronomiche, la cui origine si perde tra calli e campielli, tipo le uova sode con l'acciughina, le polpette di carne, il baccalà mantecato, le sarde in saor, le castraure (piccoli carciofi violetti dall'isola di Sant'Erasmo, l'orto veneziano), i tramezzini "ciompi" (gonfi, più recenti: direttamente dagli anni '50 e dalla "teraferma" ovvero Mestre), i cartocci di pesceti fritti e i folpeti rigorosamente accompagnati dall'ombra, unità di misura alcolica locale, declinata in banco e nero (lo spritz è venuto dopo).
Il massimo che ti possa accadere, in caso di ubriachezza, è di finire direttamente nel canale più vicino, vista l'assenza di auto e bici. Ma non di etilometri! Anche nella città lagunare, infatti, prima di mettersi alla guida di un barchino sarà il caso di pensarci un po' :)E se non piacesse il salato? Beh, ci sono i "golosessi" ovvero biscotti da intingere nel malvasia o nello zabaione. Oltre ai più blasonati "lingue di gatto" e "buranei" ci sono anche i "zaeti", ovvero biscotti di farina gialla arricchiti con uvetta e profumati dalla scorza grattugiata dell'agrume preferito o dalla vaniglia. Fanno bella mostra di sè in tutte le panetterie e pasticceria della città assieme alle gigantesche "spumilie" (meringhe).