“la sola ben marcata linea di confine che per ora si può tirare fra la chimica della materia morta e quella della materia vivente.”
Quando divenne professore nella facoltà di scienze a Lilla, era ancora impegnato in studi su cristalli e isomerie. Furono, però, problemi pratici con importanti risvolti economici ( insomma, problemi da chimico), quelli che gli fecero incontrare il mondo dei microrganismi.
L’economia di quelle zone si basava sulla produzione di barbabietola da zucchero e sulla distillazione di alcool dallo zucchero delle barbabietole. Un produttore gli chiese aiuto perché nei suoi tini non si produceva più alcool, ma si formava invece una mucillagine che trasformava la polpa di barbabietola in poltiglia puzzolente ( non che di solito abbia un gran profumo!).
Pasteur prese allora campioni dai tini con mucillagine e da quelli che producevano alcool e li osservò al microscopio. Correva l’anno 1854.
Lasciamo Louis con il suo microscopio e vediamo quale fosse la situazione microrganismi all’epoca.
Come abbiamo già visto, erano stati scoperti alla fine del 600 da Leeuwenhoek e Spallanzani, nella seconda metà del ‘700, aveva dimostrato che non si generavano dal nulla. E poi ? E poi furono dimenticati. Quando venne chiesto a Linneo di classificarli le sue parole furono
“ Son troppo piccole, troppa è la confusione perché si possa conoscere alcunché sulla loro natura: mettiamoli nella classe caos”
L’unico a occuparsene ancora era il naturalista tedesco Ehrenberg che studiava i microrganismi marini e dimostrò che il fenomeno della fosforescenza marina era dovuto al plancton.
Nel 1837 Cagniard de la Tour, osservando schiuma di birra al microscopio, notò alcuni globuli di lievito, che avevano protuberanze simili a gemme. Pensò quindi che il lievito fosse vivo e in grado di riprodursi e attribuì a questa attività vitale, la trasformazione dell’ orzo in alcool.
La memoria che scrisse non ebbe seguito come non ne ebbe quella del dottor Theodor Schwann che, oltre a ribadire la questione relativa ai lieviti, attribuiva ai microrganismi anche la responsabilità della putrefazione della carne.
Pasteur si trovò poi, nuovamente a dimostrare che i microrganismi, in questo caso i lieviti, non hanno generazione spontanea (non nascono spontaneamente nei chicchi d’uva) e che quindi in ambiente sterile non si riproducono. Per dimostrarlo fece una seria di esperimenti utilizzando una particolare bottiglia a collo di cigno, che impediva il contatto diretto della sostanza racchiusa nella bottiglia con l’esterno.
• a individuare diversi tipi di batteri,
• a capire che ognuno di essi era responsabile di una diversa malattia e
• a dimostrare in che modo avveniva il contagio.
Quel che mi affascina di questo scienziato è la capacità di osservazione che unita a un’incredibile abilità sperimentale, gli permetteva di condurre accuratissime ricerche con un apparato sperimentale ridicolo.
Vi dico solo questa. Si accorse che i microrganismi si muovevano bene nei liquidi ed in quel ambiente era quindi difficile separarli e avere ceppi puri, ma vide che erano pressoché immobili nei solidi. Provò quindi a coltivare i diversi ceppi su … una patata ottenendo così delle colonie di batteri della stessa specie.
Non so in che modo sia riuscito a non contagiarsi con tutti quei pericolosi microrganismi, che maneggiava senza aver a disposizione l’attrezzatura dei nostri laboratori!
Koch fu il primo a utilizzare colori all’anilina per evidenziare i microrganismi durante le osservazioni, ma nel 1884 fu Hans Christian Gram a mettere a punto un sistema che gli
Gram si accorse che, dopo aver ucciso i batteri, era possibile colorarli con violetto genziana: dopo averli lavati, li sottopose allora, alla soluzione di Lugol
(trioduro di potassio) un mordenzante che fissava il colore. Dopo averli lavati nuovamente con etanolo puro, osservava che, mentre alcuni batteri
Carl Weigert perfezionò il sistema, aggiungendo dopo il lavaggio con etanolo, del rosso safranina che colorava di rosso solo i gramnegativi.
A questo punto fu possibile scoprire e classificare una miriade di batteri. Si iniziarono poi a trovare armi per combattere gli invisibili nemici e si prepararono vaccini. La medicina fece passi da gigante e molte malattie furono debellate.
Chi pensava, però, di aver visto tutto e che i batteri fossero i più piccoli microrganismi esistenti, dovette ricredersi quando, con l’aiuto di strumenti sofisticati come il microscopio elettronico, che non utilizzando la luce visibile, consentiva ingrandimenti di ben oltre i 20000x contro i 2000x del microscopio ottico, comparvero i virus.
Poche, incredibili molecole, con due proprietà della materia vivente: si moltiplicano e sono soggetti a mutazioni. Vivono solo come parassiti sia delle cellule eucariote, che di quelle procariote (batteriofagi).
Con il microscopio elettronico si ebbero le immagini spettacolari: dal virus del mosaico del tabacco, il primo di cui si ebbe un’istantanea, a quello dell’influenza, a l’epica lotta dei batteriofagi contro i germi.
Un piccolo filmato per ricapitolare su batteri e virus
Lasciamo i cacciatori di microbi e torniamo ad oggi.
L’incursione dell’uomo nel mondo dei microrganismi, non poteva concludersi però con la sola schedatura, anzi, classificazione dei componenti e con la ricerca delle armi migliori per difendersi dagli individui più pericolosi! No! Una volta scoperta la capacità dei batteri di fare vere e proprie reazioni chimiche, sono stati per così dire assunti. Ed ecco la microbiologia industriale: i microrganismi possono essere considerati come impianti chimici in miniatura (cell factory). Essi hanno la capacità di convertire materie prime (raw materials) costituenti il terreno di coltura (nutrienti o substrati) in prodotti. Poiché molti di questi prodotti hanno valore per gli usi umani, diventa utile
Basandosi su queste osservazioni, .J.B.S Haldan sostenne:
“perché darsi la pena di fabbricare dei composti chimici quando una bestiolina può farlo
per noi”.
Ma quali caratteristiche deve avere un microrganismo per poter essere assunto a tempo indeterminato?
Deve essere ovviamente capace di produrre la sostanza desiderata ma anche
• Deve anche essere capace di crescere e produrre in colture che vanno dalle centinaia alle migliaia di litri di volume (large-scale culture). Inoltre deve produrre spore o altri forme riproduttive, o in alternativa deve essere possibile conservare stabilmente le forme
vegetative in modo da poterle utilizzare per inoculare i fermentatori.
• Deve crescere quanto più rapidamente possibile e produrre il prodotto in un relativamentebreve periodo di tempo (PRODUTTIVITA’ = quantità prodotta x volume di produzione x tempo del processo).
• Il microrganismo deve crescere in un terreno relativamente poco costoso. Molti processimicrobiologici usano fonti di carbonio “scarto” di altri processi industriali. Questi includono ad esempio il siero di latte (un prodotto di scarto delle industrie alimentari contenente lattosio e minerali).
• Un microrganismo industriale non dovrebbe essere patogeno per l’uomo o per l’ambiente.
• Dovrebbe essere facilmente modificabile a livello genetico. Molto spesso l’incremento di resa di produzione passa attraverso modifiche genetiche del metabolismo ottenute per
mutazione o selezione.
A chi potrebbero servire questi microrganismi?
Sulla base delle differenti tipologie di prodotti che fabbricano e vendono, le industrie
microbiologiche possono essere divise in :
a. Pharmaceutical chemicals. Antibiotici e steroidi, insulina interferoni, anticorpi,
proteine ricombinanti.
b. Commercially valuable chemicals. Solventi (acetone, butanolo) enzimi, composti
intermedi per la sintesi di altri prodotti.
c. Food supplements. Produzione di Amino acidi, Produzione di lievito, batteri ed alghe
da terreni contenenti nutrienti poco costosi e rapidamente ottenibili.
e. Vaccines (immunizing antigens). Alcuni microrganismi sono cresciuti in larga scala e
usati, interi o in parte per la preparazione di vaccini-
E qui si conclude questa incursione nel mondo dell’estremamente piccolo. Quanto piccolo? Guardate qui e confrontate