Magazine Cinema
(id.)
di Giuseppe Tornatore (Italia, 2016)
con Jeremy Irons, Olga Kurylenko
durata: 121 minuti
★☆☆☆☆
Per favore, non parlatemi di "sospensione dell'incredulità", vi prego. Non per questo film. Perchè La corrispondenza non è un film di fantascienza (anche se lo sembra, seppur involontariamente) e soprattutto perchè c'è un limite al buon senso anche per lo spettatore meglio disposto. Nell'ultimo film di Giuseppe Tornatore l'incredulità sta tutta nel domandarsi come sia possibile aver concepito una storia così sconclusionata e clamorosamente non plausibile, che ammicca alle nuove tecnologie delegando a queste ultime l'impossibile compito di giustificare un debolissimo castello di carte che tecnicamente dovrebbe chiamarsi sceneggiatura, ma soprattutto che bisogno c'era di ricorrere a una trama così involontariamente surreale per girare un film su un assioma vecchio quanto il mondo e, purtroppo per il regista siciliano, sempre difficile da tradurre in immagini se non si è particolarmente coinvolti e ispirati, come in questo caso.
La corrispondenza vorrebbe essere un melodramma sulla forza dell'amore, sul coinvolgimento totalizzante che questo sentimento genera in chi ne viene colpito, incurante della distanza, delle barriere fisiche, sociali o psicologiche. E già solo su questo ci sarebbe di che lavorare... ma a Tornatore non basta, e allora ecco che, coerentemente con la sua idea di cinema (questo gli va riconosciuto), appesantisce la narrazione con sconfinamenti nel thriller e nel paranormale, cercando una contaminazione tra generi che stavolta non gli riesce per niente bene come in passato (siamo lontanissimi dai tempi di Una pura formalità, ma anche dal recente La migliore offerta) e finisce per annacquare un po' tutti gli stili del racconto, compreso (colpevolmente) quello più importante, ovvero l'aspetto sentimentale.
Lo spunto del film è quello di una relazione extraconiugale come tante tra un ricco, maturo e fascinoso professore universitario (Jeremy Irons) e una sua giovane allieva fuori corso (la splendida ex-modella ucraina Olga Kurylenko, non proprio a suo agio e non proprio credibilissima come "studentessa della porta accanto"). Il loro è un rapporto a distanza e le occasioni per incontrarsi sono piuttosto rare, tuttavia la passione si manifesta attraverso una serie infinita di sms, mail, videochat e pacchetti espressi. Tutto bene finchè un giorno, per un motivo che non vi dico, il professore improvvisamente scompare, lasciando sgomenta la ragazza e continuando però nel frattempo ad inviarle messaggi e buste piuttosto "criptici" per non farle pesare l'assenza...
Il grosso problema de La corrispondenza è che questo pezzo di trama che vi ho raccontato corrisponde, all'incirca, alla prima mezz'ora del film. Dopo, lo spettatore si aspetterebbe che il mistero si infittisca, che la componente thriller-soprannaturale prenda il sopravvento preparandolo al "colpo di scena" finale, la soluzione dell'intrigo. Invece niente: nella prima mezz'ora il film esaurisce già tutti gli argomenti possibili e rivela ogni mistero, riducendosi da quel momento in avanti a un lunghissimo, improbabile ed estenuante carteggio senza costrutto tra i due protagonisti, che "ammazza" il ritmo del film e sovverte, nel peggiore dei modi, le regole del melodramma classico, affogando nella retorica senza mai coinvolgere e far trepidare chi sta dall'altra parte dello schermo.
E' proprio vero che i film d'autore, quando non riescono, sono davvero brutti: perchè alla delusione si sommano i difetti evidenti che vi ho elencato, ai quali va aggiunto anche il pessimo doppiaggio italiano che azzera completamente le differenze linguistiche e le inflessioni caratteriali dei personaggi, appiattendone ancora di più la già scarsa caratterizzazione. Non è certo la prima volta che un regista stilisticamente "schizofrenico" come Tornatore, la cui carriera è da sempre costellata da alti e bassi produttivi. crolla miseramente come in questo (pessimo) film, a cui nemmeno la partitura musicale di Ennio Morricone è sufficiente ad elevarlo a uno standard accettabile.
La sensazione è quella di una pellicola esageratamente colta e autoreferenziale, che ha il suo limite più evidente in una sceneggiatura incoerente, scritta dal regista stesso e che più di una volta (s)cade nel ridicolo involontario: nella scena in cui la bella Amy si reca da un suo amico informatico per tentare di recuperare le immagini di una memory-card caduta in acqua, sentendosi rispondere che per farlo c'è bisogno di rivolgersi AI SERVIZI SEGRETI (!!) più di una persona (compreso il sottoscritto) è stata tentata di abbandonare la sala...
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