La conquista delle Americhe
25 febbraio 2013 di Dino Licci
Mappa antica delle Americhe
Miscelando un po’ la fantascienza con le moderne conquiste della fisica, prima tra tutte la teoria della relatività generale di Einstein, potremmo ipotizzare viaggi a ritroso nel tempo e seguire i Colombo, i Vespucci, i Verrazzano nelle terre inesplorate delle due Americhe, trascinandosi dietro una situazione europea che già in quegli anni dimostrava una sperequazione economica e sociale che gli derivava soprattutto da una condizione etico-religiosa assai particolare. Erano gli anni della Riforma calvinista e luterana e dalla successiva controriforma “riparatrice” che seguì il concilio tridentino. Fin d’allora ma a tutt’oggi, l’Europa era divisa in due per via di una diversa interpretazione del Verbo di Cristo. Da una parte il mondo cavalleresco e feudale della Controriforma che basava sul privilegio, sulla censura e sul rogo il “modus vivendi”delle popolazioni che vi si assoggettarono a malincuore, dall’altro il mondo borghese e capitalistico della Riforma, basato sulla libera concorrenza, sul libero arbitrio, sul libero mercato e che incarnava nell’idea calvinista la meritocrazia e l’impegno.
Quando le armate spagnole cominciarono a far razzia degli immensi giacimenti aurei dell’America del sud, le civiltà dei Maia, degli Inca , degli Aztechi, furono sterminate e costrette alla fede cattolica a partire dagli intendimenti della cattolicissima Isabella. Pizarro, dopo ogni carneficina, si confessava e il battesimo era la prima cosa che veniva imposta ai pochi scampati al massacro. I padri gesuiti Cialdino e Mazeta imposero in Paraguay una teocrazia che asservì ai loro ordini gli indigeni che furono costretti a praticare l’agricoltura e l’allevamento del bestiame e ad abbandonare le loro abitudini nomadi e le loro usanze, le loro credenze, le loro tradizioni . Per contro il flusso di metallo prezioso che affluiva nelle casse della madre patria , ne distrusse l’economia perché ancora non c’era uno Smith che parlasse di investimenti e libero mercato e l’inflazione unitamente al costosissimo e improduttivo esercito, determinò uno sconquasso economico che spagnoli e portoghesi esportarono nelle nuove terre apportandovi guai ancora oggi esistenti.
La fortuna del nord america fu che essa non possedeva altrettante ricchezze naturali o perlomeno le aveva confinate nella freddissima Alaska. Quivi gli spagnoli e i portoghesi non giunsero a razziare e convertire con la forza in nome del Signore ma, in loro vece vi fecero incursione i “puritani” inglesi a bordo della mitica “Mayflower” che ospitava anche tutti gli avanzi di galera e le prostitute che cercavano in questi viaggi uno sfogo e un’evasione. C’è chi stigmatizza le due facce dell’America con i Lincoln, i Kennedy, i Luther King da una parte e i loro assassini dall’altra, con gli estensori della migliore democrazia del mondo da un lato e i negrieri razzisti e sanguinari dall’altro. Ma il fatto saliente che ne costituisce il sostrato, consiste in un episodio spesso trascurato ma essenziale a giustificare e capire le scelte di un popolo primariamente democratico, seppure intriso da un pragmatismo derivante dall’assenza di un bagaglio culturale pesante come il nostro. Orbene , quando i padri pellegrini giunsero in queste terre, non vi trovarono le civiltà indigene che i Cortez e i Pizarro avevano soverchiato nel sud, ma i notissimi nomadi pellirossa che vivevano di caccia e che videro le loro immense praterie minacciate dalla Bibbia e dall’aratro, perché anche i puritani cercarono di convertire gli indigeni prima di sterminarli. Ma nel 1635, ad appena quindici anni dallo sbarco del primo nucleo di colonizzatori (e qui sta il fatto saliente), il pastore Williams accusò i suoi colleghi di intolleranza verso le altre confessioni e, seguito da altri pionieri che condividevano il suo giudizio, fondò a Providence una prima colonia con piena libertà di culto che dette modo a Lord Baltimore di allargare gli orizzonti democratici ad un’altra colonia che prese il suo nome e che garantiva, al contrario di quanto avvenne nell’America ispano-portoghese, libertà di culto e piena accoglienza per tutte le vittime delle persecuzioni religiose europee. C’era insomma il germe di quella democrazia che il popolo americano vuole esportare nel mondo perché c’è nella sua essenza, nella sua storia, nel suo patrimonio genetico, il rispetto dell’individuo e della sua libertà. Se i primi colonizzatori non avessero versato l’obolo volontario allo sceriffo che vegliava sui loro sonni, se non avessero a turno vegliato sulle sorti dei compagni, se il singolo non avesse seguito appieno le leggi democratiche che la collettività imponeva nel rispetto di tutti, oggi gli americani non sarebbero il popolo forte che sono e la storia dell’Umanità avrebbe forse preso una piega diversa. Dino Licci
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