Con "Il container e l'algoritmo" di Moritz Altenried, do inizio ad una serie di traduzioni di alcuni scritti apparsi in rete che individuano a mio avviso le principali tendenze presenti nell'attuale situazione socio-economica; scritti che non condivido necessariamente in toto, almeno per quanto riguarda presupposti e consclusioni - oppure categorie come quelle del lavoro e della "lotta di classe" ivi utilizzate - ma che tuttavia credo siano nondimeno degne di discussione nel quadro della necessaria emancipazione e fuoriuscita dal capitalismo. Uno sguardo acuto sulla "contraddizione in processo" del "soggetto automatico", così come si svolge economicamente e socialmente nella produzione, nella circolazione e nel consumo, dentro la crisi.
Il container e l'algoritmo: la logistica nel capitalismo globale
- di Moritz Altenried -
Voglio cominciare, riportando un'interessante osservazione di Thomas Reifer, secondo la quale oggi Marx comincerebbe Il Capitale sottolineando come la ricchezza delle nazioni contemporanee appaia sempre più come un'immensa collezione di container (Reifer, 2007). Anche se si può obiettare che un container ed una merce fanno parte di due categorie concettuali diverse, questa affermazione provocatoria è molto rivelatrice in quanto evidenzia l'importanza della logistica non solo in quanto industria ma in quanto prospettiva per comprendere il capitalismo contemporaneo.
Di conseguenza, propongo di differenziare tre significati del termine "logistica". In primo luogo, la logistica è un settore industriale o di mercato specializzato nello spostamento di cose che è cresciuta in importanza e che costituisce in quanto tale un oggetto di ricerca affascinante. In secondo luogo, la logistica è diventata in qualche modo una logica - o un dispositivo in senso foucaltiano - che è andata oltre il suo settore in senso stretto e che fonda il capitalismo contemporaneo. Per cui, quest'ultimo può essere compreso come un capitalismo di "catena di distribuzione", per riprendere l'espressione di Anna Tsing (Tsing, 2009). Se ciò è vero, allora la logistica, in terzo luogo, diviene una prospettiva di ricerca. Intendo difendere l'idea che la logistica può servire come una sorta di prisma che ci aiuta a comprendere in maniera critica la trasformazione in corso nel capitalismo globale. Questo senza tuttavia affermare che essa costituisca - o dovrebbe costituire - l'unica prospettiva possibile.
Ai fini del presente articolo, intendo mobilitare questa prospettiva basandomi su due tecnologie che hanno drasticamente cambiato sia la logistica che, come ho premesso, il capitalismo globale: il container e l'algoritmo.
Il container ovvero la rivoluzione logistica
Gli sviluppi della logistica o del trasporto dopo la seconda guerra mondiale sono stati spesso denominati "rivoluzione logistica", "la rivoluzione più sotto-studiata del XX secolo", come sostiene Deborah Cowen (Cowen, 2014, p.33). L'espressione "rivoluzione logistica" vuole descrivere il modo in cui il settore è drammaticamente cambiato dopo la seconda guerra mondiale, diventando a tutti gli effetti il centro di un nuovo regime di accumulazione globalizzata.
Ci sono molti modi di raccontare la storia della rivoluzione logistica - per esempio, a partire dal modo in cui il pensiero manageriale, concentrato soprattutto sulla produzione, abbia evoluto verso la gestione di tutta la catena di approvvigionamento, ivi incluso la progettazione ed il controllo, il trasporto e lo stoccaggio, le vendite, la riprogettazione ed il nuovo comando, oppure illustrando il modo in cui la logistica si è allo stesso tempo trasformata in una disciplina accademica. Ma ora vorrei concentrarmi su un oggetto tecnologico che incarna forse meglio di ogni altro l'avvento della logistica moderna: il container.
L'attuale sistema di container ha le sue origini negli Stati Uniti. Nell'ottobre del 1957, il primo porta-container salpa dal porto di Newark, New Jersey, diretto a sud di Miami, carico di grosse scatole d'acciaio standardizzate ai fini del trasporto intermodale e sviluppate da due imprenditori logistici, Malcom Mc Lean e Roy Fruehauf. Era da più di cent'anni che esistevano dei sistemi di contenitori e che venivano fatti dei tentativi di standardizzazione, ma fu il sistema di Mc Lean e Fruehauf che mise radici, se non altro in ragione del fatto che venne adottato dall'esercito americano al fine di rispondere alle necessità logistiche della guerra del Vietnam. Il loro modello di contenitore si riduceva ad una scatola di acciaio impilabile che poteva essere trasferita, per mezzo di speciali gru, dai treni o dai camion sulle navi. Questa scatola diede però inizio ad un cambiamento spettacolare: permise non solo di economizzare molto tempo e molto spazio, richiesti per caricare e scaricare in ciascun porto, ma consentì anche di fare a meno di un enorme numero di lavoratori portuali. In tutto il mondo, i sindacati tentarono di opporsi a questo processo; nel 1980, il Sindacato internazionale degli scaricatori difese davanti alla Corte Suprema ciò che considerava come un suo diritto: scaricare merci sulle banchine. Naturalmente, non ci riuscì.
Oggi, la circolazione globale delle merci si basa sul container marittimo standardizzato. Il 90% delle merci d'esportazione circola in container. L'unità standard è l'EVP (equivalente a 6, 096 metri). Wal-Mart importa circa 700mila EVP ogni anno, ovvero, detto in altri termini, circa 30mila tonnellate al giorno (Bonacich & Wilson, 2008 , p. 25). Un grande porto come Amburgo o Rotterdam gestisce ogni giorno più di 25mila di questi container. Quest'industria genera degli enormi profitti, ad esempio un porto come Amburgo nel 2014 ha prodotto un valore aggiunto lordo di 20miliardi di euro. L'impresa di contenitori danese Maersk rappresenta da sola circa il 20% del PIL della Danimarca. Maersk opera con più di 600 navi per una capacità totale di 2,6 milioni di EVP, e dispone di uffici in più di 100 paesi utilizzando un numero enorme di dipendenti. Malgrado il suo statuto di gigantesca impresa multinazionale, rimane sconosciuta, come lo sono molte delle imprese logistiche. Nonostante il fatto che coprano numerosi spazi, le operazioni e le infrastrutture logistiche sono molto raramente note alla maggior parte delle persone (anche se una volta che si conosce il nome Maersk, allora ci si accorge che i suoi container sono dappertutto). La logistica può quindi essere considerata, prendendo in prestito un concetto di Nigel Thrift (Thrift, 2005, p. 213), come una parte dello "inconscio politico" del capitalismo globale.
Anche se l'avvento della logistica non può essere spiegato a partire dal solo container, questo ha giocato un ruolo immenso. Il potere combinato della standardizzazione e dell'intermodalità ha sbaragliato il lavoro sulle banchine, ed ha permesso enormi risparmi di costi e di tempi ed un'accelerazione massiccia della circolazione. In questo modo, il container e la sua infrastruttura globale costituiscono dei presupposti della globalizzazione così come noi oggi la conosciamo. L'osservazione della tecnologia e dell'infrastruttura ci può aiutare a comprendere che cosa c'è in gioco nel capitalismo globale (nella narrazione della globalizzazione, l'accento tende ad essere messo piuttosto sugli accordi di libero scambio e sui programmi di adeguamento strutturale). Oppure, per parlare come Marx: "perciò, mentre il capitale tende, da una parte, necessariamente ad abbattere ogni barriera spaziale che si oppone alla circolazione, vale a dire allo scambio, ed a conquistare tutta la terra come suo mercato, dall'altra parte tende ad annientare lo spazio per mezzo del tempo, cioè a dire a ridurre al minimo il tempo che comporta il movimento da un luogo ad un altro. Più il capitale è sviluppato - e quindi più è esteso il mercato su cui esso circola e che costituisce l'itinerario spaziale della sua circolazione - più esso ricerca allo stesso tempo un'ancora più grande estensione spaziale del mercato ed un maggiore annullamento dello spazio per mezzo del tempo" (Marx, 2011, p. 500).
Le conseguenze della rivoluzione logistica sono spettacolari e troppo varie per poter essere discusse approfonditamente qui. Bisogna però, quanto meno, menzionare due dimensioni. La prima è il trasferimento del potere dai produttori ai venditori. La società Wal-Mart costituisce l'esempio più lampante. Il suo potere di mercato deriva in gran parte dal fatto che non solo è un gigante della logistica ma dal fatto che forse beneficia anche dell'orientamento logistico della sua strategia. La sua pianificazione spaziale organizzata intorno ai suoi centri di distribuzione, il suo innovativo management informatizzato dell'inventario ed il suo modo di configurare tutto al fine di accelerare la circolazione dei beni e di minimizzare i costi di magazzinaggio costituiscono dei fattori decisivi che fanno di Wal-Mart una delle più grandi aziende del mondo.
La seconda dimensione attiene all'evoluzione del modo in cui il capitale considera la logistica. Concepita inizialmente nei termini di una minimizzazione dei costi di post-produzione, diventa un settore dove possono essere generati enormi profitti. Naturalmente non si tratta di una novità nella misura in cui Marx sapeva già che il cambiamento di localizzazione di una merce data può esso stesso essere una merce in sé. Tuttavia, la riconcettualizzazione capitalista del trasporto, la sua evoluzione da processo post-produzione in cui i costi devono essere ridotti al massimo ad integrazione della produzione, della circolazione e, in maniera crescente, del consumo si rivela centrale per la rivoluzione logistica.
Questo porta ad una confusione nella distinzione fra produzione e circolazione, manifattura e trasporto o realizzazione e circolazione. Oggi, le merci vengono sempre più "prodotte su tutta l'estensione dello spazio logistico, piuttosto che in un solo luogo." (Cowen 2014a ; p. 2). Questa tendenza si esprime in modelli come quello della produzione "just-in time". Ovvero, per parlare di nuovo con Marx, la logistica diventa sempre più un "presupposto comprensivo ed un momento della produzione" (Marx, 2011, p. 388).
L'algoritmo, ovvero la seconda rivoluzione
Per semplificare, si potrebbe affermare che l'informatizzazione della logistica implica una seconda rivoluzione logistica che ha scosso nuovamente l'industria, ed insieme ad essa il capitalismo globalizzato, in maniera spettacolare. La digitalizzazione della logistica coinvolge una moltitudine di dimensioni quali il software di spedizione, i pacchetti di gestione integrata (PGI), il GPS, il codice a barre, le più recenti tecnologie di radio-identificazione (RFID) e le infrastrutture associare. Tutti questi elementi costituiscono altrettante tecnologie volte ad organizzare, catturare e controllare il movimento delle persone, della finanza e delle cose. Nel processo crescente di integrazione, comprese le catene di distribuzione, vanno ad interessare anche la produzione. I media logistici, concepiti al fine di sorvegliare, misurare ed ottimizzare la produttività del lavoro e le operazioni delle catene di distribuzione, "tentano di standardizzare l'accumulazione capitalista dal livello micro dei dispositivi algoritmici al livello macro delle infrastrutture globali" (Rossiter, 2014, p. 64). Questi sistemi rimangono relativamente chiusi ed opachi, anche per le persone che li gestiscono. Sebbene le architetture sistemiche siano a volte incredibilmente complesse, seguono una certa logica che tende ad astrarre ed a standardizzare. I protocolli, i parametri, gli standard, le norme ed i riferimenti giocano un ruolo chiave nell'organizzazione delle merci e del lavoro vivo per mezzo di sistemi di management semi-automatizzato. Quindi, dobbiamo comprendere questi sistemi in quanto "scatole nere algoritmiche" che allo stesso tempo hanno una moltitudine di implicazioni per l'organizzazione della politica e del lavoro.
I pacchetti di gestione integrata (PGI) illustrano assai bene l'importanza della governance algoritmica. Si tratta di piattaforme digitali in tempo reale che integrano un un programma tutte le funzioni di un'impresa quali la gestione finanziaria, la logistica, le vendite e la distribuzione, le risorse umane, la gestione delle materie prime e la pianificazione del flusso di lavoro. Questo genere di software specializzato ai fini della gestione della catena di approvvigionamento è generalmente un software proprietario estremamente caro che viene prodotto soltanto da una manciata di imprese. L'azienda tedesca SAP è una delle più importanti. Dichiara di fornire i suoi diversi programmi informatici all'87% delle imprese entrate nella classifica di Forbes Global 2000. Secondo Martin Campbell-Kelly, se i PGI prodotti dalla SAP dovessero sparire, "l'economia industriale del mondo occidentale ne risulterebbe immobilizzata, e ci vorrebbero degli anni prima di vedere dei sostituti in grado di poter colmare il vuoto venutosi a creare nell'economia in rete. Se i prodotti di Microsoft dovessero vaporizzarsi nel giro di una notte, basterebbe solo qualche giorno o qualche settimana per trovare dei sostituti, e le perturbazioni economiche sarebbero modeste" ( Campbell-Kelly 2003 : 197).
Possiamo qui osservare un'importante contraddizione del settore della logistica, del software, e, secondo me, del capitalismo digitale in generale: in quanto, mentre un PGI aperto e comunicativo permetterebbe una comunicazione ininterrotta senza conflitti di protocolli fra imprese e soluzioni software, metterebbe però anche in pericolo il potere di mercato della SAP. Da qui la scelta della SAP di avere sistemi proprietari chiusi, e le sue ambizioni monopolistiche. Si tratta di una strategia pericolosa che dev'essere rivalutata continuamente e gestita in maniera flessibile in modo da non mettere in pericolo la funzionalità complessiva dell'insieme dei programmi della SAP. Si evidenzia qui un problema generale del software, e nel caso della logistica vediamo come si tratti anche di una questione materiale: le decisioni in materia di protocolli standardizzati e di parametri, che si tratti del codice o delle dimensioni del container, possono portare a delle relazioni di dipendenza che riguardano tutta l'industria. Vediamo qui una contraddizione, che va sottolineata, fra la cooperazione e la concorrenza che è profondamente inscritta sia nella logica della logistica capitalista che in quella del software. Essa costituisce forse una delle più importanti contraddizioni del capitalismo contemporaneo.
Il software come quello dei PGI incorpora una massiccia quantità di dati che a loro volta riguardano sia i processi interni come il lavoro, gli stock, le finanze, ecc., che i fattori esterni come il meteo, il costo del carburante o le fluttuazioni delle valute. Il programma che gestisce il "Worldport", un hub che si trova a Louisville nel Kentucky, costa centinaia di milioni di dollari e in un'ora effettua il doppio dei calcoli che effettua la Borsa di New York in un giorno di intensi scambi borsistici (Kasarda & Lindsay, 2011). Le infrastrutture in rete ed i programmi seguono e tengono traccia di ogni movimento di merce e di lavoro vivente. Oggi, ogni merce inviata non solo viene codificata digitalmente ma viene anche resa sempre più tracciabile, soprattutto grazie alla tecnologia RFID. I computer di Wal-Mart identificano più di 20milioni di transazioni al giorno ed il suo centro dati traccia quotidianamente più di 680milioni di prodotti distinti (Dyer-Witheford, 2015, p.84). Grazie a questo, Wal-Mart esercita sui suoi fornitori una pressione al fine di equipaggiare tutti i prodotti con delle cimici RFID che permettano di tracciare il prodotto dal campo alla tavola del cliente. Mentre il codice a barre standard autorizza soltanto il trasferimento di informazioni relativamente semplici che riguardano delle classi di oggetti (Pasta, 1,95 €), la radio-identificazione (RFID) rende possibile l'identificazione di ciascun oggetto. Inventata negli anni 1990, la RFID può trasferire informazioni importanti sulla storia e sulle proprietà di un oggetto dato (a distanza, nella misura in cui l'etichetta non ha affatto bisogno di essere sulla linea di visione del lettore). Combinata con l'infrastruttura informatica e con il centro dati, permette di seguire in maniera inedita la traiettoria degli oggetti attraverso il tempo e lo spazio. La tendenza allo sviluppo di oggetti intelligenti RFID lascia presagire un'intensificazione della comunicazione e dell'interazione oggetto-oggetto che avrà come risultato un "enorme accrescimento della produzione di conoscenza inter-macchine impostato sullo status e sulla posizione nel tempo e nello spazio di milioni di oggetti fisici" (Kitchin & Dodge 2011 : 51). Questo sviluppo costituisce la base di una nuova generazione di tecnologie logistiche automatizzate che non funzionano più solamente sulla modalità del "just-in-time", ma diventano anche sempre più speculativi.
La produzione e la logistica controllate da infrastrutture algoritmiche che incorporano dei grandi insiemi di dati e la misurazione in tempo reale di ogni movimento di merci e di lavoro vivente generano un enorme accelerazione della circolazione. Naturalmente, questo influisce enormemente sulle condizioni del lavoro vivente. Se parlate con dei vecchi lavoratori della logistica, di qualsiasi settore, tutti vi diranno dell'accelerazione ininterrotta della velocità della circolazione che ha cambiato l'industria della logistica negli ultimi trent'anni e, conseguentemente, le condizioni del lavoro in quel campo.
Il lavoro, quello morto e quello vivente
Quando si tratta di logistica, è assai facile dimenticare il lavoro, in particolare se ci si lascia affascinare dalle sue infrastrutture e dalle sue gigantesche tecnologie. La quantità di lavoro morto incorporato nel capitale costante, come le gru, le navi, i porti ed i container sembrano ridurre ad un nano il lavoro vivente. Tuttavia, come tutti sappiamo, il capitale non può vivere senza sfruttare il lavoro vivente, e nella logistica il lavoro rimane un fattore importante. Ad esempio, UPS impiega 395mila persone, che sono quasi quanti ne impiega l'esercito americano. In ultima analisi, la logistica contemporanea incarna sicuramente "l'illusione per cui il capitale potrebbe esistere senza il lavoro", come affermano Harney e Moten (Harney & Moten, 2013, p.90). Ma così non può essere, e non lo sarà mai.
Il container così come l'algoritmo costituiscono delle innovazioni tecnologiche che esercitano sul lavoro (e sul lavoro organizzato) un'enorme pressione. Le innovazioni tecnologiche al servizio delle infrastrutture logistiche del capitale "non producono soltanto un'immagine materiale della configurazione contemporanea della lotta di classe. Ma sono anche un'espressione delle passate vittorie del capitale" (Williams, 2013). Il container, in particolare, ha causato un'enorme perdita di posti di lavoro ed ha schiacciato i sindacati più militanti negli Stati Uniti. Nel caso della digitalizzazione , sorprende vedere come l'organizzazione algoritmica della logistica intensifichi il controllo dei lavoratori individuali al fine di aumentare il plusvalore relativo. Gli autisti dell'UPS vedono tutti i loro spostamenti tracciati da una moltitudine di sensori collocati sui loro camion per le consegne e vengono messi in concorrenza gli uni con gli altri. Ciascun movimento, ogni pausa, può essere scrutato. I lavoratori dei magazzini di Amazon lavorano equipaggiati con un apparecchiatura portatile che li guida attraverso il magazzino. Questo dispositivo traccia ogni passo e può far partire un allarme presso i "leader di equipe", nel caso che un lavoratore rimane inattivo per un periodo prolungato di tempo. Ci sono degli obiettivi quotidiani e degli standard da raggiungere, il tutto controllato ed organizzato da un programma. Questi sono soltanto due degli esempi di tecnologia digitale utilizzata per accelerare la circolazione e sfruttare in maniera più efficace il lavoro vivente. L'ottimizzazione del processo del lavoro informatizzato produce un sistema di sorveglianza in tempo reale e lo organizza attraverso diverse forme di riferimento, di procedure operazionali standardizzate, di obiettivi e di meccanismi istantanei di feedback informatico. Brett Neilson afferma che un tale processo in materia di logistica digitalizzata mira all'eliminazione della distinzione fra lavoro concreto e lavoro astratto: "La tensione fra lavoro vivente e lavoro astratto, che deriva dal fatto che la molteplicità e l'aspetto concreto del primo non può essere totalmente ridotta al secondo, nel capitalismo contemporaneo si è intensificata. La logistica, attraverso dei processi tecnici di coordinamento e misurazione, accende l'illusione di un'eliminazione di tale distinzione" (Neilson, 2014, p. 88).
Tutto tranne che ininterrotta
La circolazione ininterrotta e trasparente può forse essere il fine della logistica ma si tratta più di un'illusione produttiva che di una realtà. Vi è una moltitudine di mancanze di funzionamenti, ostacoli e numerose forme di differenza che fanno sì che la logistica globale sia tutto tranne che una macchina che funziona in maniera ininterrotta. L'attività della logistica non è la produzione di uno spazio globale liscio, "il suo obiettivo non è di eliminare le differenze ma è quello di operare per mezzo di tali differenze, di costruire dei passaggi e delle connessioni in un mondo sempre più frammentato. I fossati, le divergenze, i conflitti e gli incontri così come le frontiere sono intese non in quanto ostacoli ma come dei parametri a partire dai quali si possono generare dei guadagni di efficacia" (Mezzadra & Neilson, 2013). Di conseguenza, la produzione dello spazio per mezzo della circolazione logistica globale delle merci evolve e si frammenta in permanenza e viene costantemente attraversato da contraddizioni, sia interne che esterne alla relazione capitalista.
La più importante di queste contraddizioni, quella fra capitale e lavoro, recentemente ha riguadagnato visibilità. Negli ultimi anni il settore logistico è stato colpito da un'ondata di conflitti operai. Dal blocco del porto di Oakland - si può affermare che si sia trattato del momento più alto di tutto il movimento Occupy - ad Hong Kong o Valparaiso. In Europa, può essere menzionata la lotta dei lavoratori di Amazon in Germania, Polonia o Francia, o le lotte militanti e potenti dei lavoratori migranti della logistica nel Nord Italia. Se la mia tesi è corretta, e cioè che la circolazione delle merci non è mai stata così importante e che la logistica è un settore più cruciale che mai per l'accumulazione globale del capitale, questa è anche una buona notizia per i lavoratori dei dock, delle navi, dei magazzini e dei camion. In effetti, in parallelo con la crescente importanza del loro lavoro per il capitale, il loro potere contrattuale si è accresciuto in maniera significativa.
- Moritz Altenried - 11 Febbraio 2016 -
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fonte: Revue Période