Rebecca Johns
Rebecca Johns, graduata della Iowa Writers’ Workshop e Missouri School of Journalism, insegna al dipartimento di inglese della DePaul University, a Chicago, e scrive su giornali e riviste tra cui Harvard Review, Chicago Tribune, Cosmopolitan, Mademoiselle, Ladies’ Home Journal.
Il suo primo romanzo, Icebergs, è stato finalista dell’Hemingway Foundation/PEN Award per romanzi d’esordio e ha ricevuto il Michener-Copernicus Award.
Il secondo, The Countess, è stato pubblicato nel 2010 da Crown Books. In Italia, tradotto con il titolo La contessa nera, è pubblicato da Garzanti nel 2011.
Sito: rebeccajohns.com
Pagina FB dell’autrice: https://www.facebook.com/pages/Rebecca-Johns-Author/54809849754
Titolo: La contessa nera
Autore: Rebecca Johns (Traduttore: Claudia Marseguerra)
Serie: //
Edito da: Garzanti (Collana: Narratori moderni)
Prezzo: 18,60 €
Genere: Storico
Pagine: 323 p.
Voto:
Trama: Ungheria, 1611. L’alba illumina l’imponente castello di Csejthe. Nella torre più alta, una donna completamente vestita di nero è sveglia da ore. Murata viva in una stanza fino alla morte: così ha decretato il conte palatino. Ma la contessa Erzsébet Bàthory non ha nessuna intenzione di accettare supinamente il destino che le viene imposto. Non l’ha mai fatto nella sua vita. Ha solo sei anni quando, nella sua dimora tra i freddi monti della Transilvania, assiste ad atti di violenza indicibili. Neanche quando, appena adolescente, è costretta a sposare l’algido e violento Ferenc Nàdasdy. Un uomo sempre lontano, più interessato alla guerra e alle scorribande che a lei. Erzsébet è sola, la responsabilità dei figli e dell’ordine nel castello di Sàrvàr è tutta sulle sue spalle. Spetta a lei gestire alleanze politiche e lotte di potere. Lotte sanguinose, piene di sotterfugi e tranelli, che fanno emergere la parte più oscura della contessa, un’anima nera. Strane voci iniziano a spargersi sul suo conto. Sparizioni di serve torturate e uccise, nobildonne svanite nel nulla. Chi è davvero la donna imprigionata tra le gelide pietre di Csejthe? È solo vittima di una cospirazione per toglierle il potere? O il male è l’unico modo per Erzsébet di sopravvivere in un mondo dominato dagli uomini? La contessa nera si ispira alla figura della prima serial killer della storia, Erzsébet Bàthory, la contessa sanguinaria. Padrona spietata, torturatrice di centinaia di giovani donne, assassina crudele.
Recensione
di Livin Derevel
Un bel romanzo che però non c’entra niente con la storia di cui pretende di parlare.
E chiunque abbia scritto il trafiletto di trama lassù probabilmente questo libro non lo ha neanche aperto.
Siamo di fronte all’opera scritta da Rebecca Johns nel 2010, che narra delle vicende di Erzsébet Bàthory – di solito occidentalizzato in Elizabeth Bathory – personaggio realmente esistito e famoso per la sua crudeltà. Per chi non conoscesse il soggetto in causa basta andarsi a fare un giro su Wikipedia per farsi un’idea generale, e lì non vi ci vorrà molto per capire che è una sorta di affine a Vlad L’Impalatore – più conosciuto col nome di Dracula. Si tratta insomma di un nome che porta con sé una fama di precisa impostazione, macabra e inconfondibile, che ha scritto un frammento di passato e che è entrato negli annali per le sue perversioni, per la sua morbosità, per la sua visione distorta di una realtà in cui il sangue era un piacere, uno svago e una liberazione.
Ecco, in queste pagine non troverete nulla di tutto questo.
Anzi, ho trovato La contessa nera uno splendido ritratto di un’epoca e di una regione solcate da guerre, da lotte di potere, da sotterfugi e meschinità, da blandizie e sottigliezze diplomatiche che hanno modificato le cartine geopolitiche di oggi. Le dinamiche relative alle famiglie nobiliari, alle feste, ai matrimoni, al relazionarsi con alte cariche sono descritte in maniera veritiera, articolata, mai estranee alla trama complessiva ma ben incastonate in modo da non risultare inserite a forza o senza contesto.
Abbiamo una panoramica completa delle famiglie Bàthory e Nàdasdy, i caratteri dei principali personaggi che si muovono tra le fila sono dettagliati e approfonditi quel tanto che permette la narrazione in prima persona, e comunque consentono di farsi un’idea dei loro ruoli entro i confini della vita di Erzsébet.
Erzsébet a sua volta ha una personalità coerente, ci viene presentata nel periodo dell’infanzia e rimaniamo con lei fino alla veneranda età, siamo partecipi delle sue conquiste e delle sue disfatte, seguiamo i suoi fili logici e ci mettiamo al suo fianco fino alla prigione. Lo stile è scorrevole, elegante, mai un momento di noia, le situazioni sia nei particolari che nel complesso non sono ridondanti né pretenziose, sono precise e non indulgono eccessivamente sul superfluo.
Fin qui tutto bene, ed è il motivo per cui il romanzo si è meritato quattro stelline. La cosa che mi ha lasciata perplessa, però, è che della famigerata crudeltà della contessa non v’è la minima traccia.
Dove sono le motivazioni per accusarla di stregoneria? Possibile che all’epoca, in lande sperdute come quelle dell’est Europa dilaniate da continue epidemie, carestie, povertà e fame, ci sia data tanta pena per rendere giustizia a pochi cadaveri trovati seppelliti in un bosco? Dov’è la malvagità di Erzsébet, dov’è la sua depravazione, dov’è il suo desiderio di infliggere dolore, dov’è la sua brama di causare agonia e sofferenza?
Non ci sono.
Un’action figure di Erzsébet che nel tempo è diventata soggetto di numerosi fim, racconti, libri, storie, ed è entrata a far parte dell’immaginario horror
(Non in questo libro però)
L’Erzsébet di quest’opera è una nobildonna come mille altre, con una tempra decisa e risoluta e una mentalità “all’antica”, ovvero è fermamente convinta che la plebe, il clero siano posti a un livello inferiore rispetto ai padroni che servono e che quindi abbiano costantemente bisogno di essere redarguiti, castigati, raddrizzati anche con punizioni corporali. Niente di nuovo, niente di eclatante, è una corrente di pensiero che ha sempre fatto parte integrante dei ranghi più elevati di qualsiasi popolo, indi per cui per cosa c’è davvero da indignarsi? Perché la contessa è troppo severa e a volte le servette muoiono in seguito alle ferite riportate?
Il problema in sostanza è che gli elementi di ferocia, scelleratezza e sadismo qui non sono presenti. Erzsébet è un essere umano con una formazione disciplinare ben definita, e i suoi pensieri sono conseguenti alle circostanze della sua esistenza, ma nemmeno una volta in questo romanzo ho letto che avesse voluto far del male intenzionalmente, tutt’altro.
Qual’era lo scopo dell’autrice? Voleva riabilitare la figura della Bàthory? Voleva raccontare la sua storia da un punto di vista differente da quelli conosciuti sinora? Voleva cambiare prospettiva sperando che tutti dessero per scontato che fosse mentalmente disturbata? Non ne ho idea.
Per concludere: La contessa nera è un bel libro. Storicamente preciso, godibile, interessante. Peccato che parli di un’aristocratica qualunque e non della famosa donna che faceva il bagno nel sangue delle vergini.