«È una parola lunga: “Sempre”. E se ti amo per cinquemila anni e sette mesi, non basta? Certo è un po’ meno di sempre, ma comunque è un bel po’ di tempo e per il nostro amore possiamo prenderci tutto il tempo che vogliamo»
Leonce e Lena, Georg Büchner
“Sempre”, tocca ammetterlo, non è una dimensione temporale ammissibile nemmeno per le stelle. Presto o tardi, magari dopo miliardi di anni, anche le stelle muoiono. Certo non si spengono guizzando e singhiozzando debolmente come la fiamma di una candela: le stelle più piccole si consumano lentamente, quelle più grandi esplodono e liberano talmente tanta energia da generare un buco nero o una nuova stella. Energia e informazioni non svaniscono ma si trasformano.
“La morte arriva a tutti, tutto muore nel passare di qui all’eternità” Shakespeare (nella traduzione di Garboli) sposta nell’Amleto con semplicità assoluta il limes dell’orizzonte umano, morire non significa cadere nell’oblio della dimenticanza, ma cos’è allora l’eternità? Come può l’essere umano entrarvi?
Non sono domande semplici, queste, ma forse non conta nemmeno la risposta. La proposta di Borges è utile in questo senso «Il numero di tutti gli atomi che compongono il mondo è, benché smisurato, finito; e perciò capace soltanto di un numero finito (sebbene anch’esso smisurato) di permutazioni. In un tempo infinito, il numero delle permutazioni possibili non può non essere raggiunto, e l’universo deve per forza ripetersi».
L’universo deve per forza ripetersi. L’eternità, ammettiamo che sia così, è un continuo ripetersi, una variazione continua della ripetizione.
Tornatore fa percepire allo spettatore questo continuo flusso di informazioni ed energia con coerenza narrativa e l’inconfondibile eleganza realizzando ne “La corrispondenza” un gioco di rimandi sfiancante, faticoso, ma per questo avvolgente, e la consapevolezza che rimane dopo avere seguito i due protagonisti del film attraverso mail, lettere, messaggi e doni, si radica profondamente nell’animo. È la consapevolezza della limitatezza del tempo che ci è concesso rispetto all’infinito desiderio di vivere ed amare mantiene nei nostri occhi un bagliore feroce e dolce allo stesso tempo.
Perché cominciare con la battuta di Leonce per scrivere dell’ultima opera di Giuseppe Tornatore? Leonce e Lena, è vero, non hanno molto in comune con Ed Phoerum (Jeremy Irons) e Amy Ryan (Olga Kurylenko) se non la necessità di fare i conti con il proprio tempo ed il proprio spazio, se non la fatalità di essere insieme e di avere scelto di condividere proprio spazio e tempo.
Tornatore è abile nel parlarci della funzione di memoria e ricordo nella vita, lo ha dimostrato declinando il tema in maniera sempre originale – senza annullarsi nella ripetizione del suo universo, anzi – da “Nuovo cinema paradiso“, passando per “Una pura formalità” e “Baarìa” il gioco, anche mortale, è tutto compresso nella mente dei protagonisti. Anche ne “La migliore offerta” il congegno che scatta troppo tardi dopo avere raccolto tutti gli indizi è quello della mente.
È la mente umana il primo motore immobile nella poetica di Tornatore.
La corrispondenza non è soltanto una storia d’amore. Il professore di astrofisica Ed Phoerum e la sua allieva Amy Ryan, brillante ma fuori corso che sfida continuamente la morte nel suo impiego di stuntwoman, si amano. Ma non è questo ciò che conta, questo è il dato acquisito, il movente di ogni azione. Sin dalla prima scena il regista ci mostra la passione viscerale, il vincolo che lega i due amanti corpo e anima e lo fa scegliendo una inquadratura statica. Sono i due a muoversi, per tutto il film sarà così, anche se spesso si alterneranno carrellate morbide e movimenti di macchina sinuosi. È lo spazio raccontato ad agitarsi, a rallentare il suo moto, di volta in volta deve accogliere la presenza dei personaggi, della pioggia, delle foglie portate dal vento.
Ed e Amy si amano, il loro è un amore anticonvenzionale, il professore ha già una famiglia, ma Tornatore scardina ogni paradigma perbenista e ci mostra una coppia che non ha bisogno di un contratto per essere benedetta, sono le stelle d’avorio, le canottiere, i baci ed i pensieri la continua benedizione che i due si scambiano.
Ciò che conta, però, è che ad un certo punto Ed impone ad Amy la sua lontananza. Non la prepara al distacco, e confessa che questa nuova condizione non appartiene a loro due, a loro due insieme. Ed continua però a fare brillare il suo amore per lei anche se non può più toccarla. È la parola, la presenza-assenza attraverso il mezzo tecnologico a diventare materia.
Irons interpreta con grande forza il suo personaggio e porta in ogni scena un velo di fantasmagorica rassegnazione nello sguardo, l’attore è incisivo e le intenzioni mostrano la lotta interiore di Ed che potrebbe addirittura sembrare egoista se non fosse che tutto il suo sforzo di rimanere presente anche dopo l’uscita di scena sta a significare tutt’altro.
Questo altro, anche Amy fatica a comprenderlo. Quell’altro se ne sta acquattato in attesa di scivolare sulle sue guance in forma di lacrima. Come è livido lo sguardo di Olga Kurylenko, livido quanto il cielo gelato ed il lago in tumulto, tanto che la sua interpretazione a tratti pare irrigidita dalla sofferenza del personaggio, ma nel complesso non guasta anzi va a collocarsi nell’esuberanza della giovane innamorata alla ricerca della verità, di quell’altro, appunto.
Quanto tempo della vita umana è sprecato nell’attesa del ritorno, quando a volte basterebbe spingersi a cercare i passi di chi se n’è andato. Amy capirà in tempo il movimento che impone la vita mettendolo in atto nella ricerca di Ed e in definitiva di se stessa.
Si ha la sensazione che il film ad un certo momento assuma una inaspettata coralità perché Ed ha coinvolto tutti, persino la sua famiglia, nell’amore per Amy e nel suo tentativo ostinato di rimanerle accanto tanto che pare davvero non se ne sia andato: è così per sua figlia Victoria (Shauna Macdonald) e per il pescatore Ottavio (Paolo Calabresi) che lo aspetta teneramente a Borgo Ventoso, locus amoenus del professore. Il senso della ricerca di Amy è espresso dalla musica ipnotica di Ennio Moricone che sottolinea l’atmosfera dolorosamente tesa con armonie inusuali ed elettroniche, così come dalla fotografia di Fabio Zamarion che scivola sui toni freddi e opalescenti o terrosi e compatti. York ed Edimburgo, Stafford Street 15, l’Isola di San Giulio nel Lago d’Orta (Piemonte) che paiono a mezz’aria tra cielo e acqua, grigi, umidi e nebbiosi, si impongono come luoghi ideali, sospesi nel tempo e nello spazio mentre il dramma esplode e stravolge ogni algoritmo.
Quando Cleopatra chiede ad Antonio di quantificare in maniera concreta la misura del suo amore, Antonio risponde: «Then must thou needs find out new heaven, new Earth». Questa battuta nell’atto I della tragedia shakespeareana sussume il senso del legame tra i due amanti poiché né Antonio, né Cleopatra potranno sopravvivere a se stessi ed al loro stesso amore: se Antonio muore, Cleopatra perde la possibilità di fare il suo “play“. Se Antonio muore è solo in nuovi cieli e nuove terre che Cleopatra può raggiungerlo, perché Antonio e Cleopatra sono una sola cosa, ma Amy e Ed sanno amarsi generosamente e distintamente e quando il play del professore termina, quello di Amy prosegue e brilla di nuova luce, come la bianca scultura per cui ha prestato il corpo e che trattiene nella forma del viso tutto il suo dolore e la mutazione che l’amore, l’assenza e la ricerca hanno impresso nei suoi lineamenti.
La battuta di Antonio, sulle labbra di Ed dovrebbe dunque essere tradotta «Dovrai cercare oltre il cielo, oltre la Terra» e verso quell’oltre si spinge certamente il cinema di Tornatore che è ormai un cinema sintetico, forte dell’analisi – pervasiva nelle opere precedenti – che il regista ha operato in questo caso già in fase di scrittura: la reductio ad unum ne “La corrispondenza” è già l’organizzazione stessa della trama che nella narrazione cinematografica diventa incisione, solco profondo nella vicenda intima dei personaggi.
Written by Irene Gianeselli