di Redazione Anti. La politica è il culmine dell’ambizione. E arricchisce sempre di soldi e di potere. In tutte le epoche e le civiltà. È anche giusto, in una logica dirigistica (sovietica, per esempio) come di mercato: il politico subisce prove e selezioni più severe di un manager. Anche di un imprenditore, considerata la molteplice varietà di nemici con cui si deve confrontare. E certamente rende più servizi che non la migliore impresa o munifico mecenate.
Il delitto di corruzione, che si vuole associare alla politica, si può configurare per eccesso, quando l’arricchimento personale va a scapito della cosa pubblica. La impoverisce complessivamente e non l’arricchisce. Oppure è un fatto politico, un’arma in più nell’agguerrito arsenale.
Il Pci, che è stato per quasi mezzo secolo il partito più ricco, con i soldi di una potenza straniera oltre che dei militanti, ed è riuscito ad addebitare la corruzione agli altri partiti, i quali non hanno saputo controbattere, benché avessero argomenti credibili, e anzi si sono fatti giudicare e condannare da giudici del Pci, questa è una battaglia politica. Che il Pci ha vinto, e non artatamente: si è dimostrato il partito più “politico”.
La vittoria comunista è stata politica soprattutto alla luce degli handicap del Pci: Yalta, la ferocia sovietica, la doppia verità, la faziosità della base (totalitarismo). Berlinguer è stato per questo grande politico malgrado i fallimenti, al minuto e nel complesso: il moralismo aiuta a superare l’ambiguità, ha funzione utile e non astratta. È appunto un’arma e non la soluzione.
Featured image, Niccolò Macchiavelli Santi di Tito (1536–1603)